Versi - Paralipomeni della Batracomiomachia/Nota/Inno a Nettuno
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Nota - I. Versi | Nota - Appressamento della morte | ► |
I
INNO A NETTUNO
Da una lettera del Leopardi al Giordani del 30 maggio 1817, si ricava che venne composto nella primavera del 1816. Fu stampato per la prima volta ne Lo spettatore italiano, tomo VII, quaderno LXXV (io maggio 1817), pp. 142-64, con questo titolo: «Inno a Nettuno d’incerto autore nuovamente scoperto. Traduzione dal greco del conte Giacomo Leopardi da Recanati». La stampa riuscí assai scorretta, e con lo Stella si dolse il poeta, nel mandargli, il 12 maggio, un errata-corrige: «Da sí gran numero di errori, spesso rilevantissimi, Ella vedrá quanto fieramente sia danneggiato l’onor dell’autore; e però La supplico quanto so e posso che, se Ella fa eseguire l’altra edizione...,. voglia sottometterla, quanto al greco, ad un correttore speciale». Questa seconda edizione uscí, meglio corretta, poco dopo (il 17 ottobre, il Leopardi ne mandava un esemplare al Cassi a Pesaro), in un fascicolo in quarto piccolo, contenente anche le due Odae adespotae, col medesimo titolo riferito di sopra.
Dallo Spettatore il Giordani e il Pellegrini ristamparono inno, note e odi negli Studi filologici (Firenze, Lemonnier, 1853), pp. 147-70, correggendo parecchi errori delle edizioni originali, ma non mancando di aggiungervene di nuovi. Il Mestica, negli Scritti letterari di G. L. (Firenze, successori Lemonnier, 1899), II, 89-98 ha dato solo l’Inno, rimandando le note a un futuro e non piú apparso volume di Scritti filologici, e credendo, per tal modo, d’interpetrar la volontá del poeta, il quale nel volume di Versi del 1826 voleva «tralasciare il lungo commento». Crederei invece che il Leopardi dové sentire che, senza quelle note, lo «scherzo» perdeva troppo del suo significato, e all’ultimo, piuttosto che dare quel suo lavoro incompiuto e mutilo, preferí di toglierlo affatto dal volumetto.
Io ho ridato qui l’opera nella sua integritá; e posso compiacermi d’aver soddisfatto anche il desiderio del Leopardi «di sottometterla, quanto al greco a un correttore speciale». Le bozze delle note e delle odi sono state infatti riviste da Ermenegildo Pistelli; e neppure il Leopardi credo osasse sperar tanto.