Critica della ragion pura (1949)/Prefazione a questa traduzione

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Prefazione a questa traduzione
Critica della ragion pura (1949) Dedica
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PREFAZIONE A QUESTA TRADUZIONE


I

Tutta l’attività letteraria di Kant si suole dividere in due periodi principali: di cui l’uno va dal 1746 al 1770, e l’altro da questo anno alla morte del filosofo (1804), o, se si vuole, al 1798, data dell’Antropologia, ultima opera da lui pubblicata. Il 1770 segna il passaggio dal periodo precritico al periodo critico della speculazione kantiana con la dissertazione De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, scritta da Kant per ottenere la cattedra di ordinario di Logica e Metafisica nella Università di Königsberg.

Gli scritti precedenti si muovono o nell’àmbito della scienza naturale e matematica, di cui il criticismo posteriore doveva ricercare la possibilità e determinare il concetto, o in quello della metafisica leibniziana, di cui il criticismo doveva più tardi dimostrare l’impossibilità. Di questi scritti basterà ricordare i principali:

Pensieri intorno alla vera valutazione delle forze e critica degli argomenti, di cui si son serviti in questa questione Leibniz e altri meccanici (1746). Questo libro porta la data dell’anno in cui fu incominciato a stampare; ma la dedica è del 1747, e il libro pare fosse finito di stampare nel ’49.

[p. ii modifica]Storia generale della natura e teoria del cielo, o Saggio intorno alla costituzione e all’origine meccanica del mondo secondo i principii newtoniani (1755).

Pricipiorum primorum cognitionis metaphysicae nova dilucidatio (1755).

Metaphysicae cum geometria junctae usus in philosophia naturali, cuius speciem I continet monadologiam physicam (1756).

Nuova osservazioni sulla spiegazione dei venti (1756).

Nuova teoria del movimento e della quiete (1758).

Saggio di alcune osservazioni intorno all’ottimismo (1759).

La falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche (1762).

Tentativo d’introdurre il concetto delle quantità negative in filosofia (1763).

L’unico possibile argomento dell’esistenza di Dio (1763).

Ricerche sulla evidenza dei principii della teologia naturale e della morale (1764).

Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime (1764).

Del primo principio delle differenze delle regioni nello spazio (1768).

Nell’uno o nell’altro di questi scritti lo storico della genesi del pensiero kantiano scorge le tendenze e i germi del criticismo; ma questo nasce, si può dire, nella Dissertazione del 1770: dove Kant si stacca dalla filosofia leibniziana, distinguendo nettamente la conoscenza sensibile dalla conoscenza intellettuale: quella dei fenomeni, questa dei noumeni; e abbozzando, rispetto alla prima, quell’Estetica trascendentale, che sarà la prima parte e il fondamento della Critica della ragion pura: mostrando, cioè, come ogni conoscenza sensibile risulti dalla materia, o sensazione che presuppone la presenza di qualche cosa di sensibile, e dalla forma, onde la mente umana coordina e unifica nello spazio e nel tempo il molteplice della sensazione, per dar luogo alle conoscenze particolari, che l’intelletto, nel suo uso logico, elabora in concetti comuni e leggi generali, costi[p. iii modifica]tuendo la vita e propria esperienza. Dall’uso logico si distingue bensì l’uso reale dell’intelletto; il quale non serve più all’elaborazione concettuale della conoscenza sensibile, ma alla produzione d’una conoscenza nuova, indipendente dall’esperienza: la metafisica, che è la dottrina del puro intelletto o delle idee pure («possibilità, esistenza, necessità, sostanza, causa, ecc. coi loro contrarii, anzi correlati»): le quali non derivano dall’esperienza, anzi costituiscono la natura stessa dell’intelletto puro, e quindi le sue leggi necessarie operanti inconsapevolmente nello stesso uso logico per la costituzione dell’esperienza. Questa dottrina delle idee pure, o intellezione reale, dà la conoscenza delle cose in sè o dei noumeni, il cui principio è Dio.

L’intelletto puro è, insomma, nel suo uso reale, la ragion pura, di cui si occuperà la critica posteriore; e la possibilità o meno della sua intellezione reale (per la quale, fin dal 1770, Kant vede che si richiederebbe un’intuizione intellettuale analoga a quella sensibile, che fornisce la materia prima della esperienza), resta il problema, su cui Kant si travaglierà per un intero ventennio: e la cui soluzione, iniziata nel 1781 con la Critica della ragion pura, si compie nel 1790 con la Critica del giudizio. Tra queste due critiche si collochi la Critica della ragion pratica (1788): e si ha la trilogia del criticismo kantiano; della quale i Prolegomeni a ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza (1783), la Fondazione della metafisica dei costumi (1785), i Principii metafisici della fisica, la polemica con l’Eberhard Intorno a una nuova scoperta, secondo la quale ogni nuova critica della ragion pura sarebbe resa inutile da una più antica (1790), la Religione dentro i limiti della semplice ragione (1793), i Principii metafisici della dottrina del diritto con i Principii metafisici della dottrina della virtù (1797), la già ricordata Antropologia, con altri scritti minori e postumi, sono rimaneggiamenti parziali, chiarimenti, appendici, svolgimenti particolari; che non aggiungono, per altro, nè modificano alcuna parte sostanziale del pensiero esposto nella detta trilogia.

[p. iv modifica]Nella quale trilogia si spezza, per così dire, e si riorganizza, integrandosi, il pensiero della Dissertazione del 1770. In questa Dissertazione, la scienza è scienza del mondo sensibile e scienza del mondo intelligibile: esperienza e metafisica. La Critica della ragion pura è la dimostrazione dell’impossibilità della metafisica, e della necessità di limitare la scienza al mondo sensibile. La Critica della ragion pratica è, invece, la dimostrazione dell’impossibilità d’intendere lo spirito (etico), in quanto libertà, dal punto di vista dell’esperienza, ossia con la scienza garentita dalla prima Critica: quindi, della necessità di una scienza a sè dell’intelligibile in quanto spirito. Donde una dualità di esperienza e metafisica, analoga a quella posta nella Dissertazione del 1770: ma con la differenza, che in questa Dissertazione la vera scienza per Kant è la metafisica, e qui, invece, è la esperienza: lì al contrario, la vera realtà è quella del mondo sensibile o della nautra, qui quella del mondo intelligibile o dello spirito. Via via, si può dire, che a Kant si disfà tra mano la scienza del noumeno, gli cresce il desiderio di questo, e il senso profondo della sua realtà. Donde il bisogno di una conciliazione tra il concetto di questa realtà, che è libertà e fine, e quella scienza, che si fonda sulla negazione del fine e della libertà: bisogno, che il Kant procura di soddisfare con la Critica del giudizio, dove il giudizio riflesso sulla natura, oggetto della scrienza, dà al filosofo come una seconda vista, la quale al di sotto del meccanismo scorge una finalità necessaria all’intelligenza della natura, e solleva tutta la realtà, da un punto di vista regolativo, e cioè spirituale, al piano dello spirito.


II

Non aveva, si può dire, pubblicato la dissertazione De mundi sensibilis, e già Kant ne ripigliava il problema, e s’accingeva alla Critica della ragion pura. In una lettera, infatti, del 7 giugno 1771 all’amico e scolaro Marco Herz[p. v modifica]notizia di un lavoro, a cui attendeva, dal titolo: I limiti della sensibilità e della ragione; il quale doveva non solo trattare dei concetti fondamentali e delle leggi concernenti il mondo sensibile, ma contenere anche «un abbozzo di quel che costituisce la natura della dottrina del gusto, della metafisica e della morale»; poichè gli sembrava di grande utilità, non soltanto per la filosofia, ma anche pei fini più importanti dell’umanità in generale, che si sappia distinguere bene tra ciò che appartiene alla natura degli oggetti; e che si conosca esattamente «ciò che riposa sui principii soggettivi dei poteri dell’anima umana, non solo del senso, ma dello stesso intelletto»1. I diversi problemi fondamentali — osserva a proposito di questa lettera il Fischer2 — sono raccolti qui tutti insieme nel disegno d’una sola opera, che avrebbe abbracciato così la materia di tutte le tre Critiche.

Ma, ben presto, dalla nebulosa si cominciò a staccare, com’era naturale, e pigliar corpo a sè la questione fondamentale: la teoretica. In una importantissima lettera, del 21 febbraio 1772, Kant scrive allo stesso Herz: «Percorrendo col pensiero la parte teoretica in tutta la sua estensione nei rapporti reciproci de’ varii elementi tra loro, mi sono accorto, che a me manca tuttavia qualcosa d’essenziale, a cui, come gli altri, nè anche io, nel corso delle mie ricerche metafisiche, avevo posto mai attenzione, e che in realtà è la chiave di tutto il segreto della metafisica rimasta finora un mistero. Io, cioè, mi sono chiesto: su quale base è fondato il rapporto di ciò, che si dice in noi rappresentazione, con l’oggetto?»3. Questo rapporto non si spiega per via naturale, considerando i nostri concetti come cause o come effetti degli oggetti. La spiegazione sovrannaturale suppone un’illuminazione divina (Platone, Malebranche) o un’armo[p. vi modifica]nia prestabilita (Leibniz), e si rifugia in ambo i casi nell’intervento divino. «Se non che, il Deus ex machina, per la determinazione dell’origine e del valore delle nostre conoscenze, è ciò che di più assurdo si possa soltanto pensare, e oltre al circolo fallace, che importa nella concatenazione logica delle nostre idee, ha lo svantaggio di venire in aiuto al fantasticare delle chimere divote e sofistiche.» La sua ricerca quindi s’indirizza alle «fonti della conoscenza intellettuale» per determinare la natura e i limiti della metafisica. «Ora sono in grado di fornire una critica della ragion pura, contenente la natura della conoscenza, sì teoretica che pratica, in quanto semplicemente intellettuale: di cui prima elaborerò la prima parte circa le fonti della metafisica, i suoi metodi e limiti; e la pubblicherò forse fra tre mesi»4.

In questa lettera apparisce la prima volta il titolo della prima e maggiore Critica, concepita tuttavia come un sol tutto con la seconda. Ma della prima si comincia già a vedere anche l’indipendenza dalla seconda nel disegno dell’autore, dove ne accenna il contenuto, dicendo che essa comprenderebbe «una critica, una disciplina, un canone e una architettonica della ragon pura»: che sono, infatti, le principali sezioni della Critica della ragion pura.

Pure, trascorsero più di tre mesi e di tre anni prima che l’opera fosse scritta. Lo stato della salute, molto cagionevole, e la difficoltà delle analisi laboriose richieste sopra tutto dall’Analitica trascendentale, obbligaroon Kant a lavorarvi attorno ben dieci anni: durante i quali non pubblicò se non alcuni piccoli scritti di nessun interesse per la sua filosofia critica: una recensione d’uno scritto Sulla differenza di struttura tra le bestie e gli uomini (1771), una dissertazione Delle diverse razze umane (1775), e tre articoli pedagogici sul Filantropino del Basedow (1776, 77, 78).

Nè la redazione dell’opera progrediva a passo a passo col tempo. Anzi, è fuor di dubbio, che essa prese nel pen[p. vii modifica]siero di Kant la sua forma definitiva solo negli ultimi anni, o, meglio, negli ultimi mesi di questo faticoso periodo d’incubazione. In una lettera, scritta il 5 aprile 1778, all’Herz, Kant fa conto ancora di poter pubblicare tra pochi mesi la «promessa operetta» e scrive al suo corrispondente: «Le cause del ritardo per un lavoro, che ammonterà a un numero di fogli non grande, spero vorrà un giorno trovarle giustificate per la natura della cosa e dello stesso disegno propostomi». L’operetta, a ogni modo, tra pochi mesi sarebbe stata stampata.

L’operetta, invece, divenne un’opera, e non fu pronta per la stampa se non verso la fine del 1780. L’editore Hartknoch di Riga, per l’intromissione di Hamann, il 9 settembre aveva offerto a Kant di stampare la sua opera5; e dalle lettere dello stesso Hamann sappiamo, che nel dicembre essa era in corso di stampa. Il 6 aprile 1781 Hamann ricevette i primi trenta fogli; e nel maggio, i diciotto seguenti; onde, quattro giorni dopo, scriveva a Herder: «Un libro così corpulento non è proporzionato nè alla statura dell’autore nè al concetto della ragion pura, che egli contrappone alla pigra — alla mia». E dovette aspettare altre sei settimane per avere tutto il resto con la fine e col principio del libro: e gli ultimi giorni di luglio per ricevere dalla mano del filosofo l’esemplare a lui dedicato.

L’operetta, dunque, di tre anni prima riuscì un grosso volume, il cui numero di fogli supera due alfabeti. Segno evidente, che l’opera pubblicata non solo non era scritta intorno alla metà del 1778; ma allora non si poteva nè anche calcolare dall’autore quali proporzioni essa avrebbe assunte. Non si tratta, come dice il Fischer, di lavoro di lima e di semplici ampliamenti, che Kant potè fare nel ricopiare in pulito il suo manoscritto: ma della vera e propria stesura definitiva, in cui fuse certamente varii materiali raccolti già intorno alle singole parti. E bisogna pertanto intendere alla lettera quello che Kant dice al Mendelssohn [p. viii modifica]nella lettera del 18 agosto 1783; dove, scusandosi delle oscurità della Critica, se ne dice dolente, ma non meravigliato: giacchè, egli aggiunge, «menai a termine il prodotto della riflessione di uno spazio di tempo di almeno 12 anni, in 4 o 5 mesi circa, quasi di volo, benchè ponendo una grande attenzione al contenuto, ma con poca cura della forma e di quanto occorre per esser facilmente inteso dal lettore»6.

Sicchè la Critica della ragion pura fu stesa nella prima metà del 17807, dopo un’aspra meditazione di molti anni, durante la quale parve spesso all’autore di essere sul punto di acquistare un’idea chiara e definitiva di tutte le parti della sua opera; ma ancora a mezzo il 1778 s’ingannava, e doveva tuttavia lavorarvi ancora per un pezzo.


III

La prima edizione della Critica, dunque, vide la luce a Riga, presso l’editore Johann Friedrich Hartknoch nel 1781, in un volume di xxiv-856 pagine in 8°. Nei primi mesi del 1786 era esaurita; e, nel marzo di quell’anno, Kant si accingeva a una revisione del testo, per una nuova edizione, che venne fuori nel giugno8 dell’anno dopo come hin und wieder verbesserte (qua e là migliorata) in un volume di pp. lxiv-884, presso lo stesso Hartknoch.

Quali miglioramenti Kant intese introdurre nel suo li[p. ix modifica]bro, lo dice egli stesso nella prefazione alla nuova edizione (pp. 33 sgg. q. trad.); nè è di questo luogo entrare a discutere della questione tanto dibattuta, dal Jacobi e dallo Schopenhauer a B. Erdmann e al Fischer, intorno al valore delle differenze tra le due edizioni. Anche in questa traduzione tutte queste differenze si possono studiare e giudicare direttamente. Esse, oltre e leggère variazioni verbali, consistono in ampliamenti e accorciamenti, aggiunte e soppressioni. Sono ampliate nella 2ª edizione l’introduzione e alcune parti dell’Estetica trascendentale; la Deduzione dei concetti puri dell’intelletto è rifatta interamente; parzialmente, il capitolo «Del principio della distinzione di tutti gli oggetti in generale in fenomeni e noumeni». Nell’Analitica dei principii è aggiunta la «Confutazione dell’idealismo» e l’«Osservazione generale sul sistema dei principii»; rifatto e abbreviato assai è il capitolo dei «Paralogismi della ragion pura». Tutte le differenze si riferiscono, dunque, alla parte della Critica, che si dà tradotta in questo primo volume. E le più importanti sono quattro: 1) la nuova forma data alla Deduzione dei concetti puri dell’intelletto; 2) e alla teoria della distinzione dei fenomeni e dei noumeni; 3) l’aggiunta della Confutazione dell’idealismo; 4) i tagli nei Paralogismi della ragion pura. La sostanza di queste differenze variamente giudicata secondo le tendenze diverse dei critici, si può certamente riassumere nello sforzo fatto da Kant, — dopo l’interpretazione berkeleiana, che fu data generalmente della 1ª edizione della Critica, — per isfuggire alle spire dell’idealismo e fondare l’affermazione della cosa in sè. Ma è del pari incontestabile, che, se Kant dai giudizi sulla 1ª edizione fu indotto a scrivere i Prolegomeni e a concentrare nella nuova edizione della Critica il suo pensiero sul bisogno che sentiva fortissimo di non finire nell’idealismo, questo bisgno c’era in lui anche prima, fin dalla Dissertazione del ’70, dove pure si parla del principio del fenomeno fuori del fenomeno. Era la posizione storia di Kant, come di Jacobi e di quanti allora toglievano il problema da Hume.

[p. x modifica]E la 2ª edizione fu sempre riprodotta in tutte le successive fino a quella del Rosenkranz (nel 2° volume dell’edizione delle opere complete di Kant, curata da lui e dallo Schubert) nel 1838: ossia nella terza (Riga, 1790), nella quarta (ivi, 1794), nella quinta (Lipsia, 1799) e nelle due postume: la sesta e la settima (Lipsia, 1818 e 1828). Nel 1815, il Jacobi, nel suo scritto Sull’idealismo trascendentale9, lamentando la mancanza nella 2ª edizione di alcuni passi della 1ª, assai importanti per l’intelligenza dell’idealismo kantiano, notava che la 1ª edizione si era allora resa assai rara e si vedeva solo nelle biblioteche pubbliche e nelle grandi librerie private. Lo Schopenhauer nella «Critica della filosofia kantiana», aggiunta alla sua opera principale, nel 1819, appoggiava la sua critica della cosa in sè, contradditoriamente fondata da Kant nel principio di causa non applicabile se non ai fenomeni, sulla 2ª edizione; e, quando più tardi potè leggere la 1ª, e non vi trovò tale contraddizione e quell’orrore ingiustificabile che vedeva nella 2ª per l’idealismo radicare di Berkeley, trattò questa ultima come un «testo mutilato, corrotto e in certo modo non autentico»: peggioramento senile della mente kantiana; e documento atto a spiegare perchè a Kant era successo il periodo dell’incomprensione di Kant. Egli indusse il Rosenkranz nel 1838 a riprodurre per la prima volta la edizione del 1781, come la vera Critica genuina, scrivendogli tre lettere, di una delle quali il Rosenkranz diede un estratto nella prefazione al suo volume10. Il Rosenkranz bensì riprodusse accortamente in XXVIII Supplementi le principali varianti della 2ª edizione.

Contemporaneamente al Rosenkranz, una collezione completa degli scritti di Kant fu curata dall’Hartenstein (1838), da lui stesso ripubblicata trent’anni più tardi (1867-68): e [p. xi modifica]questi, all’incontro, messo a fondamento il testo del 1787, diede in nota le minori varianti del 1781, e in appendice le due più lunghe intorno alla Deduzione dei concetti puri dell’intelletto e ai Paralogismi. E questa sua edizione riprodusse a parte nel 1853 e nel ’68; quando uscì anche quella del Kirchmann (nella sua Philosophische Bibliothek) con lo stesso metodo11. Una nuova collazione più accurata dei due testi si ebbe nel 1877 per opera del Kehrbach12, e nel 1878 dell’Erdmann13, di cui nel 1884 fu fatta una terza edizione in più luoghi migliorata, si sono rifatti l’Adickes per la sua edizione annotata (1889) e il Vorländer per la sua, assai pregevole, curata nel 1899 per la Bibliothek der Gesammtliteratur di Hendel, ornata di un’introduzione storica e d’un utilissimo indice di persone e di cose, che riesce un glossario veramente prezioso della terminologia kantiana nella Critica14. Ma nel 1900 l’Erdmann, rifacendo per la quinta volta la sua edizione, avvertì15 che tutti gli editori (lui compreso), dal Rosenkranz in poi, avevano seguito a occhi chiusi la tradizione cominciata col Jacobi e collo Schopenhauer, che tutte le edizioni originali, dalla 3ª alla 7ª, riproducessero letteralmente la 2ª; il che è falso, perchè un attento esame dimostra invece, che ogni edizione, dopo la 3ª, si fonda su quella immediatamente precedente; la 6ª quindi sulla 5ª, accogliendo senza criterio tutte le correzioni nel 1795 arbitrariamente proposte pel testo di Kant da un [p. xii modifica]dott. Grillo, e già passate nella 5ª. A causa di un altro errore, per cui si credeva che alla 5ª, come ultime edizione uscita vivente Kant, fosse da attribuire una speciale importanza, il Rosenkranz e l’Hartenstein, pel testo della 2ª edizione, attinsero alla 5ª, che aveva aggiunti i suoi difetti a quelli dell 3ª e della 4ª. Il Kirchmann poi avrebbe riprodotto l’edizione ultima Hartenstein; l’Adickes, per lo più, il testo della 5ª; e lo stesso testo, in più punti, anche il Vorländer. L’Erdmann, pertanto, rifacendo a parte la storia del testo, dimostrata la necessità di cercare nell’edizione del 1787 il testo genuino di Kant16, diede una nuova edizione più esatta della Critica, ancora perfezionata più tardi in quella da lui stesso curata per la collezione delle opere complete di Kant, pubblicata dalla R. Accademia prussiana delle scienze. Ma in questa collezione il testo del 1781 (fino al capitolo dei Paralogismi incluso) e quello del 1787 sono riprodotti separatamente, non senza avvertire via via, a pie’ del secondo, dove occorrono le differenze del primo.

Più utili, senza dubbio, sono le edizioni comuni, complessive, che mettono a riscontro i due testi. Ma a torto dell’uno o dell’altro dei varii editori s’è creduto, che il giudizio comparativo intorno al valore dottrinale delle due edizioni dovesse servire di base alla scelta del testo da porre a fondamento della propria. L’editore non deve giudicare, ma presentare nella forma più schietta e genuina l’opera da giudicare: far opera di filologo e non di filosofo. Pure, movendo da un criterio filologico il Kehrbach e l’Erdmann, come s’è visto, han creduto di dover giungere a conclusioni opposte: parendo al primo, che un’edizione complessiva della Critica, nella prima e nella seconda sua forma, dovesse porre nel testo l’edizione principe del 1781, rappresentante la forma originaria, della quale poi le varianti dell’edizione successiva rappresenterebbero nelle note e nel[p. xiii modifica]l’appendice il posteriore processo di rielaborazione del pensiero kantiano; e parendo, per contro, al secondo, che la seconda redazione rappresenti, secondo la mente dello stesso Kant, la vera forma dell’opera sua; la forma, in cui l’opera fu letta sempre durante i primi cinquant’anni, ossia durante tutto quel periodo della filosofia classica, di cui la Critica segna l’inizio17. Ora è evidente che entrambi questi punti di vista sono egualmente ragionevoli e accettabili; e che però non c’è una ragione per preferire assolutamente un metodo all’altro. L’importante è che, in un modo o nell’altro, si renda possibile lo studio di tutte le differenze tra le due edizioni fondamentali. Ciò che non pare a niun patto accettabile filologicamente, è il partito adottato dagli ultimi traduttori francesi; i quali dànno nel testo l’edizione 1781 con tutte le aggiunte dell’edizione 1787, ma pongono in nota i rifacimenti, che nella 2ª corrono parallelamente ai rispettivi luoghi della 1ª edizione: costituendo così arbitrariamente un testo, che non è nè quello della 1ª edizione, nè quello della 2ª18.

La questione del testo di Kant ha dato bensì anche da fare a causa della scorrezione tipografica delle edizioni curate dallo stesso Kant. Onde è nata una già ricca letteratura di recensioni, che ora emendano errori evidenti, ora propongono congetture più o meno dubbie. Fin dal 1794, nel libro del Mellin Marginalien und Register zu Kants Kritik der reinen Vernunft19, si dava un lungo elenco degli errori di stampa della Critica; e un altro lungo indice ne dava l’anno appresso il dott. Grillo nel Philosophischen [p. xiv modifica]Anzeiger der Annalen der Philosophie u. der philos. Geister, con aggiunte del Meyer. Ma la critica del testo ebbe grande impulso dalla Kantphilologie, che s’accompagnò al fiorire del neokantismo nella seconda metà del secolo XIX. Si cominciò nel 1877 con alcune Textkritische Bemerkungen di Ant. Leclair20, con le recensioni del Kehrbach e dell’Erdmann nelle loro edizioni; continuò il Vaihinger nel suo Commentario della Critica21; e il Vaihinger stesso, il Wille e il Riehle, lo stesso Vorländer, e l’Erdmann vi attesero con lunga pazienza ed acume22. Frutto della stessa Kantphilologie, utile soltanto a chiarimenti meramente verbali del testo, sono le note marginali di Kant a un suo esemplare della Critica, pubblicate dall’Erdmann nel 188123.


IV

Delle traduzioni della Critica fuori del suolo tedesco lunga, com’è noto, è la lista. Non ne manca nessuna delle principali letterature europee24 e non ne mancava già l’italiana; senza dire di quella, assai infelice per vero, fatta in latino da Federico Gottlob Born, professore dell’Università di Lipsia, nel 1796; che pure fu letta da molti anche in Italia prima che s’avessero altri mezzi tra noi per informarsi del contenuto dell’opera celebratissima25. Ma nel 1820 [p. xv modifica]si cominciò a pubblicare nella Collezione dei classici metafisici, che dirigevano a Pavia Giuseppe Germani, Luigi Rolla e Defendente Sacchi, una traduzione italiana; della quale uscirono quell’anno i primi tre tometti; e altri cinque nel 182226. Ne era autore il vecchio chirurgo Vincenzo Mantovani, allora professore supplente di medicina pratica in quella Università; il quale era stato una volta a Koenigsberg e aveva visto nell’atrio della cattedrale, presso l’Università, il busto di Kant, messovi nel 1811; e aveva trovato che quella fronte «per l’ampiezza delle dimensioni e pelle sì pronunziate protuberanze anteriori» poteva servir di «modello alla craniologia di Gall, quando sotto quelle protuberanze riponeva gli organi della finezza e speculazione metafisica». Conosceva l’opera del Villers: Philosophie de Kant ou principes fondamentaux de la philosophie trascendentale (1801), la Storia del Degerando (1804) e la versione francese di quella del Buhle (1816); e se ne giovò per l’intelligenza del testo, per le note aggiunte alla sua traduzione27, e per un discorso Della vita e delle opere di Kant, premesso al primo tomo. Ebbe presente la seconda edizione nella ristampa con la data di Francoforte e Lipsia, 1794. «Edizione», egli dice, «che rinvenne scorretta anzi che no; [p. xvi modifica]e mi sarei trovato più volte imbarazzato in errori di stampa, che il senso affatto scambiavano, se non avessi avuto per cui giovarmi della versione latina, essendo altronde impossibile, o per lo manco assai difficile, che i due testi si combinassero negli stessi abbagli appuntino. Il che avverto, essendo essa pure inesattissima e veramente sibillina»28. E dalla traduzione del Born ritradusse alla meglio la prefazione alla edizione del 1781, seguendo per tutto il resto quella del 1787.

Il saggio della prosa del Mantovani testè riferito può dare un’idea del difetto principale della sua traduzione, non solo «inelegante», com’ei già sospettava, ma così dura da riuscire spesso inintelligibile, per la trascuranza delle norme più comuni della sintassi italiana come per l’uso od abuso stranissimo del vocabolario. È stato detto che questa pubblicazione nocque, lungi dal giovare, alla conoscenza di Kant in Italia. Giudizio forse ingiustamente esagerato, poichè non sarebbe possibile, credo, additare nel Galluppi, che di questa traduzione dovette sempre servirsi, o nel Rosmini, che vi fece anche lui ricorso nelle prime sue opere, prima che avesse imparato il tedesco un’erronea interpetrazione da ascriversi in colpa al povero Mantovani. Il quale pare generalmente esatto nella sua traduzione; ma con la sua orrida forma, che lo stesso Galluppi, nelle sue citazioni, procurava di pulire, dovette certamente, a molti che l’avevano, far passare la voglia di leggere mai in italiano la Critica della ragion pura.

Onde con verità può dirsi, che assai più della traduzione pavese abbiano giovato poi alla conoscenza della Critica kantiana in Italia quelle francesi del Tissot (1835) e del Barni (1869); benchè la prima, letterale, nel proposito del traduttore, presentasse, con le molte durezze, inesattezze non poche d’interpetrazione; e la seconda, più esatta, peccasse di libertà eccessiva verso la forma del testo, dato lo [p. xvii modifica]studio di renderne il pensiero in buon francese e libero dalle oscurità frequenti nella espressione troppe volte arruffata di Kant. La traduzione di un’opera di filosofia s’imprende in servigio di chi ignori la lingua originale, e non per schiarimento e commento del pensiero che essa contiene; al qual uopo gioverà piuttosto un’esposizione analitica. Le difficoltà, che incontra chi legge il testo originale, devono essere tutte presentate a chi è costretto a leggere la traduzione, ma ha interesse di veder rispecchiato in questa, quanto più fedelmente è possibile, in tutti i suoi particolari, l’atteggiamento dato dallo scrittore al proprio pensiero.

Questo criterio han seguito gli autori della nuova traduzione francese, A. Tremeysagues e B. Pacaud29. I quali, pertanto, non hanno esitato, all’occorrenza, a foggiar parole affatto nuove al francese pur di rendere con la più precisa analogia lessicale la terminologia kantiana: traducendo, p. es., anschauen con intuictionner; e non mancando di far seguire tra parentesi il termine tedesco al francese, dove questo potesse corrispondere a più d’una parola tedesca come principe per Princip e Grundsatz, objet per Obiect e Gegenstand, ecc.

Per questa cura scrupolosa di rendere fedelissimamente tutti i particolari della espressione kantiana il Tremeysagues e il Pacaud avrebbero fatto opera eccellente senza l’arbitraria costituzione del testo, da essi seguita, come fu sopra notato. Nè può dirsi che nella stessa traduzione non siano incorsi anch’essi qua e là in disavvertenze, le quali dimostrano soltanto come in questa specie di lavori, per sforzi che si faccia di accuratezza, non è dato mai di toccare la perfezione. Così, nelle parti che a me è accaduto di riscontrare più minutamente, a pag. 240 alla fine del secondo Remarque si traduce «als empirischer (spazieg[p. xviii modifica]giato da Kant) Anschauung»: «considérée à titre d’intuition»: tralasciando l’empirischer. A pag. 244 sono saltate due righe come apparisce da questo confronto:

In der That ist aber die absolute Möglichkeit (die in aller Absicht gültig ist), kein blosser Verstandesbegriff und kann auf keinerlei Weise von empirischem Gebrauche sein, sondern er gehört allein der Vernunft zu, die über allen möglichen empirischen Verstandesgebrauch hinausgeht.
Mais, en réalité, la possibilité absolue (qui est valable à tous les points de vue) n’est pas un simple concept de l’entendement et ne peut d’aucune façon être d’un usage empirique possible de l’entendement.

Qui la ripetizione della parola usage avrà magari fatto saltare due righe della traduzione al tipografo; ma i traduttori non dovettero in questo punto riscontrare le bozze di stampa col testo originale. Come a pag. 254 dove successive Wiederholung rimane tradotto con répetition nécessaire; e a pag. 266, dove in einer nicht sinnlichen Anschauung è reso: dans une intuition sensible. Non è esatto a pag. 279 dire che: «l’espace et le temps ne seront pas des représentations des choses en soi, mais des phénomènes» («nicht Bestimmungen der Dinge an sich» ecc.). A pag. 281 è affatto sbagliato il senso, dove la frase das Intelligibile eine ganz besondere Anschauung, die wir nicht haben, erforden würde und in Ermangelung derselben für uns nichts sei (cioè: «l’intelligibile richiederebbe una intuizione affatto particolare, che non abbiamo, e in mancanza della quale per noi esso non è niente») vien tradotta: l’intelligible exigerait une intuition tout à fait particullère, que nous n’avons pas, et que rien ne peut remplacer pour nous. A pag. 302 non si dovrebbe dire eux seuls rendent possible la connaissance ecc. ma eux rendent seulement o seulement rendent possible ecc. A pag. 305 lin. 6 non è reso il pensiero di Kant saltando le parole zur unvollkommenen Erläuterung, che dovrebbero tradursi dopo la frase ne peut jamais servir que d’exemple. E così via.


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V

Questi appunti, cui dà luogo un lavoro tanto accurato, gioveranno forse a procurare un po’ d’indulgenza alle mende, che si potranno trovare in questa nuova traduzione italiana; quantunque l’amico mio Giuseppe Lombardo-Radice, — che la condusse fino al principio della «Nota alle Anfibolie dei concetti di riflessione» (pag. 260), e l’avrebbe condotta egli stesso a termine, se nel terremoto di Messina del 28 dicembre non avesse perduto tutti i suoi libri e le sue carte, e smarrito l’animo di riprendere subito e continuare alacremente un’opera così faticosa, che era già molto innanzi e gli venne troncata tra mano e in molta parte distrutta, — e, dopo di lui, io sottentratogli pel resto del lavoro, fin d’allora in corso di stampa, non abbiamo risparmiato cure per dare agli studiosi italiani una traduzione, che riunisse alla maggiore possibile chiarezza e italianità di forma una fedeltà scrupolosa allo stile di Kant.

Il testo, da noi adoperato, è quello del Vorländer, preferito per la sua comodità e pel diligente glossario della terminologia della Critica, utile a chi voglia rendere questa terminologia con precisione, confrontando i varii luoghi in cui ciascun termine ricorre. E però col Vorländer diamo il testo della 2ª edizione, e in nota tutte le varianti della 1ª, rimandando a un’appendice, che verrà in fondo al secondo volume, i due lunghi brani della 1ª, concernenti la «Deduzione dei concetti puri dell’intelletto» e i «Paralogismi della ragion pura»; poichè non vedemmo l’utilità del metodo seguito dall’Erdmann nella sua 5ª edizione, di farli correre per parecchie pagine sotto al testo corrispondente della 2ª edizione. Ma la lezione del Vorländer, nella revisione del lavoro, abbiamo sempre collazionata col testo delle edizioni dell’Accademia di Berlino.

Palermo, 10 luglio 1909.

G. G.

[p. xx modifica]La nuova edizione di questa traduzione non è una semplice ristampa della precedente. Lieto della occasione che mi si porgeva di migliorare il nostro lavoro, il quale, malgrado i suoi difetti, ha incontrato favore nel pubblico e recato fors’anco non piccolo giovamento alla cultura filosofica italiana, ne ho profittato per correggere accuratamente e in buona parte rifare la traduzione, studiandomi di ottenere il massimo possibile della fedeltà congiunto con quel tanto di chiarezza che è ragionevole esigere in libro di così astrusa e laboriosa speculazione.

Non mi lusingo nè anche ora di aver fatto opera perfetta; e non avrei qui che a ripetere la protesta fatta nove anni fa a proposito delle sviste non potute evitare nello stesso lavoro, del resto eccellente, degli ultimi traduttori francesi; ma posso affermare che la presente edizione s’avvantaggia di gran lunga sulla prima, almeno per esattezza.

Roma, 10 settembre 1918.

G. G.

Note

  1. Vedi Kant, Briefwechsel, in Gesammelte Schr. hg. v. d. k. preuss. Ak. d. Wiss. zu Berlin, Bd. X, p. 117.
  2. I. Kant (Gesch d. n. Philos. Bd. IV), I, 72.
  3. Briefw., X, 124.
  4. X, 126.
  5. Vedi la sua lettera in Kant, Briefwechsel. X, 243.
  6. Kant, Briefw., X, 323. Cfr. Fischer, o. c., I, 74-8.
  7. Altri crede che la redazione ultime sia da assegnare agli ultimi mesi del 1779 tra il maggio e il settembre: ma la lettera al Mendelssohn mi pare perentoria. V. l’Intr, di H. Adickes alla sua ed. della Kr. d. r. V., Berlin, Meyer u. Muller, 1889 con la recensione del Vaihinger nell’Arch. f. gesch. d. Phil., IV, 724-29; e principlamente B. Erdmann Einl. in Kant, Krit. d. V. erste Aufl., in Gesamm. Schr. hg. v. d. K. preuss. Ak. d. Wiss., IV, Berlin, Reimer, 1908, pp. 569-87.
  8. B. Erdmann, Einl. in Kant, Krit. d. r. V. zw. Aufl. 1787, in Gesamm. Schr. hg. v. der k. preuss. Ak. der Wissensch. I Abth.: Werke, III Bd. (Berlin Reimer, 1904), p. 558.
  9. Jacobi, Sämmtl. WW., II, 291 sgg.
  10. V. anche Schopenhauer, Die Welt als Wille u. Vorst., tr. fr., II, 25. Le tre lettere scritte al Rosenkranz sono state poi pubblicate dal Reicke nell’Altpreussische Monatschrift, XXVI (1889), 30 sgg.
  11. Di questa è uscita un’ottava ediz. riveduta da Th. Valentiner (Leipzig, 1906).
  12. K. d. r. V. Text der Ausg. von 1781 mit Beifügung sämmtl. Abweichungen der Ausg. con 1787 hg. v. D. K. Kehrbach, Leipzig, Reclam, 1877 (2ª ediz. migliorata 1878). Numm. 851-55 della «Universal-Bibliothek».
  13. Leipzig, 1878; 3ª ediz. stereotipa «mehrfach verbesserte» ivi, 1884.
  14. Una rist. della 2ª ediz., con un’intr. sulla vita e le opere di Kant, è quella di Zimmermann, Leipzig und Wien, Meiers Bibliograph. Institut, 1890.
  15. I. Kant, K. d. r. V., hg., v. B. Erdmann: fünfte durchgängig revidirte Aufl. Berlin, Reimer, 1900.
  16. V. B. Erdmann, Beitr. Z. gesch. u. Revision des Texts Kritik der reinen Vern., Anhang zur fünfte Aufl. cit. Berlin, Reimer, 1900.
  17. V. Erdmann, Vorr. alla 3ª ediz. della sua Kants Kritik ecc. e Kehrbach, Replik gegen des Hrn. Privatdocentes B. Erdmanns Recensions meiner Ausgabe der Kant Kr. d. r. V.; zugleich eine kurze Charakteristik des allerneuesten Studiums der sogenannt, Kantphilologie, in Ztschr. f. Phil. u. phil. Krit. Bd. LXXII.
  18. A torto di aver seguito la «disposition adoptée par B. Erdmann dans sa cinquième édition» (p. xxii). Perchè nella 5ª ediz. l’Erdmann mette tutto da una parte, sopra, il testo della 2ª ediz., e sotto, soltanto la varianti della 1ª.
  19. Rist. da L. Goldschmidt, Gotha, 1900.
  20. Nel libro Krit. Beüräge zur Kategorienlehre Kants, Praga, 1877, pagine 104-5.
  21. Bd. I., 1881 e Bd. II, 1882 (Stuttgart).
  22. Pel Vorländer e per l’Erdmann si vedano le loro edizioni. Per gli altri tutti gli articolo citati dallo stesso Erdmann, Introd. all’ed. dell’Accademia della 2ª Critica, pp. 566-7.
  23. Kants, Krit. d. r. V. Nachträge: aus Kants Nachlass, hg. v. B Erdmann, Kiel, 1881.
  24. Vedi l’elenco nel Dictionary del Baldwin, III, 1ª, 287 e in Ueberweg-Heinze, Grundriss, dritt. Th., Is, 260.
  25. Vedi su di essa Credaro, A. Testa e i primordi del kantismo in Italia. Nota IV, negli Atti della R. Acc. Lincei, 1885-86, s. 4ª, vol. II, 2° semestre, pp. 292-94
  26. Critica della ragion pura di Manuele Kant, traduzione dal tedesco, Pavia, presso i collettori [Germani, Rolla e Sacchi], coi tipi di Pietro Bizzoni succ. di Bolzani, 1820. Manca il nome del traduttore. — Dal Tomo IV in poi: C. d. r. p. di M. K. tradotta dal tedesco dal cav. V. Mantovani già professore di medicina pratica nell’I. R. Università di Pavia. Chirurgo in capo militare, ecc., 1822. Sono a stampa dello stesso M. 8 voll. di Lezioni di terapia speciale sulle infiammazioni e Rendiconto clinico di V. M., suppl. alla nuova cattedra di medicina pratica pei chirurgi nell’I. R. Univ. di Pavia l’anno 1819. Nella ded. del libro al sig. G. de Kluky, i. r. consigliere e protomedico del Governo di Milano, l’A., oltre che Cav. del r. i, ord. ital. della Corona Ferrea, si dice «Ispett, gener. agg. di sanità militare in ritiro, socio di Accad. letterarie e scientifiche». Altrove: «Chiamato a supplire alla rispettiva cattedra sull’ultimo declinare del 1818» (v. III, p. 296).
  27. Il Credaro, dice che il M. si servì nelle sue note del Reinhold e dello Schulze, Ma il M. dichiara di essersi servito del Villers, anche perchè questo scrittore s’era attenuto «ai meglio reputati fra i concittadini di K., come Reinhold» ecc. (p. 10).
  28. Vedi Proemio alla traduzione, t. I, pp. 12-13.
  29. Crit. de la rais. pure, Nouv. tr. franç. avec notes; Préf, de A. Hannequin, Paris, Alean, 1905.