Avvertimenti morali a Demonico

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Isocrate Alessandro Donati Antichità XIX secolo Giacomo Leopardi Indice:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu Avvertimenti morali a Demonico Intestazione 23 gennaio 2021 25% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Operette morali d'Isocrate
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I.

AVVERTIMENTI MORALI

a demonico

In molte cose, o Demonico, si vede essere non piccola varietá dai pensieri degli uomini buoni e d’assai a quelli delle persone tristi e da poco, ma molto piú si discorda Luna dall’altra gente nell’uso dell’amicizia. Perocché questi si sforzano di fare onore agli amici allora solamente che gli hanno dinanzi, quelli anco da lontano gli amano; e le familiaritá dei tristi in piccolo tempo si sciolgono, ma le amicizie de’ buoni nessuno spazio di tempo è bastevole a scancellarle. Adunque stimando essere conveniente che gli uomini desiderosi di fama e dediti alle lettere, piglino a imitare non mica i tristi ma i buoni, mandoti donando questo discorso in segno cosi dell’amicizia che è tra noi due, come della dimestichezza eh’ io ebbi giá con Ipponico. Perocché bene è ragionevole che i figliuoli succedano nelle amicizie dei padri siccome nelle sostanze. Veggo ancora che la fortuna e il tempo ci favoriscono e ci sono a proposito, atteso che tu sei vago d’imparare, io procaccio d’insegnare altrui, e tu di presente attendi a filosofare, io sto indirizzando gli altri in questa medesima opera. Quelli per tanto che scrivono ai loro amici certi tali discorsi per muovergli allo studio della eloquenza, fanno cosa buona, ma essi però non si adoperano intorno alla parte principale della letteratura. Coloro che ai giovanetti porgono di quegli avvertimenti e consigli che riguardano non a fargli esercitare nella eloquenza, ma si a fargli venire in grado che essi, [p. 128 modifica]in quanto ai costumi, sieno riputati buoni e bennati, riescono di tanto maggiore utilitá che non fanno gli altri sopraddetti, quanto che questi gli spronano allo studio del dire, quelli danno ordine e modo ai loro costumi. Onde io per tal cagione appigliandomi a questo secondo genere di scrittura, intendo proporti a quali cose debbano i giovanetti volgere il desiderio, quali azioni schifare, con quali uomini usare, come governare la loro vita. Ed abbi per fermo che solo per questa via la quale io m’ingegnerò di mostrarti, sono potuti gli uomini veramente giungere alla virtú, bene assai piú pregevole e piú durabile che qualunque altro. La bellezza o per etá si consuma o si guasta per malattia. La ricchezza serve piú alla tristizia ed alla dappocaggine che alla bontá ed al valore, come quella che dá luogo ed agio al vivere ozioso e che invita i giovani alle voluttá del corpo. La forza congiunta colla saviezza suole essere di profitto, ma divisa da quella è usata piuttosto di nuocere a chi la possiede; e come ella adorna il corpo di chi la esercita, cosi reca impedimento alla coltura dell’animo. Sola di tutti i beni la virtú vera e pura invecchia insieme con quelli nei quali nata, crebbe altresi con loro; questa vai piú che la ricchezza, fa piú frutto che la nobiltá; per questa si rendono possibili quelle cose che sono impossibili altrimenti; quelle che sono spaventose alla moltitudine, essa intrepida le sostiene; reputa la oziositá vergogna, l’affaticarsi lode. Ciò si comprende agevolmente dalle imprese d’Èrcole e di Teseo, la virtú dei quali fece le opere loro tanto gloriose, che la memoria di quelle anco dall’eternitá intiera non potrá essere spenta. Ma oltre di questo, se tu ricorrerai col pensiero i costumi e i portamenti di tuo padre, avrai per tal modo un bello e domestico esempio di quello a che io mi propongo di confortarti. Perocché tuo padre non ebbe in piccolo conto l’essere virtuoso, non visse una vita pigra e codarda, anzi esercitava il corpo colle fatiche, coll’animo sosteneva fortemente i pericoli. Non amava le ricchezze fuori di modo, ma usando come mortale i beni che aveva, a un medesimo tempo teneva tanta cura delle cose sue, come se fosse stato immortale. Non [p. 129 modifica]fu nel tenore della sua vita abbietto e spregevole, anzi amatore dell’onesto e del decoroso, anzi magnifico, ed agli amici cortese e largo. Faceva piú conto di quelli che lo amavano e si adoperavano per lui, che di chi gli era congiunto di parentela, perocché stimava che in quanto all’amicizia, valesse piú la natura che la legge, i costumi che il sangue, la elezione volontaria che la necessitá. Il tempo mi verrebbe meno se io volessi annoverare tutti i suoi fatti. In altre occasioni ci proveremo di esporli accuratamente. Ora ho voluto farti, come a dire, un abbozzo della sua natura, nel quale mirando, come in un esempio, ti conviene regolare e formare la propria vita, proponendoti i costumi d’Ipponico quasi per legge, e facendoti imitatore della virtú paterna. Imperocché gran vergogna sarebbe che, dove i pittori si studiano di ritrarre le persone belle, i figliuoli non imitassero i genitori buoni. E sta’ sicuro che egli non si conviene tanto a nessuno atleta di esercitarsi per combattere cogli avversari, quanto a te di porre ogni studio per avere a esser buon concorrente d’Ipponico nei costumi e negl’ instituti della vita. Ma di una si fatta cosa è impossibile venire a capo, chi non abbia l’animo pieno di molti e di begli ammaestramenti ; essendo che, siccome colle temperate fatiche i corpi, cosi gli animi per natura si migliorano coi buoni ragionamenti dei letterati. Per le quali cose io mi sforzerò di mostrarti succintamente con quali instituti io creda che tu possa fare nella virtú il progresso maggiore, ed essere piú riputato e lodato da tutti gli uomini. Primieramente osserva ogni debito di pietá verso gli dèi, non solo con sacrificare, ma con mantenere i giuramenti, la qual cosa è indizio di costumi onesti e buoni, laddove il sacrificare è segno di ricchezza. Onoragli in qualunque tempo, ma specialmente insieme colla cittá, donde a un’ora medesima tu ti mostrerai pietoso verso di quelli ed ossequioso alle leggi. Circa i genitori pòrtati in quel modo appunto, come tu vorresti che i tuoi figliuoli si portassero verso di te. Degli esercizi del corpo fa’ di usare quelli che giovano alla sanitá, non quelli che conducono alla robustezza; e questo [p. 130 modifica]ti verrá fatto se piglierai per costume di rimanerti dalla fatica innanzi che tu non la possa piú sostenere. Guárdati dal ridere smoderato e dalla baldanza nel parlare, perché quello è proprio degli sciocchi e questa dei pazzi. Pensa che quelle cose che sono vergogna a farle non sono anche oneste a dirle. Avvézzati a dimostrarti di una cera non mica accigliata, ma si pensierosa e grave, perché da quella si acquista nome di superbo, da questa di assennato. Fa’ ragione che ti si convenga sopra tutto di essere composto, verecondo, giusto, temperante; perocché la costumatezza dei giovani pare che consista principalmente in queste cose. Non isperar mai, commessa un’azione brutta, ch’ella abbia a restare occulta. Imperocché quando ella rimanesse nascosta a tutti gli altri, sarebbe pur manifesta a te medesimo. Temi Iddio. Onora chi ti generò. Abbi verecondia degli amici. Ubbidisci alle leggi. Attendi di procacciare di quei difetti che sono congiunti all’onore e alla lode, perocché il piacere accompagnato coll’onesto è cosa ottima, altrimenti è la peggior cosa del mondo. Fa’ di tenerti libero da qualsivoglia imputazione, eziandio falsa; perché il piú della gente non sanno la veritá delle cose e guardano all’opinione. Govèrnati in maniera come se ogni tuo fatto fosse per essere conosciuto da tutti gli uomini. Perocché se anco avrai facoltá di nasconderlo di presente, verrá tempo che egli si risaprá. Volendo avere una buona riputazione, ingégnati massimamente di non far cosa che tu fossi per biasimare in altri che la facessero. Molte cose saprai se tu sarai vago di sapere. Consèrvati coll’esercizio le cognizioni acquistate, e fa’ ogni diligenza d’ imparare quello che tu non sai, considerando che non men brutta cosa è a non apprendere un buono ammaestramento che tu abbia udito, che a non accettare un dono che ti sia [p. 131 modifica]pòrto da un amico. Quel tempo che tu avrai libero dai negozi, spendilo nell’ascoltare i letterati, e per tal modo t’interverrá di apprendere agevolmente quello che dagli altri fu trovato con difficoltá. E hai da tenere per certo che di cosi fatte cose sono molte che l’averle imparate vai piú di molte ricchezze, atteso che queste mancano in poco d’ora, ma quello si è un bene che resta sempre. Perciocché, di tutti gli averi, solo la sapienza non è sottoposta a potersi perdere. Non ti rincresca di pigliare un lungo cammino per andare a trovar quelli che fanno professione d’insegnar qualche cosa utile, perché certo egli è una vergogna a pensare che i mercatanti per accrescere le loro sostanze valichino tanti mari, e i giovani non sostengano di fare un poco di strada per terra, a fine di migliorare le loro menti. Dimostrati nei modi gentile e compagnevole, al che si appartiene il salutare, l’interrogare e simili, di proprio moto; nelle parole affabile, al che si aspetta l’essere nei colloqui facile e familiare. Usa cortesemente con chicchessia, ma dimesticamente solo coi migliori. Cosi gli uni non ti vorranno male e gli altri ti diventeranno amici. Non volerti intrattenere né molto spesso colle medesime persone, né molto lungamente sopra le stesse materie, perché tutto sazia a lungo andare. Di tratto in tratto pigliati qualche fatica volontariamente per assuefarti, sicché tu possa reggere a quelle che ti converrá pigliare per necessitá. Sforzati di signoreggiare tutte quelle passioni dalle quali si disdice all’uomo di essere signoreggiato; ciò sono la cupidigia della roba, l’ira, la sensualitá, la tristezza. Ed egli ti avverrá di signoreggiarle se tu reputerai per guadagno quelle cose per le quali tu sarai, non piú ricco, ma piú pregiato; se per li mancamenti degli altri tu non ti adirerai piú di quello che tu vorresti che gli altri si adirassero teco ove tu fallassi; se giudicherai star male e disconvenirsi all’uomo comandare ai famigli e servire alle libidini; se in ogni tuo sinistro ti rivolgerai per la mente le calamitá degli altri e la condizione della tua natura. [p. 132 modifica]Metti piú diligenza in serbare i depositi, per dir cosi, di parole, che quelli di danari ; perciocché ogni uomo da bene dèe dare a vedere che piú fede si meritino i suoi costumi che i suoi giuramenti. Fa’ conto che egli bisogna cosi diffidarsi dei tristi come fidarsi dei buoni. Non comunicare i segreti a chicchessia, salvo se il tacerli non fosse utile a quelli a cui tu gli rivelassi, non meno che a te proprio. Non pigliare a far giuramento se non se per l’una delle due cause, o di liberarti da una imputazione ignominiosa, o di salvare un amico da qualche pericolo. Ma per causa di danari o di roba non voler mai giurare a nessun iddio, se bene tu fossi per farlo con veritá; perché la gente penserebbe che tu spergiurassi o che tu ti movessi per avarizia. Non ti obbligar per amico a nessuno che tu non abbia indagato il modo come egli sará proceduto verso gli amici accostatiglisi prima, perché non hai da aspettare che egli ti riesca diverso da quello che avrá fatto a loro. A prendere le amicizie si vuol andare a rilento, ma prese, sforzarsi di conservarle, perché egli è disdicevole parimente a non avere nessun amico e a mutargli spesso. Non si vuol fare esperienza degli amici con proprio danno, né starsene senza avergli provati. Per questo tu dèi fingere alcun bisogno che tu non abbi, e comunicare agli amici alcuna cosa la quale si possa divulgare, e raccomandarla che se l’abbiano in segreto. Cosi, quando essi ti manchino, tu non ne riceverai nocumento, e quando non ti manchino, tu gli conoscerai meglio. Giudicagli massimamente secondo che ti riescono nelle sventure e nei pericoli che ti occorrono, essendo che egli si conosce l’oro nel fuoco e gli amici nelle avversitá. Per la tua parte, tu procederai verso loro nel miglior modo, se non aspetterai che essi ti richieggano, ma spontaneamente, quando lor fará di mestieri, gli aiuterai. E pensa che a lasciarsi vincere dagli amici ne’ benefizi è cosa non manco vituperevole che a lasciarsi superare nelle offese dagl’inimici. Abbi in molto pregio non solamente [p. 133 modifica]quelli de’ tuoi familiari che si attristano del tuo male, ma eziandio quelli che non si attristano del tuo bene; imperocché sono molti che pigliano dispiacere delle avversitá dell’amico, e nelle prosperitá gli hanno invidia. Degli amici assenti fanne menzione coi presenti alcuna volta, acciocché questi pensino che, eziandio lontani, tu non mancherai d’avergli a memoria. Nel vestire segui la eleganza e la magnificenza, ma non le attillature e le squisitezze. Non amar che la roba ti soprabbondi, ma si bene di usarla moderatamente. Fátti beffe di quelli che vanno dietro alle ricchezze e non sono buoni a servirsi di quel che hanno, perché questi tali sono come chi avesse un cavallo bellissimo e non sapesse cavalcare. In somma ingégnati di sapere e goder le ricchezze ed usarle bene. E fa’ molto conto della tua roba per due rispetti: l’uno, per poter pagare, occorrendo, una multa grossa; l’altro, per poterne sovvenire a un amico d’assai che fosse in qualche miseria. Per ogni altro rispetto non volerla stimare piú che mezzanamente. Abbiti per lieto e pago della tua condizione: tuttavia cerca di vantaggiarti. Non rimproverare a persona del mondo una sua mala ventura; perché la fortuna è comune e l’avvenire incerto. Fa’ benefício ai buoni. Perocché se un uomo da bene ci ha obbligo di un servigio, egli è come avere un bel capitale riposto. A giovare ai malvagi, t’interverrá cornea quelli che danno mangiare ai cani altrui, perché questi abbaiano non meno a chi porge loro che agli altri, e i malvagi fanno parimente ingiuria a chi gli benefica e a chi gli offende. Non altrimenti abbi in odio chi ti adula che chi t’inganna, perché gli uni e gli altri, se tu gli credi, ti nocciono. Se tu accarezzerai quegli amici che ti gratificheranno in cose cattive e brutte, tu non ne avrai di quelli che per fin di bene si mettano a pericolo di venirti in odio. Nel conversare dimòstrati umano e trattabile, che è cosa che piace a tutti ; non duro, non disdegnoso, che non lo possono patire appena gli schiavi. A volere esser trattabile e [p. 134 modifica]conversevole, ti bisogna fuggire la ritrosia, non istare troppo in sui punti, non appiccar lite per ogni cosa; quando altri si adira, eziandio se a torto, non te gli avventar fieramente addosso colle parole, ma cedergli in su quel suo caldo, poi riposato quell’impeto, allora riprenderlo; non trattar gravemente le cose da ridere, né pigliare in giuoco le gravi, imperocché tutto quello che è fuor di luogo rincresce sempre; e quando tu fai piacere agli altri, non farlo spiacevolmente, a uso di molti, che ben fanno servigio agli amici, ma con mal garbo e come di mala voglia; e non essere vago di querelare altrui, che è cosa molesta, né di riprendere, che suole irritare gli animi. Dalle compagnie del bere guardati piú che puoi. Ma occorrendoti di trovarti a qualcuna, lévati su prima di esserne alterato, perocché la mente che sia stravolta dal vino è simile a un carro, il quale, perduto il cocchiere, non avendo chi lo indirizzi, è tirato qua e lá scompigliatamente. E cosi quella, per avere l’intelletto guasto, incorre in mille disordini. Tu dèi sentire e operare piú che umanamente, con essere generoso e magnanimo; ma tu hai da procedere come uomo, con fare un misurato uso delle tue facoltá. Considera che la scienza e l’erudizione tanto è piú da anteporre all’essere degl’idioti, quanto che tutte le altre cose cattive si usano con profitto proprio, ma l’ignoranza sola è di pregiudizio a coloro che l’hanno in sé. Ai quali spesse volte accade che avendo offeso altrui con parole, essi ne portano pena di fatto. Volendo entrare in amicizia con qualcuno, tocca una cosa o un’altra in lode di quello a tali che gliel rapportino. Perocché la lode è seme di amicizia, siccome di nimistá il biasimo. Nel deliberare proponti dinanzi agli occhi, quasi come esempi, le cose passate, e pigliane argomento delle future. Imperciocché la via piú spedita a conoscere le cose occulte, si è di farne giudizio dalle palesi. Delibera adagio ed eseguisci spacciatamente. E ricòrdati che i due beni maggiori che possa aver l’uomo al mondo, sono, da Dio la buona fortuna, e da sé medesimo il buon consiglio. In caso che tu volessi confe[p. 135 modifica]rire di alcuna tua faccenda con un amico, e ti vergognassi a favellargliene apertamente, favella mostrando che egli sia fatto d’altri, e per questo modo ti verrá conosciuto il parere dell’amico senza scoprirti. Quando tu sei per chieder consiglio ad alcuno sopra i casi tuoi, guarda innanzi tratto come egli si è governato nei casi propri; perché quelli che nei fatti loro provveggono male, non troveranno mai buon partito nei fatti d’altri. A procedere poi consigliatamente in ogni negozio t’indurrá sopra ogni altra cosa il pensiero dei mali che nascono dalla inconsiderazione, nel modo che egli si ha piú cura della sanitá quando altri si ricorda dei patimenti che porta seco la mala abitudine corporale. Imita i costumi dei principi, e va’ dietro a quelle medesime cose cui vanno essi; perch’egli parrá che tu gli approvi e che tu li reputi per esempi da seguitare; onde t’interverrá che la moltitudine ti avrá maggiore opinione, e la grazia di quelli ti verrá conservata meglio. Anco le leggi state poste dai principi ti si convengono osservare, ma tu dèi far conto che la legge piú forte di qualunque altra, sieno i costumi di essi principi; atteso che siccome a quelli che vivono laddove il reggimento è del popolo, bisogna gratificare alla moltitudine, cosi quelli che dimorano laddove è monarchia, deggiono coltivare il re. Assunto a qualche magistrato, non volerti servire di gente trista a nessun ufficio, imperocché le persone daranno la colpa a te del male che faranno quelli. Procaccia di uscire delle amministrazioni pubbliche non piú ricco di prima, ma piú lodato, perciocché la lode dell’universale vai piú che non poche ricchezze. Non intervenire a misfatti e non pigliarne a patrocinare, perché altri penserá che tu faccia di cotali azioni quali saranno quelle agli operatori delle quali tu t’impaccerai di dare aiuto. Fa’ di condurti in grado tale, che tu possa avvantaggiarti dagli altri se tu volessi, ma contèntati della condizione uguale alla loro. Acciocché tu mostri di seguitare il giusto, non per impotenza ma per moderazione d’animo. [p. 136 modifica]Abbi piú cara una povertá congiunta colla giustizia, che una ricchezza ingiusta. Perocché le ricchezze non giovano all’uomo se non solamente in vita, dove che la giustizia ci fa gloriosi anche dopo morte; e di quelle partecipano ancora i malvagi, ma di questa non possono mai essere a parte. Non avere invidia a nessuno il quale tu vegga far guadagno per via d’ingiustizia, ma piuttosto ama ed onora quelli che scapitano per amore della rettitudine. Imperocché i giusti, quando nessun altro vantaggio abbiano dagl’iniqui, certamente gli vincono nelle buone speranze. Abbi cura di tutto ciò che ti si appartiene, ma sopra tutto di addestrare ed esercitare il senno tuo proprio. Cosa grandissima, contenuta in una picciolissima, si è in un corpo umano una mente buona. Ama e procura l’uso delle fatiche nel corpo, la sapienza nell’animo, acciocché tu possa coll’uno recare ad effetto le risoluzioni prese, coll’altro conoscere i partiti migliori. Nessun detto mai ti esca di bocca, che tu non lo abbi considerato prima nel tuo pensiero; contro all’usanza di molti, nei quali la lingua precorre all’intendimento. Se niuna cosa umana reputerai stabile e ferma, tu non sarai troppo lieto nella fortuna prospera né soverchiamente tristo nella contraria. Non si vuol favellare se non solamente in due casi : o quando la necessitá lo richiede, o quando altri ha piena contezza di ciò che egli è per dire; poiché solo in questi due casi meglio è parlare che tacersi; dove al contrario in tutti gli altri, meglio è il silenzio che la favella. Rallégrati delle prosperitá e dòlgati degl’infortuni moderatamente, ma non lasciare scorgere agli altri né quella tua letizia né questo dolore; perché certo ella è cosa stoltissima tenere le robe riposte e celate in casa, e andare coll’animo scoperto e visibile a tutti. Guardati piú dalla mala fama che dai pericoli, essendo che egli si convenga ai tristi e agli sciocchi temere la fine della vita, agli uomini buoni e savi temere di essere sottoposti [p. 137 modifica]all’infamia vivendo. Ingégnati si bene di vivere in sicurtá. Ma in caso che egli ti avvenga di correre alcun pericolo, cerca nella guerra quello scampo che è congiunto alla buona, non quello che alla cattiva fama. Perciocché tutti parimente ci condannò il fato a morire, ma solo ai valorosi e buoni assegnò la natura un fine onorato. E non ti maravigliare se molte delle cose dette di sopra non sono acconce all’etá nella quale ti ritrovi ora; perciocché ancora io lo sapeva bene, ma ti ho voluto in una scrittura medesima porgere di quei consigli che si confacessero alla tua vita presente, e lasciarti di quelli che si appartenessero alla futura. Dei quali, come sará tempo, tu conoscerai facilmente l’opportunitá, ma non cosi di leggeri troverai chi si faccia con animo benevolo a consigliarti. Perciò m’è paruto non lasciar cosa alcuna indietro di quelle che mi sovvenissero da proporti a osservare, a fine che tu non avessi a procacciar da altri quelle che mancassero qui, ma nella occorrenza tu le potessi cavare da questo ragionamento, come da un ripostiglio. Io sarei tenuto agli dèi come di un beneficio grande se l’opinione che ho di te non riuscisse vana. Noi veggiamo la piú parte degli altri, siccome tra i cibi anteporre i piú dilettevoli ai piú salubri, cosi degli amici accostarsi a quelli che si fanno loro compagni nelle opere biasimevoli, piuttosto che a quelli che gli avvertono ed ammoniscono. Ma riguardando alla diligenza e prontezza che tu dimostri negli altri tuoi studi ed esercizi, io mi persuado che tu sia d’opinione e d’animo contrario a costoro: imperciocché uno che da sé stesso s’induce a seguitare le cose buone, è da credere che abbia in grado coloro che lo esortano alla virtú. Ed all’amore delle cose onorate questa considerazione sopra ogni altra t’infiammerá, che da quelle noi riceviamo i diletti piú puri e piú veraci del mondo. Perciocché nell’uso della infingardaggine e della lussuria, tosto i dolori e le molestie s’appigliano e si mescolano alle dolcezze, ma dell’esercizio della virtú e dalla modestia della vita, sempre si [p. 138 modifica]raccolgono piaceri schietti e durabili. E dove da quelle altre cose prima riceviamo il piacere e poscia il contrario, da queste all’incontro dopo i travagli si riportano le dolcezze. Ora in ciascheduna cosa noi sentiamo il fine assai piú che non abbiamo a memoria il cominciamento, e la maggior parte delle azioni si fanno, non per sé, ma per rispetto di quello che ne dèe nascere. Considera altresi che agli sciocchi e da poco è lecito operare a caso, per aversi eletta insino da principio questa cotal maniera di vita; ma quelli che vogliono parere assennati e valenti non possono mancare di attendere alla virtú, o bisogna loro incorrere nella riprensione di molti. Perocché non tanto sono odiati quelli che procedono male, quanto coloro che fanno professione di costumi lodevoli, e negli effetti non si diversificano punto dalle persone volgari. E in veritá, se quelli che dicono bugia pur di parole sono riprovati da ciascuno, molto ragionevolmente saranno reputati tristi coloro che mentiscono, per dir cosi, con tutta la vita. E si potrebbe dire che questi tali non solamente peccano contra sé stessi, ma sono eziandio traditori della fortuna, la quale gli forni di ricchezze, di riputazione e di amici, ed eglino si sono renduti indegni della felicitá ricevuta. Che se ad uomo mortale non si disdice far qualche congettura dell’animo degli dèi, pare a me che anche questi abbiano dato ad intendere in che disposizione sieno verso i malvagi uomini e verso i buoni, e ciò massimamente in certi a sé congiuntissimi di sangue. Imperciocché avendo Giove, secondo che narrano le favole ed è creduto da tutti, generato Ercole e Tantalo, l’uno per la sua virtú fece immortale, l’altro per la tristizia puní con supplicii gravissimi. Ai quali esempi guardando, si vuol fare ogni sforzo di giungere alla costumatezza e alla virtú, e non solo osservare le cose dette da noi, ma imparare oltre di ciò le migliori che abbiano scritte i poeti, e se gli altri sofisti hanno detto alcuna cosa utile, pigliare la fatica di leggerle. Imperciocché nel modo che noi veggiamo fare alla pecchia, la quale si posa in su [p. 139 modifica]tutti i fiori e da ciascuno prende quello che le fa profitto, medesimamente coloro che vogliono essere bene instituiti ed ammaestrati, debbono assaggiare, per dir cosi, di ogni cosa, e da tutte le parti raccòrre insegnamenti utili: essendo che, eziandio con questa fatica, appena si possono vincere i difetti della natura.