Venti vite d'artisti/Proemio

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Proemio

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Dedica Giovambattista Gelli a Francesco di Sandro amico suo carissimo
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proemio.

Salvino Salvini nei Fasti consolari dell’Accademia fiorentina (Firenze, 1717, p. 77) descrisse un codicetto conservato ai suoi giorni nella famosa libreria Strozzi col n.o 952, contenente una lettera dedicatoria a Francesco di Sandro, e 20 vite d’artisti da lui giudicate opera originale del Gelli. S’ignorano le vicende successive del codice, ma la lettera con le medesime 20 vite, delle quali il Salvini dette l’elenco, esistono nel manoscritto da me posseduto ed ora pubblicato, che molto probabilmente è appunto l’antico Strozziano n.o 952. Mi fu ceduto nel 1864 dall’amico, adesso defunto, Galgano Gargani, quando perdè il padre Giuseppe proprietario dell’opuscolo per acquisto fattone dagli eredi d’un Filippo Strozzi. Il volumetto ha fogli 20, i primi 12 copiati da esperto copista, i rimanenti da altro con calligrafia meno nitida e scorretta ortografia. Le prime carte hanno poche correzioni e chiamate alla pagina seguente di mano dell’Autore, mancanti nelle 8 ultime. La revisione non avvenuta mi fa congetturare che il Gelli scrivesse le vite poco innanzi di morire, e non avesse tempo di rivedere la [p. 6 modifica]trascrizione, nè di riempire le diverse lacune lasciate dal secondo copista non riuscito sempre a decifrare il carattere dell’Autore.

Credei superfluo annotare le vite, e rispettai l’ortografia dei due copisti riscontrandola in generale simile a quella adottata dal Gelli nei libri suoi dei quali corresse le prove di stampa. Soltanto completai poche parole (figluolo, maravigla, miglor, piglar, vogla), soppressi le consonanti inutilmente raddoppiate (parlla, suppreme, torssi, partte, sortte, artti, Gotti, contto, mortto, ec.), o aggiunte per unire l’articolo ad altra parola (afFaenza, apPisa, arritrarre, assimile, ec.). Mi permisi tali correzioni perchè i due copisti qualche volta scrissero correttamente le medesime parole.

Considerata la scarsezza delle antiche scritture artistiche spero che riesca gradito l’opuscolo, per quanto non terminato, del Gelli, il quale credo che sul rinascimento delle arti, intendesse rinnovare la leggenda popolare tanto diffusa a Firenze nei secoli XV e XVI intorno al trionfo della lingua volgare per opera esclusiva delle tre corone fiorentine Dante, Petrarca, Boccaccio. Discorrendo della risurrezione delle arti, il Gelli alle corone sostituì gl’ingegni fiorentini primi nel ritrovare la pittura di già perduta, e che trapassarono tutti gli altri et di numero di gran lunga e di eccellenza ancora. Giotto risuscitò la pittura: le tre arti maggiori toccarono quasi la perfezione in virtù della triade quattrocentistica Ghiberti, Brunellesco, Donatello, e raggiunsero l’apice mercè Michelangelo principe, ed inarrivabile professore delle tre arti, mentre i più e migliori artisti furono fiorentini. Alle persone, alla valentìa, alle [p. 7 modifica]mirabili creazioni dei sommi maestri nati fuori del dominio fiorentino non fece il minimo accenno, e questo mi sembra sicuro indizio d’animo deliberato a negare qualsiasi valore all’opera loro. Per me il Gelli (1498 † 1563) si fece eco delle vantazioni dei concittadini un poco menomate dal Vasari aretino nelle Vite da lui principiate nel 1546 e stampate nel 1550. Recente e profonda era l’impressione prodotta dal volume del pittore d’Arezzo, ed il Gelli, nel prendere a trattare il medesimo argomento, e volere attribuire ai soli Fiorentini i progressi delle arti, dovè prefiggersi di ristabilire la leggenda dai buoni critici riconosciuta a ragione come non abbastanza sfrondata dal Vasari.

Comunque sia di queste vite scritte dal calzolaio diventato arguto filosofo, maestro di lingua e console dell’Accademia fiorentina, era desiderata la stampa, ed io aveva promesso al senatore Carlo Negroni, benemerito editore delle Letture del Gelli stesso su Dante, al professore Fabriczy e ad altri amici di pubblicarle pel matrimonio di mia figlia. Mantengo la parola, e divulgando il tesoretto letterario di mia proprietà, solennizzo un avvenimento che con amore di babbo auguro principio di perenne felicità agli sposi, come certamente vorranno augurare quanti leggeranno queste pagine.


Pisa, 7 gennaio 1896.