Trattatelli estetici/Parte seconda/IX. Le citazioni

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Parte seconda - IX. Le citazioni.

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IX.

LE CITAZIONI.

Fu chi se la prese co’ paragoni, allegando a difesa della propria antipatia non altro esser dessi salvo una rocca ove è solito riparare chi si scnte mal provveduto d’armi per tenersi in aperta campagna. Vorremmo per altro che l’illustre avversario de’ paragoni facesse grazia di dirne quale sia la specie di ragionamento che appunto sui paragoni, come su propria e solida base, non si mostri fondata; quando è dimostrato che senza il confronto il discorso umano non potrebbe venire a conclusione veruna. Ma lasciando il parlare di ciò, che forse ne condurrebbe a troppo astrusi ragionamenti, quella stessa antipatia che da taluno si ha pei paragoni, si ha da tal altro per le testimonianze che si recano in mezzo dagli scrittori. E siccome questa materia ci sembra alquanto meglio della prima [p. 56 modifica]suscettiva di piacevole trattazione, a questa pensiamo fermarci col presente articolo.

Una grande differenza tra gli antichi e i moderni scrittori, come in molte altre cose, così ci ha pur nel citare. Onde questo? Forse perchè la buona fede fosse maggiore a quel vecchio tempo? Potrebbe darsi che fosse il vero anche questo, ma stimiamo più giusto l’attribuire la maggior copia di citazioni che si trovano nei moderni scrittori a due altri motivi. Primieramente il numero degli autori e dell’opere a dismisura cresciuto fa si che occorra nominatamènmente distinguere il dove sia da noi derivata tale o tal altra opinione o testimonianza, a non volere che i nostri lettori errino perduti in un mare interminabile di ricerche, quando non ci crediamo da tanto che ci si debba esser creduto sulla parola. In secondo luogo, l’indole dell’opere de’ moderni, tra per le cognizioni accresciute e il raffinamento sociale, domanda certa non so quale rigorosa precisione a cui non si credevano troppo strettamente obbligati gli antichi. Mi sono più volte fermato ad alcuni passi di storici greci e latini, di Erodoto innanzi a tutti, ne’ quali l’autore non si reca punto a coscienza di raccontare alcun fatto protestando apertamente di non voler avvalorarue l’autenticità con testimonianza veruna, sebbene potesse, e da altri intorno quel proposito stesso fosse stato tenuto contrario parere. Chi volesse farsi [p. 57 modifica]encomiator degli antichi a scapito de’ moderni potrebbe soggiugnere, avervi in quest’ultimi maggior desiderio di comparire eruditi che non fosse ne’ primi; appunto forse perciò che la erudizione da molti è scambiata per dottrina, a quella guisa medesima onde sarebbe giudicato eccellente cavalcatore chi avesse il tallone guernito di ottimi sproni, o facesse bravamente scoppiare la frusta negli orecchi delle persone. Dotti e cavalcatori di simil fatta non sono mai mancati, né mancheranno, speriamo, a questo mondo, ove è tanto necessario che vi abbia chi sia innocente incentivo al buon umore di alcuni per altra parte molto inclinati alla malinconia.

Ripigliando il discorso delle citazioni, possono queste considerarsi in sè stesse, o riguardo l’opere in cui sono allegate. Considerate in sè stesse sono capaci di rimanere divise in più classi. Altre per verità sono necessarie, altre date dagli scrittori, come a dire, sopra mercato. Ove non più fanno che le parti d’esempi, ove all’incontro tengono luogo di ragionamento. Può dirsi di alcune che siano ornamento esteriore, di alcun’altre che parte sostanziale del libro. E via discorrendo. Riguardo all’opere ove sono allogate, hannovi opere che le rifiutano di qualunque specie esse sieno, ve ne hanno che le ricevono, ed anzi non ne saprebbero far senza. Le storie, a cagione d’esempio, quelle specialmente che scrivonsi da chi non vive contemporaneamente ai [p. 58 modifica]fatti narrati, possono a meno di riferirsi alle fonti onde si è derivato ciò che forma soggetto alla narrazione? Nelle opere all’incontro di semplice fantasia, o di semplice ragionamento, questa necessità non ha luogo.

Può dirsi in genere delle citazioni, che se mostrano da un lato il desiderio di comparire erudito, mostrano dall’altro certa non so quale modesta diffidenza della propria autorità, che non dovrebbe sconcettare l’autore di un libro nell’opinione dei lettori. Già s’intende che anche qui il troppo è troppo. La modestia di chi dicesse: l’ira è molesta, come Seneca scrisse; o: l’Ariosto, è un grande poeta, come notò il Tiraboschi; è molto simile alla compitezza di chi ne fa indugiare mezz’ora alla porta per non voler uscire prima di noi.

Oltre il tormento che danno ai lettori le troppo frequenti citazioni, li pongono ancora in una certa specie di diffidenza dello scrittore. Non è bello che l’autore d’un libro ne venga alla trattazione del suo soggetto con soverchia baldanza e sicurezza del fatto proprio; ma non è bello det pari che vi s’incammini con eccedente timidità. La perplessità ond’è ammalato l’animo delI autore si trasfonde assai facilmente nell’animo altrui, e in quel caso non ci sono citazioni che bastino; e quelle stesse che pur s’adoprano, servono meglio ad insospettire che a rassicurare i leggenti. Vi sarà senza dubbio accaduto di tro[p. 59 modifica]varvi alcuna volta presenti a quelle prove di pericolosa desterità che danno certi giocolieri ballando sulla corda, o scherzando con armi; e sarete rimasti persuasi, ch’ove i suddetti giocolieri si presentassero agli occhi del pubblico tremando, l’assistere allo spettacolo che di sé fanno quegl’infelici si cangerebbe in un vero supplizio, anche per quelli che di siffatti spettacoli sono soliti di pigliare diletto.

Un genere di citazioni che mi va molto a sangue sono quelle che chiamerei assai volentieri citazioni indirette. Consistono queste in quelle alcune frasi e sentenze d’altri, o notissime, o singolari, che si frammettono al nostro discorso, senza che siavi bisogno di notare il dove furono tratte. Chi il sa, ben per esso, e chi nol sa, gusti la sentenza o la frase e si contenti di tanto. A siffatte citazioni, che appena appena sarebbcro da taluno così nominate, non va certamente riferito il piacevol motteggio di un nostro amico solito a dire, che tanto gli era il dovere ad ogni passo ricorrere o appiedi la pagina, o in fondo al libro, per trovarvi la citazione accennata nel corpo dell’opera, quanto il dover discendere di cavallo ad ogni poco per raccogliere di terra alcuna cosa che gli fosse caduta. Che dirà questo nostro caro ed ingegnoso amico, di certi libri, ne’ quali il volume delle citazioni soverchia di gran lunga quello dell’opera? Dirà probabilmente che a rendere tollerabile un so[p. 60 modifica]pruso di simil tempera fatto ai lettori, niente meno si conviene dell’arguzia e della finezza onde sono per la più parte dettate le annotazioni del moderno comento alla Chioma di Berenice.

Una citazione fatta a proposito può all’incontro giovare sommamente l’intelligenza, e farsi essa sola garante del buon seuno dello scrittore che l’adopera. In una citazione sta molte volte compendiato tutto intero un giudizio; è dessa molte altre un salvo condotto perchè possano passare, se non approvate, almeno sofferte, alcune proposizioni, che lanciate cosi di botto in faccia ai lettori, loro cagionerebbero forse nausea o ribrezzo. Confesso di aver bene spesso preso animo a leggere un libro dal motto del frontispizio: così non fossemi talora accaduto di dover confessare, terminata la lettura, che il motto del frontispizio era quel di meglio che ci aveva in tutto il libro!

Non vorrei staccarmi da questo argomento senza notare che ciò che si è detto delle citazioni in riguardo allo scrivere, può ripetersi punto per punto riguardo al parlare. Non conoscete voi di que’ tali che nulla sanno raccontarvi, nè manco che fa bel tempo, che pensano di andare alla campagna, che duole loro un dito a cagione di un panereccio, senza corredare il loro racconto di una qualche citazione? Poco loro importa che conosciate le persone di cui allegano l’autorità, o che le stimiate; basta ad essi poter [p. 61 modifica]citare. E con che micidial precisione vi notano non che la persona, e il dove, e il quando ebbe a dirsi tale o tal altra cosa che viene loro in proposito di citare! E caso che non ricordassero il nome, par loro un nulla l’indugiarvi, fosse anche sotto un sole di a mezzo luglio, o nello scontro di tre o quattro venti, fin tanto che grattandosi il capo, pestando i piedi, rodendosi l’unghie, e facendo smorfie e visacci da torturati, venga loro trovato quel nome che dicono sempre di aver in punta alla lingua. Ed io pure gli ho in punta alla penna, i nomi di questi cotali; ma per non farvi dimorare oltre il dovere in questa lettura, ch’è forse per voi sole di luglio e vento di tramontana, contentatevi che io lasci vôta la carta, se pur non vogliate empirla voi stessi con quel nome che primo vi suggerirà la memoria.