Alcune canzoni in lode del sommo pontefice papa Urbano VIII

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Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Letteratura Intestazione 28 luglio 2023 75% Da definire

Sopra alcune vittorie delle galere di Toscana Inclita Ninfa del'Argivo Ismeno
Questo testo fa parte della raccolta Canzoni eroiche di Gabriello Chiabrera


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LXXXI

ALCUNE CANZONI IN LODE DEL SOMMO PONTEFICE

PAPA URBANO VIII

Per lo giorno della sua creazione.

I

Scuoto la cetra, pregio d’Apolline,
     Che alto risuona; vo’ che rimbombino
     Permesso, Ippocrene, Elicona,
     Seggi scelti delle Ninfe Ascree.
5Ecco l’Aurora, madre di Mennone,
     Sferza le ruote fuor dell’oceano,
     E seco ritornano l’ore,
     Care tanto di Quirino a i colli.
Sesto d’Agosto, dolci luciferi,
     10Sesto d’Agosto, dolcissimi Esperi,
     Sorgete dal chiuso orizzonte
     Tutti sparsi di faville d’oro.
Apransi rose, volino zefiri,
     L’acque scherzando cantino Tetide;
     15Ma nembi, d’Arturo ministri,
     Quinci lunge dian timore a i Traci.
Questo, che amato giorno rivolgesi,
     Fece Monarca sacro dell’anime
     Urbano, di Flora superba
     20Astro sempre senza nubi chiaro.
Atti festosi, note di gloria,
     Dio celebrando, spandano gli uomini;
     Ed egli col ciglio adorato
     Guardi il Tebro, guardi l’alma Roma.

LXXXII

II

Strofe.
Qual sulla cetera,
     Per cui trionfasi
     Del hassu Tartaro,
     Bella Callïope,
     5Oggi degli uomini
     Hassi a cantar?
Antistrofe.
Fra scettri nobili,
     A cui s’inchinano
     Gentili spiriti,
     10L’almo, che adorasi
     In val di Tevere,
     È senza par.
Epodo.
Quando del mondo il Redentore eterno
     Al cielo ascese,
     15Allor cortese
     A Pietro suo fedel diello in governo,
     Perchè sul Vaticano
     A’ successori indi venisse in mano.

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Strofe.
Già quivi il ressero
     20Pastori d’anime
     Per lunghi secoli
     Con tale studio,
     Che ’l re dell’Èrebo
     N’ebbe dolor.
Antistrofe.
25Specchio ben fulgido
     Furo lor opere,
     Cui dentro i popoli
     Cinti di tenebre
     La via scorgessero
     30Del vero onor.
Epodo.
Ma del rio tempo la sì gran possanza
     Con spessi giri
     Fa che si miri
     Ogni cosa quaggiù cangiar sembianza;
     35E fra l’umana gente
     Mutar veggiamo in adoprar la mente.
Strofe.
Saul sottrassesi
     Al sacro Imperio
     Di Dio grandissimo:
     40David disfecesi
     In calde lacrime
     Quando peccò.
Antistrofe.
Quinci di biasimo
     Quei sen va carico,
     45Sozza memoria!
     Questi si celebra,
     Nè fra’ nomi incliti
     Tacer si può.
Epodo.
Ma per altrui coglier non so dispregi
     50Lungo Elicona:
     Ben fo corona
     Fulgida più che d’oro a’ Grandi egregi;
     Però sopra il Permesso
     Al sacro Urban questa sì fatta io tesso.
Strofe.
55Qual Rosa in Gerico
     Tra’ fior che odorano,
     O quale è balsamo
     Infra gli aromati,
     Tal fra’ Pontefici
     60Il vo’ ben dir.
Antistrofe.
In van di tossico
     Arma sue vipere
     Megera Eretica:
     In van Malizia
     65Covando insidie
     Spera tradir.
Epodo.
Come per Luglio delle spiche amante
     Aura rovaja
     Sgombra dall’aja
     70Al suo primo soffiar le paglie infrante;
     Di Urban l’alta bontate
     Sgombra i costumi rei di questa etate.
Strofe.
Puri Luciferi,
     Purissimi Espcri
     75Ci s’apparecchiano;
     Giojosa Cerere,
     E lieto Bromio
     Trionferà.
Antistrofe.
Farà Melpomene,
     80Che alto risuonino
     Celesti cembali;
     E l’alma Aglaja
     Col piè d’avorio
     Carolerà.
Epodo.
85Febo d’allor cinto le terse chiome
     In novi modi
     tesserà lodi
     Dell’adorato Urbano al chiaro nome.
     Per cui fatte gioconde
     90Eccheggieran del Tebro ambe le sponde.

LXXXIII

III

Strofe.
Su questo scoglio
     Spesso raccoglio
     L’ali del mio pensiero;
     Quando mi avveggio,
     5Ch’ei per suo peggio
     Trasvola mal sentiero.
Antistrofe.
Picciol soggiorno;
     Ma pure intorno
     Teti ci scherza, e Dori;
     10E sull’Aprile
     Aura gentile
     Viene a crearci i fiori.
Epodo.
Nè d’aspro Borea
     Per nubi gelide
     15Sento alcun verno,
     E pur d’Erigono
     Il can sì fervido
     Qui prendo a scherno,
Strofe.
Caro ricetto,
     20Io qui soletto,
     E d’ogni cura in bando,
     Con stil Tebano,
     Del sacro Urbano
     Fommi sentir cantando.
Antistrofe.
25Astro, che sorge
     Sul Tebro, e sorge
     Per superno viaggio;
     Al cui bel lume
     In van presume.
     30Nube di fare oltraggio.
Epodo.
Formò per Ercole
     La dotta Grecia
     Schiere di mostri:
     Per lui si finsero
     35Cotanto orribili
     Di Lerna i chiostri.

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Strofe.
In Erimanto
     Gli si diè vanto
     Di tranquillar le selve:
     40Spense in Nemea
     La belva rea,
     Terror dell’altre belve.
Antistrofe.
Che non si disse?
     Nesso trafisse
     45Con ammirabil arco:
     Nè venne manco
     Al moro stanco
     Sotto l’etereo carco.
Epodo.
Scese nell’Erebo,
     50E fuor di Tenaro
     Condusse a’ rai del Sole
     Con mano intrepida
     I gridi indomiti
     Delle Cerberee gole.
Strofe.
55Cotal ragiona
     Lungo Elicona
     Clio che fiorita splende;
     E co’ suoi carmi
     Di certo parmi
     60Ch’ella ciò dirne intende.
Antistrofe.
I mostri spegne
     Chi voglie indegne
     Dentro se stesso ancide;
     E s’altri giova
     65Con nobil prova,
     Ei può nomarsi Alcide.
Epodo.
Cotal si nomini
     Urban Pontefice:
     Ei pien d’alta virtute,
     70Ei mai non posasi:
     Ei sempre impiegasi
     Pur per altrui salute.

LXXXIV

IV

Strofe.
Suoi figli, e la magion del suo riposo
     Brama in campo il guerriero;
     E più forse il nocchiero
     De’ suoi tranquilli alberghi è desioso,
     5Allor, che stanco ei mirasi
     In Ocean che adirasi.
Antistrofe.
Ma non men l’alma de’ Cantori egregi
     Ama l’alma quiete,
     Quando sottrarre a Lete,
     10O contra invidia vuole armare i Regi,
     Per la cui man s’indorano
     Le cetre che gli onorano.
Epodo.
Io che riposo godo
     Oltra l’usato modo,
     15Alta d’Urban mercè,
     Dritto è che per lui scriva
     Bella canzone Argiva,
     Tributo di mia fè.
Strofe.
Chi tacerne potria? poichè si vede
     20Dal cielo al fin discesa
     Astrea non vilipesa;
     E Cerere di qui non muover piede;
     E Bacco ad ognor piovere
     Da viti mai non povere.
Antistrofe.
25Pastorella al mattin con sua famiglia
     Guida tra selve armenti,
     Nè delle faci ardenti
     Di condannato amor temenza piglia;
     Che solo i fochi splendono,
     30Che ad Imeneo s’accendono.
Epodo.
L’usurier, come suole,
     Con le Cerberee gole
     Qui divorar non sa;
     E l’arte degl’inganni,
     35Di qui spiegando i vanni,
     Al Tartaro sen va.
Strofe.
O gran monarca de’ Pastor divini,
     Che gire al cielo inviti,
     Son tuoi pregi infiniti;
     40Ed io ne godo: i saltator delfini
     In lago non si mirano,
     Ma per lo mar si girano.
Antistrofe.
E se Atropo comparte al viver mio
     Alquanto de’ suoi stami,
     45Farò che indarno brami
     Tue glorie il tempo ricoprir d’obblio:
     Le Dive me n’affidano,
     Che sul Parnaso guidano.
Epodo.
Or tu dall’alte cime,
     50In che siedi sublime,
     Volgi lo sguardo in giù;
     E gradisci mie voci,
     Che volano veloci
     Serve di tua virtù.

LXXXV

V

Strofe.
Per alcun non si creda,
     Che ’l mio cantar sopra l’Inachia cetra
     Dell’obblio vada in preda,
     O tra’ venti dispergasi,
     5O nell’onda del mare unqua sommergasi.
Antistrofe.
Vero è che d’Arno in riva
     Cigno frenava ed Aquiloni ed Austri,
     Allor ch’egli si udiva;
     Ma fur sue voci tenere
     10Scherzo d’Amore e di piacevol Venere.
Epodo.
Su Dirce, non d’amanti
     Sereni occhi e sembianti,
     Ma fur prese a lodar destre scettrate;

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     Quinci volaro alteri
     15Sommi Duci e guerrieri:
     Chè taciuto valor quasi è viltate.
Strofe.
Pindaro al buon Gerone
     Inni compose, e di Cirene a’ Regi;
     E celebrò Terone,
     20E suoi carmi s’udivano
     Là dove di virtute atti fiorivano.
Antistrofe.
Grande Urban sacrosanto,
     E fulgor nuovo dell’Italia agli astri,
     Te citareggio e canto;
     25E vo’ che invan s’adirino
     Le serpi dell’invidia, ove ti mirino.
Epodo.
Te, non umano ingegno,
     Diede a sì nobil regno,
     Ma Lui, che all’Universo impon sua legge;
     30Ed egli non vien manco,
     Anzi sta sempre al fianco
     Di chi sublima, ed a bell’opre elegge.
Strofe.
Mentir non è concesso
     Alle mie Muse, nè menzogna odiosa
     35Alberga il mio Permesso;
     Vero Apollo ragionami,
     E di bei gigli Verità coronami.
Antistrofe.
Mosè gregge pascea
     Sull’alto Orebbe; e Dio sommo lo scelse
     40Duce alla gente Ebrea:
     Che non fece ei scorgendola,
     E dal perverso Faraon traendola?
Epodo.
Ei con sembiante invitto
     Al crudo re d’Egitto
     45Del celeste Signor la voglia aperse;
     E quando al suo talento
     Venire il vide lento,
     Fe’ che orribili piaghe egli sofferse.
Strofe.
Cinifi, strania guerra,
     50Ei suscitò di gracidose belve
     Tutta ingombrò la terra:
     L’acque sangue diffusero,
     In ombra ai rai del Sol tutti si chiusero.
Antistrofe.
A tragittare ei piglia
     55Il mar per terra, e gli fu dato il varco:
     Eterna meraviglia!
     A piè nell’onda ei misesi,
     Ed il golfo Eritreo per lui divisesi.
Epodo.
Cadde per la foresta
     60Di manna alma tempesta,
     Ineffabile cibo a lor vaghezza;
     E dagli alpestri monti
     Disgorgar fece fonti,
     Che sopra il mele a bere ebber dolcezza.
Strofe.
65Ma qual per l’arsa arena
     Dell’Arabia romita, o bella Euterpe,
     Vaghezza oggi ti mena?
     Verso il Tebro avvicinati,
     Ed ivi umile al Signor nostro inchinati.
Antistrofe.
70Fa che tu baci il piede,
     A cui per suo cammin segnano l’orme
     Sempre Pietate e Fede;
     E da cui non disviasi
     L’alma Giustizia che nel mondo obbliasi.
Epodo.
75Il suo guardo cerviero
     Mercurio lusinghiero,
     Come quel d’Argo già, non addormenta;
     Nè giammai può cotanto
     Insidioso canto,
     80Che dall’orecchio accorto unqua si senta.
     

LXXXVI

VI

Strofe.
Omai fugge in Tracia il gelo,
     Ride il cielo,
     E per noi zefiro spira:
     Omai Flora in terra appare,
     5E sul mare
     Più Nettun fier non s’adira.
Antistrofe.
In stagion tanto gradita
     L’alba invita
     I mortali alla lor arte:
     10Altri a giogo i tori lega,
     Altri spiega
     Fiere insegne al crudo Marte.
Epodo.
Il nocchier vara sua nave,
     E fa solchi entro l’Egeo:
     15Ma per me cetra d’Orfeo
     Sposerassi inno soave;
     E d’allor cinto le chiome
     Lungo il Tebro io dirò come
     Deggia ornarsi un sacro nome.
Strofe.
20Caro al Cielo, o limpid’Arno,
     Non indarno
     Sopra i fiumi alzi la fronte:
     Siìde’ figli, e de’ tuoi regi
     Sono i pregi,
     25E quaggiù le glorie conte.
Antistrofe.
I tuoi Cosmi, alta memoria,
     Han vittoria
     Sull’onor de i più possenti:
     Ferdinandi odo ammirarsi,
     30E cantarsi
     De i Leoni, e de i Clementi.
Epodo.
Ma fulgor tanto lontano
     Non dia lume a’ versi miei;
     Sian per me lampi Febei
     35I bei rai del grande Urbano.
     Gedeon se al sacro Tempio
     Minacciasse oltraggio, o scempio
     Madian con nuovo esempio.
Strofe.
Su, cor mio, chè in poppa io sento
     40Sì bel vento,

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     Che disgombra ogni tempesta:
     L’alma Euterpe ecco n’ha scorto
     Dentro il porto;
     A dar fondo il ferro appresta.
Antistrofe.
45Alle ciglia de’ vulgari
     Poco chiari
     Sono gli astri anco del cielo;
     Ma con gli occhi al mondo saggi
     Stansi raggi,
     50Cui null’ombra unqua fa velo.
Epodo.
Odo dir con nobil plettro
     Di bei fior cosparsa Clio:
     Voi, che accende alto desio
     D’aureo manto e d’aureo scettro,
     55Grand’onore è farsen degno;
     Ma per Dio reggere il regno
     D’ogni onor trapassa il segno.

LXXXVII

VII

Strofe.
O bella, che soggiorni
     Tra i cerchi adamantini
     Dell’alto Olimpo ardente,
     E che se in terra appari
     5Con larga man diffondi
     Amabili tesori.
Antistrofe.
Pace, de’ cui splendori
     Già tanto i nostri giorni
     For chiari e fur giocondi,
     10Oltra quai gioghi alpini,
     O Pace, oltra quai mari,
     Volar vuoi tu repente?
Epodo.
Qual fiero orgoglio de’ mortali, o quale
     Furor Tisifoneo
     15Ti caccia in fuga, e fatti metter l’ale?
     Non fia forza di preghi,
     Che a rimaner ti pieghi?
Strofe.
Dunque in orride spade
     Cangeransi gli aratri?
     20E le cetre amorose
     Verranno odiose trombe?
     E l’erbe degli armenti
     Fian de’ destrieri armati?
Antistrofe.
Torransi i figli amati
     25Alla canuta etade?
     E vedove dolenti
     In manti oscuri ed atri,
     Sulle funeree tombe
     Ululeran le spose?
Epodo.
30O de’ giovani cor conservatrice,
     Amica d’Imenei,
     O di Pomona, e di Leneo nudrice,
     O Pace, ove ten vai?
     Ferma le piume omai.
Strofe.
35Ma se di nostra vita
     Il così caro Aprile
     Ha da voltarsi in verno,
     Ninfe del bel Permesso,
     Siate salda difesa
     40Al sacrosanto Urbano1.
Antistrofe.
Dite, che da lontano
Sua bontate infinita
     Scorse la ria contesa2;
     E come ei fu simile.
     45Al valor di sè stesso
     Incontro al mostro inferno.
Epodo.
Ei bene agli occhi suoi rivolse il sonno,
     E sua quiete al core;
     Ma fornirsi i desir sempre non ponno;
     50Talvolta è di diamante
     L’ira del gran Tonante.
Strofe.
Seco ben si consiglia
     Chi Dio mai non offende;
     Ove talor s’offenda,
     55Bel consiglio è pentirsi;
     Ma chi nel mal s’indura,
     Scampo alcun non aspetti.
Antistrofe.
Italia, odi i miei detti:
     Al Ciel volgi le ciglia,
     60Chè indi n’andrai sicura.
     Chi ben vivere apprende
     Non saprà sbigottirsi
     Sotto minaccia orrenda.
Epodo.
Piani della Clemenza i varchi or sono:
     65Il grande Urban riapre
     Le porte della grazia e del perdono;
     E scorge i nostri passi
     Là dove a gioir vassi.

LXXXVIII

VIII

Strofe.
Sopra tutti a bear la mortal gente,
     O Sanitade eletta,
     Con gran ragion, più che tesor diletta,
     Alla freschezza dell’etade ardente:
     5Ben forte, ben possente
     Rinverdir col bel fior di gioventute
     Le membra sotto gel fatte canute.

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Antistrofe.
Soave al villanel, dolce a’ nocchieri
     Per lo grembo de’ mari,
     10Cara al Saggio infra’ libri, e fra gli acciari
     Di Marte micidial cara a’ guerrieri:
     Dentro a’ palagi alteri
     Senza te che sarian, salvo mal nati
     Possessori di vita, i re scettrati?
Epodo.
15Nè sul gran Vaticano
     Or potrebbe cessar l’altrui sciagure,
     Nè farebbe avanzar nostre venture
     Il sacrosanto Urbano,
     Giona, se atra nel mar sorge tempesta,
     20E Giosuè, se Amalechiti infesta.
Strofe.
Sento, che Pindo ad or ad or non tace
     Di non so quale Atlante;
     Ma Pindo in trastullar la plebe errante
     Non si reca a viltà l’esser fallace:
     25Io con cetra verace
     Dirò, che il mio Signor sostenta il mondo,
     E con alta virtute il fa giocondo.
Antistrofe.
A preghiere di lui quaggiù discese
     La discacciata Astrea;
     30Ed oggi in val di Tebro erra Amaltea
     Con larga man de’ suoi tesor cortese;
     Spegne le faci accese,
     E rompe l’arco a’ condannati amori,
     E di Bellona rea sgombra i furori.
Epodo.
35Duri arnesi di Marte,
     Asta e coltel, son nella destra amata’
     Della felice Cerere dorata
     Belle falci ritorte
     Ed i fieri elmi ed i ferrigni usberghi:
     40Fansi d’Aracne filatrice alberghi.
Strofe.
Trasvola il suo gran pregio ogni confine,
     Quaggiù ben poco a dirsi:
     Ma fia lassù fra voi troppo ad udirsi,
     O del coro Febeo Ninfe divine?
     45Trasvola ogni confine,
     È colassù fra voi poco ad udirsi;
     Lodando il sacro Urban non può mentirsi.
Antistrofe.
Oprate dunque, o di virtute amiche,
     Sicchè mio stil non cada:
     50Ondeggia innanzi a me campo di biada
     Ripien di folte ed adorate spiche:
     Dolcissime fatiche
     Far grande per Urban messe di gloria,
     Ed a Lete involar la sua memoria.
Epodo.
55Mal felice virtute,
     Se alte voci per lei non van diffuse;
     Ed a gran torto coronate Muse,
     Se per virtù son mute,
     Via più negando l’Apollinea fronda
     60A chi già beve d’Aganippe l’onda.
Strofe.
Dica oggimai dell’amator sbranato,
     Dica il Campo Pangeo,
     Ch’ei posto in paragon col gran Maffeo,
     Nel più caro cantar fu scilinguato:
     65Nè tu chiomindorato
     Festi quaggiù, com’ei, dolci concenti,
     Quando, o Rettor del Sol, reggevi armenti.
Antistrofe.
Se unqua fra’ sette colli a lor ben nota
     Ei disciogliea la voce,
     70Ogni nume Latin corse veloce
     Da vicino a raccor ciascuna nota:
     E se lungo l’Eurota
     Scosse con dotta man le cetre Argive,
     Gemmaronsi di fior le belle rive.
Epodo.
75Veggio, che Idra rabbiosa
     Nemica del Parnaso arma furori:
     Ella infettar vorrebbe edre ed allori;
     Ma non può, ma non osa:
     Stiasi negli antri inferni orridi ed atri
     80La forsennata; ivi bestemmi e latri.
Strofe.
Castalii fior sono d’onor ghirlande
     In sull’eccelse teste;
     Ed è l’onda canora onda celeste,
     Se di puro Elicona ella si spande.
     85Fede ne faccia il Grande,
     Che valse a soggiogar l’acque Eritree,
     Sommo Rettor delle falangi Ebree.
Antistrofe.
Debora forse fe’ sentirsi invano
     Di Cadumino al fonte?
     90E vanamente di Sïon sul monte
     Davidde all’arpe solea por la mano?
     Quei carmi il bel Giordano,
     E giojoso gli udiva il bel Carmelo,
     E sempre cari or sono uditi in cielo.
Epodo.
95Tra le cime superne,
     Cosparse di splendor, campi stellanti,
     Altro già non si fa che innalzar canti
     Tra quelle anime eterne.
     Deh, Clio, deh di quei versi a me concedi,
     100E potrò gir del sacro Urbano a i piedi.

LXXXIX

IX

Strofe.
Già di udir mi rimembra
     Melpomene cantare inclita Musa,
     Che il fiero teschio della ria Medusa
     Sassificava altrui le vive membra:
     5Sì dal volto crudel spandeasi fuore
     Mirabile terrore.
Antistrofe.
A ragion bestemmiate
     Sembianze ognora dall’umano ingegno,
     Certo a ragion; ma già non manco è degno
     10Paventar l’esecrabil povertate,
     Odioso mostro a tormentarne, forte
     Più che falce di morte.
Epodo.
Costei vile per sè fuor di misura,
     Altrui col solo nome anco nojosa,
     15Dell’ozio nacque, e della disventura,

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     Ed al dispregio poi si diede a sposa:
     Delle querele amica,
     Mirasi sempre a lato
     Ed affanno e fatica;
     20Fabbrica ognora lusinghevol frodi,
     E s’avventa per uso in varj modi.
Strofe.
Me, che in riposta parte
     Sul Parnaso salìa per via deserta,
     Già minacciava, e m’assalìa coperta
     25Sotto l’acciar del sanguinoso Marte:
     Già le mal’arti sue metteva in opra,
     Empia già m’era sopra.
Antistrofe.
Per entro un aër bruno
     Sorgea tempesta a’ miei viaggi avversa,
     30E mia speranza omai cadea sommersa;
     Tal trascorreva il tridentier Nettuno:
     Io stava in forse con pensier devoti
     Verso chi far miei voti.
Epodo.
Oh quale a tanti tranquillar baleni
     35Oh quale, oh quale apparirà Polluce?
     Mentr’io così dicea, lampi sereni
     Cosparse intorno a me candida luce:
     Urban dall’alta Sede
     Spirò soavemente
     40Aura di sua mercede;
     E non finto Polluce a mio conforto
     Appianò l’onde, e mi ridusse in porto.
Strofe.
Quinci alle più remote
     Piagge del bel Permesso io mi rivolgo
     45E cerco bene attento, ed indi colgo,
     Ove ridono più, l’erbe fiorite,
     Bramoso poscia di versarle inchino
     Al piè sacro e divino.
Antistrofe.
Oscura cosa e vile
     50Oro è al pensier di regnator sovrano,
     Se non che in darne altrui con larga mano
     Fa chiara prova del suo cor gentile.
     I Grandi sulla terra han per tesoro
     Almo plettro canoro.
Epodo.
55Cui non è noto d’Alessandro altero
     Il grido che finor tanto rimbomba,
     Quando per sè bramando un altro Omero,
     Sospirò del Pelide in sulla tomba?
     Ha vaghezze maggiori
     60Urban celeste in terra;
     Ma di veraci onori
     Lascia guidarsi alla virtute, e brama
     Farsi del nome suo serva la Fama.
Strofe.
Però gli alti pensieri
     65In me risurti alcun timor non frena;
     Intorno a queste mete, in quest’arena
     Han da sudar correndo i miei destrieri.
     Or, bella Clio, da cui soccorso attendo,
     Onde principio prendo?
Antistrofe.
70Dirò de’ suoi fresch’anni
     I giorni spesi in ascoltar Sofia?
     O come in corteggiar l’alma Talia
     Ebbe per gioco il sofferire affanni?
     Quando, abborrendo il rio venen di Circe,
     75Bevea l’onda di Dirce3?
Epodo.
In mezzo i sette colli a spirti egregi
     Empier solea di meraviglia il seno;
     E sulla Senna, gran messaggio a’ regi4,
     Quei Grandi fea meravigliar non meno:
     80Poi di bell’ostro asperso
     Tenne del Vaticano
     Lo sguardo in sè converso;
     Ed un tempo insegnò, come si spegne
     L’avara rabbia delle liti indegne.
Strofe.
85Che fo? Dunque m’affretto
     Tutti i fiori a raccor d’un’ampia riva?
     Fatica immensa: deh posiamo, o Diva,
     A pregj sommi ecco il veggiamo eletto:
     Siede nocchier sovra l’eterea barca
     90E del mondo è monarca.
Antistrofe.
Sotto saggio governo
     Stassene in calma il suo diletto Legno;
     Ne teme d’Aquilone aspro disdegno,
     E se fremere ei sa, frema l’inferno:
     95Quale orgoglioso il negherà? follia
     È sostener bugia.
Epodo.
Arte di lingua è vana, ove dispiega
     Le sue ragion la veritate istessa.
     Nacque Urbano alle palme; Istro nol niega,
     100Ed Italia non manco oggi il confessa.
     Svegliasi il vulgo, e dice:
     Roma ha ben poche squadre
     Per farsi vincitrice.
     Ah sciocca plebe, ove con destra ardente
     105Fulmina Dio, non fa mestier di gente.
Strofe.
Era il buon Gedeone
     In Madïano alle battaglie intento
     Ed a lui disse Dio: Scegli trecento,
     E rieda il rimanente a sua magione;
     110lo non vo’, che oggidi questa vittoria
     Di vostra man sia gloria.
Antistrofe.
Ubbidisce il gran Duce:
     Indi con trombe gl’inimici assale;
     Gli faga, e dietro lor poi mette l’ale,
     115Ed al varco di morte ei gli conduce;
     Tutti del sangue lor fur pieni i lidi,
     E tutto il ciel di gridi.
Epodo.
Or stian tremanti, e dian l’orecchia gli empi;
     Il Dio, che per gli Ebrei fece difesa,
     120Sempre quaggiù rinnoverà gli esempi,
     E sarà scampo alla Romana Chiesa.
     Il sovero s’immerge
     Dentro l’acque spumanti,
     Ma non mai si sommerge:

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     125Il fedele di Dio ben si travaglia,
     Ma non è forza, che atterrarlo vaglia.

XC

X

Strofe.
Grido antico risuona,
     Che la Fama è fornita
     Di mille orecchie, e che mille occhi gira;
     E più, ch’ella ragiona
     5Con mille lingue unite
     Sopra ciò ch’ella ascolta, e ch’ella mira:
     Or quinci d’affermare io prendo ardire,
     Che non mai sempre la sua voce è vera,
     Ma ch’ella alcuna volta è menzognera.
Antistrofe.
10S’accompagna ad errore
     Soverchio favellare;
     Per bella prova oggi ne sono esperto.
     Va famoso rumore
     Empiendo cielo e terra,
     15Che Pindo d’ogni grazia oggi è deserto:
     All’orecchio di Re grillo notturno
     Porta manco di noja, e men l’attrista,
     Che la voce Febea d’un Citarista.
Epodo.
Sorga il Cieco fra noi, che tanto vide,
     20E bene armando la Meonia lira,
     Ei ritolga da Lete il gran Pelide,
     Fia nudo. Dive son le Muse, è vero:
     È ver, che amiche della gloria eterna,
     Sopra l’obblivione elle hanno impero;
     25Ma loro basti quel Parnaso aprico:
     Dirsi talmente ascolto; ora io che dico?
     Che dico? Innalzo i carmi,
     E per la verità m’accingo all’armi.
Strofe.
Chiamo chi regge il freno
     30Inclito della Dora5;
     Chiamo del Mincio a contraddire i Grandi6,
     E vo’ chiamar non meno
     I regi alti dell’Arno,
     Cosmo eccelso, e con lui due Ferdinandi:
     35Costor della mia cetra il Greco legno
     Non ebbero in dispetto, anzi il gradiro,
     E lo fregiaro d’or poi che l’udiro.
Antistrofe.
Quinci lor cara mano,
     Qual d’Aganippe amica,
     40Oggi divulgo e volentier celebro:
     Ma che? Del sacro Urbano
     Vuolsi tacere il pregio,
     Sommo Pastor, sommo Rettor del Tebro?
     Ei dell’Aonio coro e canti e preghi
     45Non solo sempre di buon grado ascolta,
     Ma le sue cetre ei piglia in man talvolta.
Epodo.
Alme Donzelle, che l’eburnea fronte,
     E la bellezza delle crespe chiome
     Terger solete nel Castalio fonte,
     50Su d’Engaddi nel pian fiori intrecciate,
     Sopra il Libano omai tessete fronde,
     E di si gran Pastore il crine ornate:
     Titol d’ingrato a cor gentile è tosco.
     Non sia del tetro obblio nembo si fosco,
     55Che a lui non si rischiari,
     E l’arsa invidia a riverirlo impari.
Strofe.
Degno mai sempre, degno
     Dell’alma eccelsa Sede,
     Ove oggi posto egli è beato, e bea;
     60Poiche il nobile ingegno
     Fra le nebbie del vulgo
     Ma sempre il Sol della virtù scorgea;
     Ne giammai fu del mondo arte si scaltra,
     Che a fargli inganno ella movesse ardita,
     65E non tornasse alla per fin schernita.
Antistrofe.
Fra lor mettono in prova unghioni e denti;
     Tale i suoi Duci armati
     Per l’immenso retaggio
     De’saldi suoi pensieri
     70Nella rocca sublime
     Ad ognor la ragion fa vincitrice:
     Or chi fia che non speri
     Sotto sì fatto scettro
     Sulla terra impetrar vita felice?
     75Fiera tiranna delle piagge Eoe,
     Falange Macedonica, ben dei
     Cosparger di silenzio i tuoi trofei.
Epodo.
Mio stil per ira a favellar non prende;
     Parlo per vero dire, ed è malvagio
     80Chi di sentir la verità si offende,
     Dunque Alessandro abbatte i Greci, e poi
     Fiacca le corna al Nilo, indi fra’ Persi
     L’impeto fa sentir de’ lampi suoi:
     Nè per cammino egli era lasso ancora,
     85Ma ruppe i suoi vïaggi
     Morte crudel che non paventa oltraggi.
Strofe.
Qual leoni affamati
     Sovra cervetta ancisa
     Corsersi incontra a guerreggiar frementi.
     90Ah dell’imperio lor miseri giorni!
     Quanti in quel tempo per discordi acciari
     Ondeggiaro di sangue e fiumi e mari!
Antistrofe.
Al gran guerrier Latino
     Ora volgasi il guardo,
     95Poichè sul Rubicon ruppe il divieto.
     Il popol di Quirino
     Provò secol giammai
     Per la sua libertate unqua men lieto?
     Vide Tessaglia, vide Libia e Spagna
     100Starsene vilipesa, e senza fossa
     La carne uccisa de’ Romani e l’ossa.
Epodo.
Armasi quinci il sucessore, e spiega
     Insegne minacciose a far vendetta,
     Ad altri vincitor la vita niega,
105Tutte funesta le marine Etnee,

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     Ed a domar le Paretonie prore
     Fulmina di furor sull’onde Egee.
     Sì fatti fur quegli oltraggiosi: or quale
     Sacrasi al nome lor fama, immortale?
     110Con strage sì profonda
     Per uomo adunque monarchia si fonda?
Strofe.
O belle Albe serene,
     Che di Roma sgombrare,
     Dolce cosa ad udir, notte sì ria.
     115Pien di pietà sen viene
     Pietro soletto e scalzo
     La Croce a sublimar fin di Soria.
     Vuol che d’ingiusto amor si spegna il foco,
     Che umiltate corregga i cor superbi,
     120E che a ciascun per legge il suo si serbi.
Antistrofe.
Di verace virtute,
     Ad onta de tiranni,
     In mezzo a’ sette colli un fonte aperse;
     E per altrui salute
     125Con intrepido petto
     Sprezzando ogni martir morte sofferse;
     E lui traslato infra le stelle eterne,
     Non vengono quaggiù men successori,
     Per fatti eccelsi, degl’istessi onori.
Epodo.
130L’occhio di Dio, che in ogni parte vede,
     Sceglie per se ministro agli alti uffici,
     Perchè ei s’adora, e gli si bacia il piede:
     Ed oggi al sacro Urban di tre corone
     Orna la fronte, e dàgli in man le chiavi,
     135Sì, che ei del Cielo a suo voler dispone,
     Sommo Pastor della cristiana greggia.
     Or stiasi lieto in sì mirabil Seggia,
     Ed io, per farlo chiaro,
     Su Pindo intaglierò marmi di Paro.

Note

  1. Il cardinale Maffeo Barberini di Firenze, il 6 agosto 1623 creato papa, prese il nome di Urbano VIII.
  2. Allude alla contesa pel possesso della Valtellina sottrattasi al giogo de’ Grigioni, ed occupata dalle armi spagnuole; ma Francia, Venezia, Savoja, ingelosite per questa occupazione, minacciavano di romper guerra al Re di Spagna, il quale temendone gli effetti, lasciò in deposito quella provincia alle armi pontificie, finchè il papa Gregorio XVI desse sentenza. In quel mezzo morì il Pontefice, lasciando la soluzione della contesa al successore Urbano VIII. - Il mostro inferno di cui parla il Poeta è l’eresia de’ Grigioni.
  3. Urbano VIII ne’ suoi verdi anni coltivò assai felicemente la poesia latina ed italiana; era sì profondo nella greca letteratura, che veniva chiamato l’ape attica.
  4. Fu in Francia Nunzio straordinario nel 1601 all’occasione della nascita del figlio primogenito d’Enrico IV, che fu poi Luigi XIII.
  5. Carlo Emanuele I, detto il Grande, fu speciale protettore
    del Chiabrera.
  6. I Signori di Gonzaga furono grandi mecenati non solo del Chiabrera, ma dei poeti e dei letterati più insigni di quell’epoca.