Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 2

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CAPITOLO II


Di quante specie sono le Repubbliche, e di quale fu la Repubblica romana.


Io voglio porre da parte il ragionare di quelle cittadi, che hanno avuto il loro principio sottoposto ad altri, e parlerò di quelle che hanno avuto il principio lontano da ogni servitù esterna, ma [p. 16 modifica]si sono subito governate per loro arbitrio, o come Repubbliche o come Principato; le quali hanno avuto, come diversi principj, diverse leggi e ordini. Perchè ad alcune, o nel principio d’esse, o dopo non molto tempo sono state date da uno solo le leggi, e ad un tratto, come quelle che furono date da Licurgo agli Spartani; alcune le hanno avute a caso, ed in più volte, e secondo gli accidenti, come Roma. Talchè felice si può chiamare quella Repubblica, la quale sortisce uno uomo sì prudente, che le dia leggi ordinate in modo, che, senza bisogno di correggerle, possa vivere sicuramente sotto quelle. E si vede che Sparta le osservò più che ottocento anni senza corromperle, e senza alcuno tumulto pericoloso; e per il contrario tiene qualche grado d’infelicità quella città, che non si essendo abbattuta ad uno ordinatore prudente, è necessitata da sè medesima riordinarsi; e di queste ancora è più infelice quella, che è più discosto dall’ordine; e quella è più discosto, che con i suoi ordini è al tutto fuori del diritto cammino, che la possa condurre al perfetto e vero fine; perchè quelle che sono in questo grado, è quasi impossibile che per qualche accidente si rassettino. Quelle altre, che, se le non hanno l’ordine perfetto, hanno preso il principio buono e atto a diventare migliori, possono per la occorrenza degli accidenti diventar perfette. Ma fia ben vero questo, che mai non si ordineranno senza pericoli, perchè gli assai uomini non si [p. 17 modifica]accordano mai ad una legge nuova, che riguardi un nuovo ordine nella città, se non è mostro loro da una necessità che bisogni farlo; e non potendo venire questa necessità senza pericolo, è facil cosa che quella Repubblica rovini, avanti che la si sia condotta a una perfezione di ordine. Di che ne fa fede appieno la Repubblica di Firenze, la quale fu dall’accidente d’Arezzo, nel II riordinata, e da quel di Prato nel XII disordinata. Volendo adunque discorrere quali furono gli ordini della città di Roma, e quali accidenti alla sua perfezione la condussero, dico, come alcuni, che hanno scritto delle Repubbliche, dicono essere in quelle uno de’ tre Stati, chiamato da loro Principato, di Ottimati, e Popolare, e come coloro, ch’ordinano una città, debbano volgersi ad uno di questi, secondo pare loro più a proposito. Alcuni altri, e secondo l’opinione di molti più savj, hanno opinione che siano di sei ragioni Governi, delle quali tre ne siano pessimi, tre altri siano buoni in loro medesimi, ma sì facili a corrompersi, che vengono ancora essi a essere perniciosi. Quelli che sono buoni, sono i soprascritti tre; quelli che sono rei, sono tre altri, i quali da questi tre dipendono, e ciascuno di essi è in modo simile a quello che gli è propinquo, che facilmente saltano dall’uno all’altro; perchè il Principato facilmente diventa tirannico; gli Ottimati con facilità diventano Stato di pochi; il Popolare senza difficultà in licenzioso si converte. Talmente che se uno ordinatore di Repubblica ordina in una [p. 18 modifica]città uno di quelli tre Stati, ve lo ordina per poco tempo; perchè nissuno rimedio può farvi, a far che non sdruccioli nel suo contrario, per la similitudine che ha in questo caso la virtù ed il vizio. Nacquero queste variazioni di Governi a caso intra gli uomini; perchè nel principio del Mondo, sendo gli abitatori rari, vissero un tempo dispersi a similitudine delle bestie; dipoi multiplicando la generazione, si ragunarono insieme, e per potersi meglio difendere cominciarono a riguardare fra loro quello che fusse più robusto e di maggior cuore, e fecionlo come Capo, e l’obbedivano. Da questo nacque la cognizione delle cose oneste e buone, differenti dalle perniciose e ree; perchè veggendo che se uno nuoceva al suo benefattore, ne veniva odio e compassione tra gli uomini, biasimando gl’ingrati ed onorando quelli che fussero grati, e pensando ancora che quelle medesime ingiurie potevano essere fatte a loro; per fuggire simile male, si riducevano a fare leggi, e ordinare punizioni a chi contraffacesse; donde venne la cognizione della Giustizia. La qual cosa faceva che avendo dipoi a eleggere un Principe, non andavano dietro al più gagliardo, ma a quello che fusse più prudente e più giusto. Ma come dipoi si cominciò a fare il Principe per successione, e non per elezione, subito cominciarono gli eredi a degenerare dai loro antichi, e lasciando l’opere virtuose, pensavano che i Principi non avessero a fare altro che superare gli altri di [p. 19 modifica]sontuosità, e di lascivia, e d’ogni altra qualità deliziosa. In modo che cominciando il Principe ad essere odiato, e per tale odio a temere, e passando tosto dal timore alle offese, ne nasceva presto una tirannide. Da questo nacquero appresso i principj delle rovine, e delle conspirazioni e congiure contra i Principi, non fatte da coloro che fussero o timidi, o deboli, ma da coloro che per generosità, grandezza d’animo, ricchezza e nobilità avanzavano gli altri, i quali non potevano sopportare la inonesta vita di quel Principe. La moltitudine adunque seguendo l’autorità di questi potenti, si armava contro al Principe, e quello spento, ubbidiva loro come a’ suoi liberatori. E quelli avendo in odio il nome di un solo Capo, constituivano di loro medesimi un Governo, e nel principio, avendo rispetto alla passata tirannide, si governavano secondo le leggi ordinate da loro, posponendo ogni loro comodo alla comune utilità, e le cose private e le pubbliche con somma diligenza governavano e conservavano. Venuta dipoi questa amministrazione ai loro figliuoli, i quali non conoscendo la variazione della fortuna, non avendo mai provato il male, e non volendo stare contenti alla civile egualità, ma rivoltisi alla avarizia, alla ambizione, alla usurpazione delle donne, fecero che d’un Governo d’Ottimati diventasse un Governo di pochi, senza avere rispetto ad alcuna civiltà; talchè in breve tempo intervenne loro come al Tiranno, perchè infastidita da’ loro [p. 20 modifica]governi la moltitudine, si fe’ ministra di qualunque disegnasse in alcun modo offendere quelli governatori, e così si levò presto alcuno, che con l’aiuto della moltitudine gli spense. Ed essendo ancora fresca la memoria del Principe, e delle ingiurie ricevute da quello, avendo disfatto lo Stato de’ pochi, e non volendo rifare quel del Principe, si volsero allo Stato popolare, e quello ordinarono in modo, che nè i pochi potenti, nè un Principe vi avesse alcuna autorità. E perchè tutti gli Stati nel principio hanno qualche riverenza, si mantenne questo Stato popolare un poco, ma non molto, massime spenta che fu quella generazione, che l’aveva ordinato; perchè subito si venne alla licenza, dove non si temevano nè gli uomini privati, nè i pubblici; di qualità che vivendo ciascuno a suo modo, si facevano ogni dì mille ingiurie: talchè costretti per necessità, o per suggestione d’alcuno buono uomo, o per fuggire tale licenza, si ritorna di nuovo al Principato, e da quello di grado in grado si riviene verso la licenza, ne’ modi e per le cagioni dette. E questo è il cerchio, nel quale girando tutte le Repubbliche si sono governate, e si governano; ma rade volte ritornano ne’ governi medesimi, perchè quasi nessuna Repubblica può essere di tanta vita, che possa passare molte volte per queste mutazioni, e rimanere in piedi. Ma bene interviene che nel travagliare una Repubblica, mancandole sempre consiglio e forze, diventa suddita d’uno Stato propinquo [p. 21 modifica]che sia meglio ordinato di lei; ma dato che questo non fusse, sarebbe atta una Repubblica a rigirarsi infinito tempo in questi governi. Dico adunque che tutti i detti modi sono pestiferi, per la brevità della vita che è ne’ tre buoni, e per la malignità che è ne’ tre rei. Talchè avendo quelli che prudentemente ordinano leggi, conosciuto questo difetto, fuggendo ciascuno di questi modi per sè stesso, n’elessero uno che partecipasse di tutti, giudicandolo più fermo e più stabile, perchè l’uno guarda l’altro, sendo in una medesima città il Principato, gli Ottimati, e il Governo popolare. Intra quelli che hanno per simili costituzioni meritato più laude è Licurgo, il quale ordinò in modo le sue leggi in Sparta, che dando le parti sue ai Re, agli Ottimati, e al Popolo, fece uno Stato che durò più che ottocento anni, con somma laude sua, e quiete di quella città. Al contrario intervenne a Solone, il quale ordinò le leggi in Atene, che per ordinarvi solo lo Stato popolare, lo fece di sì breve vita, che avanti morisse si vide nata la tirannide di Pisistrato: e benchè dipoi quaranta anni ne fussero cacciati gli suoi eredi, e ritornasse Atene in libertà, perchè la riprese lo Stato popolare, secondo gli ordini di Solone, non lo tenne più che cento anni, ancora che per mantenerlo facesse molte Costituzioni, per le quali si reprimeva la insolenza de’ Grandi, e la licenza dell’universale, le quali non furon da Solone considerate; nientedimeno perchè la non le mescolò [p. 22 modifica]con la potenza del Principato, e con quello degli Ottimati, visse Atene a rispetto di Sparta brevissimo tempo. Ma vegniamo a Roma, la quale nonostante che non avesse un Licurgo, che l’ordinasse in modo nel principio, che la potesse vivere lungo tempo libera, nondimeno furono tanti gli accidenti che in quella nacquero, per la disunione che era intra la Plebe ed il Senato, che quello che non aveva fatto uno ordinatore, lo fece il caso. Perchè se Roma non sortì la prima fortuna, sortì la seconda; perchè i primi ordini se furono difettivi, nondimeno non deviarono dalla diritta via che li potesse condurre alla perfezione. Perchè Romolo e tutti gli altri Re fecero molte e buone leggi, conformi ancora al vivere libero; ma perchè il fine loro fu fondare un Regno e non una Repubblica, quando quella città rimase libera, vi mancavano molte cose che era necessario ordinare in favore della libertà, le quali non erano state da quelli Re ordinate. E avvegnachè quelli suoi Re perdessero l’Imperio per le cagioni e modi discorsi, nondimeno quelli che li cacciarono, ordinandovi subito duoi Consoli, che stessero nel luogo del Re, vennero a cacciare di Roma il nome, e non la potestà regia; talchè essendo in quella Repubblica i Consoli e il Senato, veniva solo ad essere mista di due qualità delle tre soprascritte, cioè di Principato e di Ottimati. Restavagli solo a dare luogo al Governo popolare; onde essendo diventata la Nobiltà romana insolente per le [p. 23 modifica]cagioni che di sotto si diranno, si levò il popolo contro di quella; talchè, per non perdere il tutto, fu costretta concedere al Popolo la sua parte; e dall’altra parte il Senato e i Consoli restassero con tanta autorità, che potessero tenere in quella Repubblica il grado loro. E così nacque la creazione de’ Tribuni della plebe, dopo la quale creazione venne a essere stabilito lo stato di quella Repubblica, avendovi tutte le tre qualità di governo la parte sua. E tanto gli fu favorevole la fortuna, che benchè si passasse dal governo dei Re e degli Ottimati al Popolo, per quelli medesimi gradi e per quelle medesime cagioni che di sopra si sono discorse, nondimeno non si tolse mai per dare autorità agli Ottimati, tutta l’autorità alle qualità regie, nè si diminuì l’autorità in tutto agli Ottimati, per darla al Popolo; ma rimanendo mista, fece una Repubblica perfetta, alla quale perfezione venne per la disunione della Plebe e del Senato, come nei duoi prossimi seguenti capitoli largamente si dimostrerà.