Versi di Luigi Plet/Nell'occasione dell'apertura del ponte sulla laguna
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NELL’OCCASIONE
DELL’APERTURA
DEL PONTE SULLA LAGUNA
DI VENEZIA
l’11 gennaio 1846.
ODE.
Le più ricche e mirabili
Di tante moli eccelse,
Splendore di quest’intime
Isole dove scelse
5Tranquillo albergo e talamo
La donna un tempo de l’adriaco mar,
Ergonsi ov’ella i margini
Dispiega al mar rimpetto;
Chè solo a lui le grazie
10Scoprìa del raro aspetto
Quando, fedele e provida,
Ogn’altro amplesso avvezza era a sdegnar.
Solo a lui che, sollecito
D’ogni maggior suo vanto,
15Volto le avea la povera
Gonna in regale ammanto
E l’umile ricovero
Nel solio ond’ella a reggere insegnò.
Sì come tutta giubilo,
20Dinanzi a lui s’adorna
La fidanzata vergine
Quando l'amante torna,
Ed i monili e l’indiche
Gemme sfoggia che in dono ei le recò;
25Tal, poi che de le Cicladi,
De l’Attica, di Tiro,
Le spoglie inestimabili
Le arene sue copriro,
E qui d’Acri e Bisanzio
30Le maraviglie congregarsi udì,
Vie più allargando i limiti
De la sua cella algosa,
Di contro al mar Venezia
Si rassettò da sposa,
35E la fulgente clamide
Che porto esso le avea balda vestì.
Quando di merci estranie
E prezïose gravi,
Rediano e avvicendavansi
40Le sue tremila navi,
E l'ale infaticabili
Battea per ogni lido il suo Leon,
Presta o il pirata a sperdere,
Od a raccorre il freno
45Sopra il vassallo indocile,
O a rompere or l’elleno,
Or l’ottomano, or l’invida
Sua rivale de l’armi al paragon,
Di quivi lo spettacolo
50Sublime contemplava;
Quivi ella il suo magnifico
Ducal palagio alzava
E quell’unico tempio
Che d’adorar impone il Re dei re:
55Là il foro ornato ed ampio
A cui null’altro opporre
Sa lo straniero attonito:
Là quella salda torre
Che contro nove secoli
60A rendersi più salda combattè.
Ma come, per accorrere
A breve e matta festa,
L’avito serto, fatua,
Levossi ella di testa,
65E osò dal trono scendere
Per mescersi coi mimi a carolar,
Spoglia ed irrisa piangere
Fu vista ove pur ora
De l’onde a specchio assidersi
70Solea già da signora;
E il fallo inescusabile,
Delusa, troppo tardi, meditar.
Però, di quell’incendio
Strano ch’Europa avvolse,
75Il lugubre riverbero
Su l’egro volto accolse
Mutola, finchè un’iride
Apparve a rinfrancarle il dubbio cor.
Di sorte così nobile,
80Onesta e tanto bella,
In corte ella d’un Cesare,
Come che solo ancella,
Pure dovea risplendere
E riputarsi fortunata ancor.
85Da che l’immortal arbore
Nessuno appressar tenta
Le frondi ambite a svellerne
Con man sanguinolenta,
Serbate a chi ne l’utili
90E a chi ne le leggiadre arti più val.
Venezia, un tempo ospizio,
Anzi felice regno
Di tutte l’arti profughe,
Nudrice ad ogn’ingegno,
95Risentesi, e, con animo
Quasi a la sua primiera forza egual,
Adorna, apre, consolida
Templi, palagi, vie;
Straniere grazie aggiugnere
100S’affretta a le natìe;
E rivendica il titolo
D’operosa, fiorente, alma città.
E mentre, per munifico
Voler di Lui che stende
105Sovr’essa mite imperio,
A ristorar si attende
Le sue più antiche e celebri
Opere da le ingiurie de l’età;
S’impone legge a l’impeto
110Del flutto che si alterna,
Onde l’arena instabile
Ch’ei come vuol governa
Sgombri ’l temuto valico
E v’affidi nel suo corso il nocchier;
115Al suol negato volgesi
Con disïosa fronte;
Su le lagune edifica
Ardimentoso ponte;
Lo schiude, e de le insolite
120Ruote ode il rombo e il volo ama veder.
E in quel che pensa i tramiti
Ferrati in brevi lustri
Aver a nuovi traffichi
Scosso le menti industri,
125Affratellato popoli
Che fiumi, monti e piani ampii partir,
D’altri ornamenti abbellasi
Anche a la terra in faccia;
Alti disegni medita;
130Ignote vie rintraccia;
Leva la speme, e accelera
Co’ fervidi presagi l’avvenir.