Dizionario moderno (Panzini)/C

Da Wikisource.
C

../B ../D IncludiIntestazione 4 febbraio 2024 75% Da definire

B D

[p. 100 modifica]

C


Cab: voce inglese (abbreviata dal francese cabriolet?) che indica una vettura da piazza, usata in Inghilterra, caratteristica perchè il cocchiere siede di dietro, in alto, e guida per di sopra la testa di chi sta in carrozza. Il vocabolo è notato anche nei dizionari francesi. Per altra etimologia V. 'Gabinetto'.

Cabaletta: «l’ultima parte di un’aria; può essere un a solo od anche accompagnata da una parte (personaggio) episodica, dal coro. L’aria, o la cavatina, incomincia con un recitativo che prepara un brano in movimento lento; questo è susseguito da una breve preparazione, a recitativo o a coro, cui tien dietro un’animata melodia, di solito ripetuta, e denominata cabaletta, o cappelletta, perchè in origine in tempo a cappella.» (A. Galli, op. cit.).

Cabaret: voce fr., conquistata dall’uso: in italiano è vassoio o guantiera. È pure nota la voce cabaret nel senso di osteria ove si vende vino al minuto e se ne aiuta lo spaccio col dar da mangiare. Parola di etimologia incerta. V. lo Scheler.

Cabina: voce inglese, cabin; divenuta poi francese in cabine: indica specialmente la piccola stanza che è a bordo delle navi per uso dei viaggiatori. Parola accettata, registrata e necessaria. Per l’etimologia V. Gabinetto.

Cabinets particuliers: così francesemente più spesso che nella versione italiana sono chiamate certe stanzine riservate e discrete dei ristoranti alla moda ove si conviene in due o in più, di sesso diverso comunemente, per mangiare e bere senza essere disturbati dalla altrui presenza.

Cablogramma: neologismo di conio francese. Câble = cavo, dal basso latino capulum = corda. Dunque il cavo sottomarino per la trasmissione della corrente elettrica, e cablogramma il dispaccio che dovremmo, caso mai, chiamare cavogramma. Al tempo che scrivo il radiogramma Marconi tende a sostituire il cablogramma.

Cabochon: fr., pietra preziosa liscia, naturale, cioè non faccettata: da caboche = capocchia.

Cabotaggio: voce marinaresca che deriva dallo spagnuolo cabo = capo; indica cioè la navigazione breve, costiera, limitata fra capo e capo. Il grande cabotaggio si riferisce a navigazione non oceanica. Il Rigutini consiglia di italianizzarla in capotaggio. Ottimamente, ma non basta a ciò il buon volere del grammatico. «Voce necessaria» dice il Guglielmotti, op. cit.

Cabotin: V. Cabotinage.

Cabotìnage: astratto di cabotin, voce familiare francese che si dà ai commedianti di poco valore, girovaghi, guitti, ciarlatani. Il nome pare derivato, almeno secondo il Littré (Vedi il Supplemento) da un comico e ciarlatano della seconda metà del secolo XVII di nome Cabotin.

Cabriolet: dal verbo francese cabrioler, propriamente saltare come una capra, far capriole (cfr. chèvre): quindi specie di carrozzina leggera, saltellante (Littré).

Cacatua e cacatù: specie di papagallo. V. Kakatoes.

Cacciatora (alla): dicesi di vivande [p. 101 modifica]preparate alla lesta, in padella, come capretto, vitello spezzato, poll astrini teneri, quasi alla maniera che usano i cacciatori.

Cacciatori: V. Chasseur.

Cacciucco: zuppa o intingolo di pesci di vario specie e assai drogato. È voce dialettale livornese e, come voce toscana, registrata dal Petrocchi. Risponde press’a poco al bouille abaisse marsigliese, al brodetto del litorale romagnolo.

Cachemire: voce volgarizzata in cascimirra o casmirra e così registrata dal Petrocchi, ma l’uso porta a pronunciare alla francese. Cascemir o Casmir è il nome d’un regno dell’India Britannica da cui prima provenne questo finissimo tessuto di lana.

Cache-nez: letteralmente nascondi-naso, cioè ciarpa che ricopre dal freddo il naso e la bocca. Voce fr., dell’uso fra gli eleganti e nel linguaggio della moda.

Cachessìa: ter. med., dal greco cacòs = malvagio e exis = disposizione. Parola che non ha senso determinato, ma che designa ogni specie di turbamento profondo delle funzioni organiche.

Cachet (lettere di): voce storica che indicò in Francia, sotto l’antica monarchia, le lettere del re col suo sigillo contenenti un ordine; e più specialmente si intendevano quelle contenenti ordine di esigilo o di prigionia. L’abuso che se ne faceva, spesso arbitrario, fece sì che l’Assemblea costituente le abolisse (15 gennaio 1790).

Cachet: suggello, impronta, stampa e poi indole, maniera, modo di fare. È parola francese comune, specie nel linguaggio elegante mondano: sigillo è voce rimasta per indicare l’impronta su la ceralacca. Per l’etimologia V. lo Scheler. Cachet è chiamata dai farmacisti quell’ostia compressa, o capsula, contenente una polvere amara: cachet di salòlo, di bisolfato di chinino etc.

Caciocavallo: formaggio speciale dell’Italia meridionale in forma come di grandi zucche oblunghe, legate insieme e poste a cavalluccio, onde il nome.

Cactus: dal greco cactos, pianta spinosa e grassa, coltivata per la sua bizzarra forma ornamentale. Il fico d’India (C. opuntia) che in Sicilia forma siepi naturali e dà un frutto fresco e squisitissimo quando è mangiato sul luogo, è la specie più notevole. In francese è cactus, in italiano trovasi tradotto in catto e cacto, ma sono voci poco usate.

Cadeau: voce fr., entrata ampiamente nell’uso, anche del popolo; che dice spesso cadò un bel cadò, specie annettendovi l’idea del dono inaspettato e gradito.

Cadenzare: (fr. cadencer) per dare una particolare cadenza o ritmo ad un verso, ad un periodo e simili, è brutto neologismo. Così il Rigutini.

Cadoche: V. Kadosch.

Café-chantant: nota specie di caffè con teatro e spettacoli vari, con giuochi, bizzarrie, fantasie e specialmente eccitazioni muliebri di danzatrici, cantatrici, dicitrici, il che ne costituisce l’essenza. Spesso è un teatro costruito appositamente e con grande sfarzo. Offre il vantaggio di assistere a spettacoli attraenti e salaci insieme alla libertà del caffè, cioè di fumare, bere, mangiare, andare e stare. Il buon costume non è il carattere distintivo di tali ritrovi. L’uso è d’importazione straniera, attecchito però benissimo. La locuzione è stata anche tradotta in Caffè concerto. Così infatti la poetessa Annie Vivanti intitolò una specie di suo romanzo autobiografico.

Caffè-concerto: V. Café-chantant.

Caffeiera: voce usata per indicare il recipiente elegante in cui portasi il caffè già fatto. Dicesi anche caffetiera, voce che il Petrocchi nota in tal senso. In francese c’è Cafetière., n. f. Vase pour fair e et verser le café.

Caffeina: alcaloide del caffè, usato in medicina come potente eccitante del cuore.

Cafòne: voce dialettale dell’Italia meridionale, estesa poi ad altre regioni: indica persona plebea, villana, rozza, maldestra. Termino ingiurioso. Il D’Ambra (Diz. Napolitano) lo fa derivare da κακόφωνος.

Cagnara: letteralmente l’abbaiare dei cani, poi significò grida, rumore, questione e simili, onde la locuzione far cagnara. Voce tipicamente romanesca, poi passata nell’uso della lingua familiare e comune di molto regioni della media Italia. Il Petrocchi la registra nel suo Dizionario [p. 102 modifica]Universale e riporta la scrittura meno comune cagnaia.

Cagnìna: nome di vino romagnolo alquanto aspretto: estingue benissimo la sete. Nel circondario di Cesena, dalla Cagnina si ottiene un vino morbido, dolce, intensamente colorito, spesso spumante, ed è di pronta beva. Vino di uso locale. La voce dialettale del vitigno e del vino è canëna.

Cagnòni: V. Riso in...

Cagnotto: termine volgare e spregiativo (da cane) per indicare i seguaci prepotenti, faziosi, di qualche capo.

Ca’ grande o casa grande: perifrasi dialettale milanese, l’ospedale.

Caicco o caiccio: così è chiamato, su le rive dell’Adriatico specialmente, quel greve palischermo o barchetta che si tiene a bordo dei velieri, per salvataggio e per trasporto. Dal turco kàik.

Ça ira: fr. ciò andrà, cioè avrà effetto: parole con cui comincia il ritornello d’una canzone popolare che precedette di poco la Carmagnola e la Marsigliese, e come queste ultime potentemente influì su gli animi al tempo della Rivoluzione. Il Carducci intitolò Ça ira i suoi mirabili sonetti che sintetizzano la Rivoluzione francese.

Cala: seno di mare entro terra con buon fondo dove possono riparare sicuramente le navi. Taluni chiamano cala anche il fondo della stiva.

Calandra: per noi è un vezzoso uccellino simile alla lodola. Ma in francese calandre vuol indicare altresì la macchina usata per ispianare e lustrare i tessuti. Calandre sembra in tal senso derivare dal greco kìlindros = cilindro. In italiano dicesi màngano.

Calata: nel senso speciale in cui è usata in Genova, cioè per indicare la banchina di carico e scarico delle navi, questa parola non è nei dizionari. (Cfr. Dock). La registra però il Guglielmotti, op. cit.

Calce (in): «posto avverbialmente, e riferito a cose stampate e manoscritte, vale a piè di pagina» Crusca.

Calcestruzzo: da calce e structum, latino, che vuol dire costruito. Smalto tenace da costruzione muraria fatto di ghiaia, rena, calce.

Calcificazione: ter. med., che significa, il depositarsi dei carbonati e dei fosfati di calce nei tessuti e negli organi. Es. calcificazione delle cartilagini: dicesi anche infiltrazione o degenerazione calcarea.

Calcinello: term. volg. su le rive occidentali dell’Adriatico, Romagna e Marche, con cui sono più specialmente note le telline; genere di molluschi a conchiglia bivalve e sottile, dal sapore delicato; squisiti per far zuppe ed intingoli» La riva sabbiosa è ricchissima di tali frutti di mare.

Calcio dell’asino: V. Il calcio, etc.

Calcolare: nel senso di stimare, pensare, far conto «è modo nuovo, inutile e preso dal francese» calculer = conjecturer, prévoir. Così il Rigutini, e simile giudizio vale pel nome calcolo. Pure accettando come buona l’osservazione del dotto nostro filologo, è certo che l’estensione francese da calcolo = computo aritmetico, a calcolo = computo ideologico, è felice come la più parte dei traslati di quella geniale lingua. Calculus in latine vuol dir pietruzza che usavasi primamente per computare, indi significò computo. Avverto che i dizionari nostri accolgono il nuovo senso.

Calcolo: lat. calculus, pietruzza: in medicina indica una concrezione pietrosa formata di sali organici o inorganici che nasce e si forma nei serbatoi glandulari o nei canali escretori.

Calcomania: figurine a colori che, bagnate, si staccano dal loro cartoncino e si imprimono dove più piace: delizia degli scolari, e sciupio dei libri.

Calcotipia: incisione in rilievo sul rame. V. Cliché.

Cáleche: così in Milano è chiamata la vettura publica scoperta. Càleche è voce francese, dal polacco Koless, in tedesca Kalesche, fatta italiana in calèsse. Vettura leggiera, a quattro ruote, e mantice.

Caleidoscopio: neol. formato con voci tolte dal greco e significa vista di belle imagini: è una specie di cannocchiale che presenta una quantità infinitamente variabile di figure ornamentali, simmetriche, formate per effetto di riflessione ottica. Il fisico Brewster, scozzese (1781[p. 103 modifica]1868) ne fu l’inventore. Usata è la parola anche in senso traslato.

Calembour: giuoco di parole basato su la simiglianza de’ suoni e varietà de’ sensi senza tener conto della ortografia. La lingua francese vi si presta a tal punto da formare un vero vizio di suoni uguali. Es: M. de Bievre ayant oppris que le comédien Molé, si connu par sa fatuité, était retenu au lit par une indisposition, s’écria: Quelle fatalité! (quel fai alité = quale sciocco a letto!). Nel secolo XVI dicevansi equivoques. Il nome Calembour difatti è recente e, come vi accenna pure il Littré, questa ne è data come origine: fu cioè il conte Kalenberg di Vestfalia, inviato ambasciatore a Parigi sotto Luigi XV, che ne fu l’involontario inventore. I parigini d’allora non comprendevano il tedesco — come non lo comprendono oggigiorno — e questo conte vesfaliano, per farsi capire era obbligato a parlare un francese così... tedesco da non si dire. Avveniva, quindi, che gli sfuggivano molte improprietà che ferivano le delicate orecchie dei parigini e fornivano materia a molti giuochi di parole ai quali si diede il nome di Kalenberg, degenerato poi in calembour. Disgraziatamente nessuno dei giuochi di parola del conte di Kalenberg ci fu conservato: eppure fu per questo che il nome dell’ambasciatore di Vestfalia passò ai posteri. In italiano calembour equivale press’a poco a freddura e bisticcio. La freddura, delizia delle scene popolari, non soltanto è volgaruccia, ma non ha il pregio dell’epigramma e dell’arguzia: tuttavia da Aristofane a Plauto, da Shakespeare al Balzac non fu sdegnata anche da nobili ingegni.

Calembouriste: è colui che ha facilità a trovare questi doppi sensi, freddurista. Esempio di freddura: nel Guerrin Meschino, giornale milanese, pieno talvolta di pungenti sali, a proposito dell’insurrezione Carlista in Ispagna, comparve uno scritto tutto basato su la seguente freddura: Nessuno parlava più di Don Carlo: noi stessi eravamo lì lì per dimentiCarlo, etc.

Calende Greche: Vedi ad Calendas Graecas.

Calendimaggio: è l’antica festa italica e non semplicemente toscana, che canta il maggio ('calendae', il primo dì del mese presso i Romani)

               Ben venga maggio
               e ’l gonfalon selvaggio!

Costumavasi piantar davanti alla porta dell’innamorata la rama fiorita. Vedi il Leopardi nelle Ricordanze ove parla di Nerina:

               Se torna maggio, e ramoscelli e fiori
               van gli amanti recando alle fanciulle....

Costume gentile oramai spento, benchè io ricordi di avere nella mia puerizia (nè è gran tempo) inteso ne’ borghi di Romagna donne del popolo che con cembali andavano cantando:

               L’è venuto maggio
               Ben venga maggio.

Vive la parola calendimaggio in virtù di certa grazia estetica del suono, e per effetto di questa rifioritura artificiosa dell’antico nell’arte.

Calicot: V. Percale.

Calesse: V. Cáleche.

Câlinerie: in francese vale moine, carezze, leziosaggini; e câlin e câline dicesi di persona piena di moine e di svenevolezze.

Calisvar: voce usata dai meccanici: è un utensile d’acciaio, di forma cilindrica tronco-conica, la cui superficie è scanalata in guisa da presentare tante costole taglienti. Lo si adopera per allargare, lisciare i fori comunque fatti nelle lamiere, ecc. Non conosco l’origine della parola, nè posso asserire che sia voce puramente dialettale. In tedesco Reibahle; in inglese Rimer. Non so esattamente quale sia la corrispondente francese (Mandrin?) In italiano allargatoio?

Calle: (lat. callis) voce classica, viva tuttora nel dialetto veneto, e serve ad indicare le caratteristiche vie di Venezia (finchè non ci correrà il tranvai!).

Callifugo: voce aggiunta a’ rimedi che vantano la guarigione dei calli, coniata come febbrifugo, (Il miglior callifugo sono le scarpe larghe e ben fatte).

Calligrafia: è parola greca che significa bella scrittura e perciò dicendo brutta calligrafia si comporrebbe un modo improprio ed illogico. Ma è dell’uso: la parola [p. 104 modifica]calligrafia ha perduto il senso etimologico e vale press’a poco come scrittura.

Calomniez, calomniez; il en restera toujours quelque chose: motto fr. assai noto e variamente attribuito (Voltaire, Gesuiti). Beaumarchais nel suo Barbiéf di Siviglia (II, 8) lo riporta riferendolo ad autorità a lui anteriori. Bacone da Verulamio (De dignitate et argumento scientiarum VIII, 2, 34) scrive: Sicut enim dici solet de calumnia, Audaciter calumniare, semper aliquid haeret.

Calzaturificio: questa goffa e sesquipedale parola fu creata a Milano (1902) per indicare una gran fabbrica di scarpe. Certi neologismi deformi non sono senza significato nella fisiologia di un linguaggio e perciò questo dizionario li annota anche se locali ed effimeri.

Calzëder: e calcèdro dotta in italiano, è una curiosa parola romagnola e ravennate che attesta e ricorda l’antico dominio de’ greci bizantini (Esarcato). Indica il vaso di rame per attinger acqua, da calcos = rame e üdor = acqua.

Calzoni: sono l’indumento proprio dell’uomo. Talora, specie in Lombardia, le donne adoperano impropriamente la voce calzoni per mutande. Dicesi però in modo familiare e figurato portare i calzoni quando la donna la fa da uomo, ma non per opere assennate e buone, bensì per capriccioso comando e imperio sull’uomo.

Camàlo: voce dialettale genovese, estesa talora anche nella lingua letteraria. Indica il facchino che carica e scarica le merci dalle navi nel porto di Genova.

Camaraderie: parola francese per indicare quella dimestichezza, quell’intimità geniale, non profonda come richiede l’amicizia, che si contrae necessariamente tra camerati. Noi abbiamo camerata per compagno di studio, d’arme, di vita; ci manca l’astratto, ove non si voglia accettare cameratismo, parola registrata dall’Alberti.

Camarilla: diminutivo di camara = camera: vocabolo spagnuolo. Nel linguaggio politico si designò così l’influsso, vero o supposto, esercitato sui capi dello Stato dalle persone di camera, cioè addette alla persona del Sovrano; per cui la regolare amministrazione era impedita o corrotta. Si usò di questo vocabolo in Ispagna dopo il ritorno di Ferdinando VII (1814). Da allora la voce passò nel giornalismo francese e forse por quel tramite in Italia, dove ha perduto il senso storico-etimologico e null’altro vuol dire se non cricca, consorteria clientela e combriccola, vocaboli e cose che pur troppo non mancano in Italia dove la vita publica si svolge tradizionalmente e fatalmente tuttora per clientele, spegnendole migliori energie della Nazione. Le parole, camarilla spagnuola, e coterie francese, sarebbero in vero più che superflue.

Cambiamonete: «la parola usata fin da antico era cambiatore, ma non si deve credere che la nuova parola sia presa al solito dai francesi, perchè non dicono change-monnaie, ma solamente changeur, tale e quale il cambiatore de’ nostri vecchi. Che se in qualche cartello di cambiamonete si legge change-monnaie, questa è una traduzione francese che in Francia non si ammetterebbe». Così giustamente il Rigutini.

Cambrai: tela di lino molto chiara, così detta dalla città di Francia, Cambrai, o Cambray, l’antica Camaracum, ove si fabbricava in origine.

Cambré: aggettivo francese che udii talvolta per indicare una figurina che disegna le forme graziosamente, arcuata, come avviene di chi porta il petto innanzi sì che il dorso si incurva. Cambrè è da cambrer (basso latino camerare) cioè che forma vuoto o camera, quindi arco.

Cambriolage: voce del gergo francese, talora adoperata nel linguaggio giornalistico nostro per significare il furto con iscasso. Cambriolage deriva da cambriole, diminutivo di chambre = camera, onde cambrioleur, il ladro, lo svaligiatore di appartamenti.

Camelot: voce del gergo francese: indica il mercante girovago, il rivendugliuolo che fa commercio di mille piccole industrie. Il Darchini (Diz. Italiano-francese, Vallardi, 1902) traduce senza troppa fatica per cammellotto!!

Camera: il buon uso toscano (che pur vuol seguirsi senza le consuete esagerazioni della scuola detta manzoniana) dà a [p. 105 modifica]camera il senso speciale di stanza da letto, non di stanza in senso generico.

          Non v’era giunto ancor Sardanapalo
          A mostrar ciò che in camera si puote.

Dante, Par. XV.


Camera ardente: V. Cappella ardente.

Camera del lavoro: istituto sociale recente. In Italia non credo vada oltre il decennio. È un’imitazione della Bourse du travail presso i francesi, da noi detta camera per analogia con altri instituzioni che così si denominano. Serve come ufficio di collocamento e di informazione: segue la statistica del lavoro e delle mercedi: si interpone come paciera ed arbitra nei dissidi fra capitale e mano d’opera; e in cotesto tale istituzione rappresenta un progresso e un diritto. Ma per le sue origini e per aver inscritti, soggetti e disciplinati la più parte dei lavoratori manuali, la camera del lavoro è istituto di carattere socialista: difende, valendosi della forza che rappresenta, la classe degli operai cercando di ottenere aumento di salari e diminuzione di ore di lavoro. Regola gli scioperi. «Anticamera dello sciopero» fu definita dai nemici di tale istituto. Le camere del lavoro sono diffuse oggidì in quasi tutte le città d’Italia: chiedono ma non hanno ancora riconoscimento giuridico, bensì di fatto. Molti municipi democratici le sussidiano in vario modo.

Camera di compensazione: istituto commerciale e bancario assai antico il quale compensa, cioè pareggia fra di loro i valori dei vari paesi e dei vari banchi. V. meglio a Stanza di compensazione.

Camiceria: negozio ove si vendono camicie od oggetti a camicie attinenti (fr. chemiserie).

Camicia: nel senso di quel foglio che serve di copertina a carte scritte, è stata registrata dalla Nuova Crusca. (V. § II).

Camicia di forza: con le maniche congiunte che penosi ai matti furiosi affinchè non offendano sè ed altrui: usasi in senso traslato per coercizione, impedimento violento e tirannico.

Camicia di Nesso: è la fatal tunica che, intinta nel velenoso sangue del centauro Nesso, Deianiru, gelosa, mise ad Ercole, onde l’eroe morì. Dicesi di ogni costrizione morale insopportabile.

Camicie rosse: perifrasi usata por indicare i volontari di Garibaldi, dopo l’impresa di Sicilia, dalla camicia di lana scarlatta la quale ad imitazione del loro Capitano glorioso, li distinguea nell’assisa.

Caminiera: in it. è registrata per parafoco e specchio posto sopra il camino. Per camino (metallico) è il fr. cheminée. V. 'ciminiera'.

Camma: parola usata dai meccanici per indicare quell’ordigno di variabile forma, spesso di cuore, che applicato ad un albero cilindrico rotante, serve ad imprimere un determinato movimento ad un altro organo di macchina che vi si appoggia in modo continuo o discontinuo. Fr. came.

Camminare a testa alta o con la fronte scoperta: cioè sicuramente, senza aver nulla di che vergognarsi o nascondere. Locuzione usata specialmente in risposta a chi altrimenti giudichi o pensi.

Camorra: noi così comunemente diciamo per indicare una clientela di gente associata segretamente per fini di bassi e loschi interessi, e camorrista colui che opera in tale modo. Tale significato esteso proviene da quella notissima associazione di gente di mala vita, intenta a mal fare e vivere di sopruso, estorsione, frode, che ha il suo contro in Napoli ed è regolata da speciali statuti, leggi, consuetudini. Istituto antichissimo. La camorra napoletana non fu mai setta politica, ma intenta solo al benessere economico degli affigliati. Camorra è voce spagnuola che vuol dir litigio, e camorrista, litigioso. Dalla Spagna che nel Reame dominò per due secoli, ci provennero e il nome e l’istituto della Camorra. Ne ritiene alcunchè di spavaldo e di enfatico. La camorra è detta anche Società dell’umirtà (V. Omertà) e la gerarchia ha i seguenti gradi: giovinotto onorato, picciuotto (picciotto, secondo la tendenza del dialetto napoletano di dittongare l’o in uo) picciuotto di sgarro, picciuotto di reggimento, capo picciuotto, camorrista, capo di società o capintrito, capo-camorra o capintesta. Il camorrista è parente morale col mafioso siciliano, col barabba, col teppista e col bulo dello torre subalpine, [p. 106 modifica]col guapo, guappo, spagnuolo, nel cui nome spesso si confonde. L’indole umile, rassegnata, buona, incurante, allegra del popolo napoletano si presta a subire questa tirannide di pochi che escono dal suo seno e ne succhiano lo scarso sangue. Esso popolo sente il vantaggio immediato della clientela e non ne avverte l’immenso male sociale. Come poi la camorra plebea si rispecchi e s’intrecci con un’altra camorra elevata, non è qui il caso di discorrere. Meno probabile etimologia di camorra è quella che dá lo Zambaldi, op. cit., da chamorro = testa rasa, detto de’ plebei, in opposizione ai nobili che portavan parrucca.

Camorrista: V. Camorra.

Campagna: vale impresa, spedizione militare: si usa questa voce in senso neologico e figurato per significare un’azione concorde ed attiva di molti per ottenere un dato fine, economico, morale, politico, fermando su di esso l’opinione del publico. Es. campagna elettorale. Aver fatto molte campagne dicesi familiarmente e ironicamente di chi ebbe molte avventure nella vita, ma non tali da proporsi a modello della costumata gioventù.

Campata: nel linguaggio degli ingegneri indica la estensione degli archi di un ponte.

Camparo: termine lombardo (campee), guardia dei campi, colono cui si affidano molte funzioni proprie del fattore.

Campionato: fr. championnat, nel linguaggio delle corse dicesi di quelle prove in cui si gareggia per essere proclamato campione: l’onore di esser campione.

Campo: «il campo della storia, il campo della politica, etc.» è modo metaforico oggi molto comune. Il Fanfani lo riprende e suggerisce più semplicemente la storia, i particolari della storia, etc. Vero è che dicendo campo noi intendiamo indicare i confini entro cui si estende l’argomento.

Campo e diminutivo campielo: voci del dialetto veneziano indicano non propriamente la piazza, che dicesi piazza (Es. Piazza di S. Marco) ma que’ naturali spazi e slarghi che s’incontrano ogni tanto fra l’intricato dedalo delle calli, e che propriamente piazze non si potrebbero chiamare.

Campi di maggio: champ de mai e de mars, nome storico di antiche assemblee armate che gli antichi re di Francia convocavano periodicamente in sul far della primavera per deliberare su le cose della Stato. Queste assemblee si trasformarono in processo di tempo negli Stati generali (États-Généraux). Anche i famosi Letti di giustizia dei tempi posteriori, pressa la Rivoluzione, si possono considerare come una derivazione degli antichi Campi di maggio.

Camsin: vento caldo infuocato che suole spirare su le coste settentrionali dell’Africa dall’aprile al giugno.

Canalazzo: accrescitivo di canale, col suffisso dialettale in azzo: indica determinatamente lo storico, maggior canale di Venezia, che tutta la attraversa in forma di S. La più bella via del mondo!

Canapè: è voce francese, conquistata dall’uso; ma di comune origine latina (bassa latino canapeum). Divano è voce araba (diouân) e così pure sofà (soffha). La parola italiana sarebbe lettuccio, rimastaci nella frase: essere fra letto e lettuccio.

Canapificio: stabilimento dove si lavora la canapa. Voce di formazione popolare come linificio, cotonificio e comune in Lombardia ove coteste industrie tessili hanno grande sviluppo.

Canard: voce francese e vuol dire anitra. Dal fatto poi che nella caccia pongonsi sugli stagni delle anitre artificiali per attirare le vere, così da questa parola derivò il senso di frottola, fandonia, ma quasi esclusivamente nell’uso giornalistico. I nostri dialetti non mancano di simili espressioni metaforiche, ma queste non si estendono quasi mai al linguaggio comune. A Cesena, per esempio, dicono l’è una cagna per dire una frottola: balla in Milano e nell’alta Emilia.

Can: V. Kan.

Cancan: «specie di danza sconvenevole, ne’ balli publici, con salti smoderati e gesti impudenti, burleschi e di cattivo gusto,» così il Littrè, ove si può anche leggere l’etimologia possibile della parola. Alfonso Karr invece ci piacevoleggia scrivendo: Nous avons le cancan gracieux, la saint-simonienne, le demi-cancan, le [p. 107 modifica]cancan, le cancan et demi et le chahut. Cette dernière danse est la seule prohibée. Il Cancan è un ballo scomposto, dai movimenti non previsti nella coreografia. Sembra esser nato nel quartiere Latino ai bei tempi della monarchia di Luglio, ma il nome era preesistente (V. Lacombe, Dictionnaire du vieux langage). Di quel tempo sono i seguenti versi:

          Messieurs les étudiants,
          monitez á la Chaumière
          pouir y danser l’cancan
          et la Robert Macaire.

(Letellier, 1836).


Al tempo odierno questo ballo forma la delizia di certe platee, specie dei caffè concerto, e fra i movimenti incomposti ve ne ha uno quasi caratteristico di questo ballo che consiste nell’elevare la punta di un piede sino a formare un angolo di quasi novanta gradi coll’altro piede fermo: se i gradi aumentano, aumenta anche l’entusiasmo del publico. Si preferisce veder ballare dalle donne il cancan! Cancan vuol dire anche chiassata, scandalo, pettegolezzo inopportuno. Cancaneggiandovi su dice il Carducci in senso traslato. V. note alle Odi Barbare.

Cancelliere: in Germania è titolo dato al primo ministro, capo supremo dell'amministrazione, responsabile solo davanti all’Imperatore. In Russia il ministro degli affari esteri ha pure il titolo di Cancelliere.

Candeggio: l’atto dell’imbiancare al sole le tele ed i tessuti: termine industriale.

Can della Scala: esclamazione o ingiuria burlesca, propria del Veronese dove fu nell’Evo Medio il reggimento dei Can della Scala: estesa poi in molte terre di Lombardia e dell’Emilia per la fortuita combinazione che la prima parola cane costituisce ingiuria: dicesi por dare sfogo ad una bizza del momento.

Cane: le varie e curiose locuzioni ed esclamazioni nostre in cui entra la parola cane sono registrato pur ne’ lessici comuni. V. Petrocchi.

Cane Medoro (il): nomo dell'eroico cane delle giornate di luglio 1830 in Francia, il quale «portava al suo padrone il fucilo e le cartucce, e quando il suo padrone cadde e fu con gli altri eroi sotterrato nella corte del Louvre, il povero cane restò giorno e notte su la tomba immobile come una statua della fedeltà.» A. Heine. Fu mantenuto poi a spese della Guardia Nazionale, e A. Heine che avea gran desiderio di vedere l’eroico cane, scorse invece una brutta e ringhiosa bestia. «Forse non era, scrive ironicamentente lo Heine, quello il vero Medoro, ma un usurpatore. Il cane Medoro s’era modestamente ritirato come il popolo che avea fatto la rivoluzione». Così sempre:

Non veste seta chi filò gli stami!


Canfino: olio di trementina depurato con la distillazione. In alcune regioni (Romagna) questa parola è adoperata in vece di petrolio.

Canna: fr. canne = bastone, dal lat. canna, in gr. κάννη . Nel senso di mazza, giannetta o bastone la registra il Petrocchi, non il Rigutini né il Tommaseo. È riprovata dal Fanfani e mi pare a ragione: difesa dal Viani.

Cannello: così sul litorale romagnolo emarchigiano è chiamata la Solen vagina, mollusco bivalve, in forma di cannello, capace di affondarsi nella sabbia del mare ove sta occulto: nelle lagune di Venezia è abbondante. Si pesca quando la marea è bassa al mattino. Si mangia crudo e cotto. Eccellente su la graticola, impannato con olio e prezzemolo! alquanto dolciastro, però. Deve essere il cannolicchio de’ napoletani, I Veneziani ed Istriani lo chiamano cappa lunga (capa longa).

Cannocchia o cannocchio: termine volgare su le rive dell’Adriatico occidentale, per indicare uno squisitissimo e comunissimo crostaceo (squilla mantis) di cui si fa gran pesca e gran sciupo.

Cannolicchio: o pesce cannella nel dialetto napoletano, V. Cannello.

Cannoni: traduzione della voce dialettale milanese canòn = cialda, cialdone. Riompionsi di latte e miele o di crema.

Canoa: parola spagnola tolta dalla natia voce indiana, caraibica: in inglese canoe (kanö), specie di piroga, fatta in origine di un tronco scavato senza chiglia nè poppa nè prora, che si spingea con forza di pale. [p. 108 modifica]Poi, secondo arte costrutta, navicello, palischermo, etc.

Canoe: V. Canoa.

Canonicato: dignità e prebenda del canonico, e poi, familiarmente per giusta estensione di quel primo significato, si dice oggidì di uffici dove il guadagno è molto, il da fare poco: uffici molte volte dati come si davano gli antichi canonicati: prova della stabilità delle cose umane.

Canossa: V. Andare a Canossa.

Canot: voce francese, fatta italiana in canotto, ed entrata nell’uso come il suo derivato canottiere. Canotto è propriamente la barchetta lunga, sottile, elegante e non a vela, ma con molti remi, che serve ad esercizio fisico e diletto, specie su fiumi, per laghi, lagune. Barchetta, lancia, palischermo, navicello etc. hanno altro uso e senso. Certo che dalla nostra inutile ricchezza si poteva togliere una di tali voci e adattarla a questo nuovo senso, ma ciò costava uno sforzo; per ciò si accolse e si fece nostrana la voce francese. Canot è derivato dalla barbara voce canoa.

Canottaggio: fr. canotage: termine dell’uso. Indica uno dei rami dello Sport, che consiste nelle gare e nell’esercizio del remare. V. Canot.

Canotto e Canottiere: V. Canot.

Cantabile: espressione indicante il modo di eseguire un dato componimento musicale. Può usarsi anche sostantivamente, e in tal caso significa il componimento stesso. Mozart, Bellini, Beethoven, Chopin hanno cantabili squisitamente affettuosi e stupendi.

Càntaro e cantero: (greco kàntharos) vaso cilindrico di terra che ponesi nelle seggette per deporvi il superfluo peso del corpo: nome e uso confinato all’Italia meridionale, ove difettano cessi.

Canter: voce inglese che vuol dire piccolo galoppo, preparatorio alle corse, e per gli intendenti serve a pronosticare l’esito della corsa. Voce dello Sport.

Canto del cigno: dice Platone che i cigni, morendo, più dolcemente cantano, presaghi del bene che è nel non essere dunque ultima voce. In cigni gli antichi figuravano trasmutati i poeti: dunque canto o ultimo canto del cigno vuol dire l’ultimo canto di un poeta. Oggi dicesi così, specie in tuono e significato faceto e satirico, e con senso assai esteso e fuori di temi poetici.

Canto fermo Gregoriano: (cantus planus), è il canto della Chiesa cristiana. In esso è opinione rivivano le melodie dei tempi davidici; altre furono ispirate dalla nuova legge, altre infine nacquero in seno alla Chiesa stessa: tutte sono raccolte nel Breviario, nel Missale e negli altri libri liturgici. Nella severa bellezza della loro semplicità questi canti attraversarono pressochè intatti una lunga serie di secoli e tutte le fasi dell’arte musicale. Il canto fermo è pur detto gregoriano perchè nel VI secolo S. Gregorio lo coordinò e ne colmò le lacune: monumenta Patrum renovavit et auxit. Il canto fermo ha leggi e teoriche particolari: sono classiche le opere di Guido d’Arezzo, di Jumilhac e del Pothier. (A. Galli, op. cit.).

Canto fratto: specie di canto chiesastico all’unisono (omofono). Differisce dal canto fermo per la varietà dei valori (figure) e per essere misurato; avverte però il trattatista Padre Andrea di Modena che in esso i segni delle note perdono la metà del loro valore. (A. Galli, op. cit.).

Canto liturgico: V. Canto Gregoriano o Canto fermo.

Cantonale o cerniera (fr. cornière) o ferro d’angolo: chiamano i meccanici le lamine di ferro piegate a squadra.

Cantonata: dicesi nella locuzione molto familiare e popolare prendere una cantonata: che vuol dire sbagliare, pigliar un granchio a secco, ma con ostinazione nell’errore come chi si ostinasse a spingersi contro un cantone invece di imboccare la via diretta. Nel bolognese dicono anche zuccata, quasi l’atto di chi urta con la zucca, sbagliando.

Cantone: accrescitivo di canto. In fr. canton è determinazione geografica per indicare una parte di territorio. In Francia i cantoni sono altresì una suddivisione dei circondari. In Isvizzera si dà il nome di Cantoni ai vari Stati che formano la Federazione. V. Guicc. Stor. 2. 421. Giocando sul doppio senso che cantone ha presso di [p. 109 modifica]noi, lo Stecchetti (Postuma) imagina di chiedere ad uno Svizzero del Vaticano, non natio della Svizzera ma di Frascati, e quindi ignaro del senso’ di cantone = Stato:

          E lei di grazia, in che cantone è nato?
     Lo Svizzero levò le man pelose,
          M’afferrò, mi battè contro al portone,
          Ed arrotando i denti, mi rispose:
     Ti, puzzurre, star nate in un cantone,
          La mia città star grande e star graziose;
          Ssò frascatano, sso prute, pufone.

Cantuccio: nome toscano di biscotto, solitamente con anici: pezzetto di pane di cacio tagliato sul canto o angolo.

Canzonettista: nome dato alla cantatrice di canzonette nei caffè concerto.

Caoutchouc: forma francese della voce indiana cahuchu che indica la gomma elastica, sostanza che proviene dal succo di certe piante tropicali, incise all’uopo. Serve, meschiata ad altre sostanze, per infinite applicazioni dell’industria e della vita moderna.

Capacità: per uomo capace (Es. il tale è una capacità) è il francese capacité. Les capacités = les personnes capables. (Littré). Parola riprovata dai puristi e non a torto. Certo chi scrive con senso d’arte non usa tale parola. Nè meno il Petrocchi la registra nel suo Dizionario Universale. Vero è pur anche che la tendenza agli astratti è fortissima nel pensiero moderno, e se noi trovandoli già bell’e formati nel francese e affini alla favella nostra ce ne gioviamo, sarà così grande la colpa?

Capharnaüm: così in francese chiamasi un luogo ove oggetti disparati sono ammucchiati confusamente. Cafarnao (lat. Capharnaum) è una città di Galilea dove Cristo cominciò a rivelare la sua missione divina. Dai ruderi di quella città (oggi Tell-Hum) il nuovo senso. V. S. Marco II, 2.

Capillaire: questa parola francese risponde alla nostra capelvènere (Capillus Veneris), pianta crittogama, medicinale, della famiglia delle felci. Cresce spontanea ed è pur coltivata per adornamento, essendo di graziosa e delicata apparenza. Il siroppo che se ne trae, oggi assai in uso, viene denominato con la voce francese.

Capire il latino: intendere ciò che altri vuole e pensa senza che apertamente lo dica: indi operare in modo conforme a quelle volontà. La frase suona ironia, e però è detta di solito da colui che raggiunge l’intento senza il disturbo di esprimerlo. Di solito vale andarsene.

Capitalismo; voce astratta che indica la forza e l’abuso della forza che è insita nel cumulo del capitale, e per cui operano conformemente gli uomini.

Capitalizzare: fr. capitaliser, cioè accumulare ricchezze e averi che danno reddito. Voce autenticata dalla Nuova Crusca.

Capitano: nel linguaggio marinaresco è il comandante di un bastimento, l’autorità suprema di bordo. Nella marina di guerra vi sono i gradi di Capitano di vascello, Capitario di fregata e Capitano di corvetta, e nella marina mercantile vi sono i gradi di Capitano superiore di lungo corso, Capitano di lungo corso, Capitano di gran cabotaggio e Padrone (V. Parone). Nei piroscafi invece di Capitano si dice anche Comandante.

Capitone: vocabolo usatissimo in Napoli ed esteso alle altre regioni, specie dell’Italia centrale, per indicare una specie di anguille assai grosse e vistose: vittime cruenti della vigilia di Natale. Capitone è accrescitivo del vocabolo latino capitis = capo.

Capocomico: direttore di compagnie comiche.

Capo d’opera: usato promiscuamente in vece di capo lavoro, ricorda ai puristi molto da vicino il chef-d’oeuvre dei francesi. Di questi doppioni, l’uno ritenuto buono l’altro no, la lingua italiana abbonda, per sua sventura. Capo d’opera fu usato dal Giusti nella Mamma educatrice:

               È un capo d’opera
               è una gran cosa,

giacchè non è detto che gli scrittori toscani vadano esenti da’ gallicismi; sì bene è vero che quelli che essi adoperano paiono a molti aver diritto di cittadinanza italiana. Per il Rigutini capo d’opera e capolavoro si equivalgono; ma, con sua licenza, credo che abbia torto.

Capo (in): nelle locuzioni generale in capo (en chef) per generalissimo, aiutante in capo per primo aiutante è modo ripreso dai puristi come gallicismo. Ma non [p. 110 modifica]conviene dimenticare ciò che fu già detto: cioè, aver noi tolto l’ordinamento amministrativo e militare in gran parte dalla Francia, onde le voci insieme alle cose. Segretario capo, Ingegnere capo per primo segretario o caposegretario sono altresì modi non accetti ai puristi.

Caporale: popolarmente è detto il capo di alcuna squadra di operai. Caporale, nel gergo di alcune regioni, dicono il mozzicone dello sigaro. Caporàl dicono in Lombardia di donna che abbia modi spicci, maschili, energici e che al costume abbia simile l’aspetto.

Caporale di Francia: sopranome dato a Napoleone I, tolto manifestamente dal Petit caporal de’ francesi. Giusta qui cade la osservazione del Cherubini che stampò quel suo bel dizionario in tempi in cui la voce caporale di Francia doveva essere più viva che oggi non sia: «Caporale: di piccola statura e di poco valore. Però siccome nella vacuità del mondo l’uomo fa le cose come le cose fan l’uomo, così l’uomo nobilita i vocaboli, come i vocaboli nobilitano l’uomo. Ora questa voce per se tendente all’ignobile, è oggimai storicamente nobile dacchè fu affibbiata al maggior capitano del secolo, dacchè diventò come a dir soprannome di Napoleone Bonaparte.»

Capote e capotine: indicano il cappello chiuso delle signore, legato con nastro sotto la gola, oggi non troppo di moda. Capote è diminutivo di cape, mantello con cappuccio, lat. caput = capo. NB. Capotine non è nei diz. francesi, forse è una delle voci abusive da noi formate col francese.

Cappa: nome volgare dato sui liti adriatici a molti molluschi bivalvi. V. Cappa Santa.

Cappa: in marina indica quello stato del bastimento nel quale con poche vele nell’andatura di bolina si resiste ad un fortunale. Più chiaramente parmi dover dichiarare questa voce, e tolgo dal Guglielmotti: Cappa è termine antico ed indicò la vela maestra di qualunque naviglio perchè bassa, grande e centrale, meglio di ogni altra a guisa di padiglione essa copriva il legno e la gente. Questa voce vive nella locuzione alla cappa per indicare quella disposizione particolare di vele con che un bastimento, stretto dalla furia del vento contrario, si copre e fa testa quanto può all’orza.

Cappa Santa: chiamasi con questo nome volgare nell’Adriatico il pettine, bello e grande mollusco bivalve, il cui nome scientifico è Pecten jacobaeus. Su le rive dell’Adriatico molti molluschi bivalvi portano il nome di cappa (c. tonda, c. longa etc.), mentre l’aggiunta di santa deve derivare dal fatto che le valve del Pecten jacobaeus venivano o vengono portate come ornamento sul sarrocchino dei pellegrini al santuario di S. Giacomo di Compostella.

Cappella: nella locuzione fare una cappella: modo nostro volgarissimo che vale prendere un granchio, sbagliare con pregiudizio e danno.

Cappeggiare: l’essere o lo stare alla cappa. V. Cappa.

Cappella ardente: locuzione metaforica tolta dal francese chapelle ardente. Ma è così nota e intesa da tutti che è vano riprenderla. Certo si può dire il cadavere fu esposto in una stanza parata di nero ed oro con ceri e fiori, ma cappella ardente significa tutto questo appunto. Dicesi anche camera ardente.

Cappelletti: nome di una classica minestra bolognese-romagnola in forma di cappelli. Consistono in un disco di sfoglia soda coll’uovo, farcita di carni bianche mescolate a tuorli d’uova, prosciutto, midollo, burro, noce moscata, parmigiano, etc., il tutto convenevolmente, secondo arte, preparato: i lembi del disco si ripiegano e avvolgono in modo che paia il calco di un ombelico. Venere, se non di Milo, di Bologna, dicesi, secondo una faceta leggenda, essersi prestata ad offrire il modello. Si mangiano in brodo ed asciutti. Diconsi anche tortellini e tortelli, e si riempiono anche di ricotta e di bietole, ma così fatti si mangiano asciutti. In Toscana, ravioli: e pure diconsi ravioli a Milano se non che hanno forma di mezzo disco. Si fanno anche dolci e da friggere. V’è poi la parola agnellotti, che nel senso equivale a cappelletti o a ravioli, cioè minestra di pasta con ripieno. A Parma li dicono anolini, certo da agnellotti, appunto perchè si taglia [p. 111 modifica]il disco della pasta con un anello. A Milano poi tortelli (tortèj) son detti le fritolle di pasta lievita, voce che fuori di Milano non sarebbe intesa in questo senso. Dopo ciò mi pare ragionevole la chiosa del Cherubini alla voce ravioeu: «anche nel rispetto della cucina noi ci facciamo stranieri l’un l’altro ad ogni palmo di terra del fortunatissimo stivale». Ma è pur ragionevole osservare che la ammirevole varietà delle squisite cucine italiane è cagione che vari siano i nomi dati alle cose.

Cappello: nel gergo giornalistico significa proemio, prefazione, preambolo ad alcun scritto. Prender cappello: è modo familiare di alcune regioni che vuol dire aversene a male, impermalirsi, detto così dal fatto che colui il quale se ne ha per male, prende il cappello e se ne va.

Cappuccino: caffè nero corretto col latte. Voce dell’uso, derivata probabilmente dal colore simile alla tonaca del frate cappuccino.

Capra o biga: apparecchio usato per alberare cioè mettere a posto l’albero delle navi. Consiste in due grandi aste, drizzate in coperta, incrociate in cima con solida legatura, le estremità poggianti su zoccoli, collocati sui trincarini in direzione della mastra dell’albero che si vuol collocare.

Capriccio: (da capra, cfr. il fr. verve) dicesi di passione amorosa, subitanea, passeggera, irragionevole. Voce frequente su labbra femminee. Nella locuzione far di capriccio e parlando di arti del disegno, vale operare di fantasia, senza togliere dal vero: il lavoro stesso così fatto. Capriccio dicesi pure in musica per indicare un genere di componimento puramente istrumentale.

Caprifico: (ficus Carica, varietà Caprificus) è il fico selvatico, a frutti verdi o violetti, non mangiabili, crescente su lo rupi su vecchi muri nei paesi a clima mediterraneo. Ricorda, o lettore, l’aereo fico selvaggio su le mura delle porte Scee di cui Omero ragiona e sotto cui Ettore fu morto da Achille.

Càpsula: (lat. capsula diminutivo di capsa = cassa). Si dico, come già in antico, dei libri, cioè dello piccole cassette ove si contengono opuscoli carte, etc. nelle biblioteche.

Capuchon: = cappuccio o mantello con cappuccio. V. Capote. Nel linguaggio elegante della moda è in onore la voce francese.

Caramba!: esclamazione di sorpresa e di meraviglia, tanto per notizia lieta come cattiva, usata nell’America spagnuola e in Ispagna.

Caramella: dicesi in modo familiare di quella lente che per vezzo taluno incastra nell’orbita dell’occhio.

Caratista: colui che è socio in una società commerciale in accomandita semplice. Caratista è voce familiare derivata da carato = quota.

Carattere: V. Caratterizzare.

Caratterizzare: per dimostrare, rivelare, distinguere, qualificare, è dai puristi reputato gallicismo (caracteriser). Ma siamo al solito caso: questo verbo è così il sostantivo carattere = indole, rispondono ad un concetto concreto ed inteso universalmente. Come dunque condannarli con fiducia che la condanna sia intesa? Le ragioni addotte dai puristi sono le seguenti: Carattere — osserva il Tommaseo (Sin.) — è quasi l’impressione che la natura e gli affetti e i pensieri e gli abiti stampano nell’anima e nelle azioni dell’uomo. Quindi è che diciamo: uomo senza carattere, la cui anima non ha fermezza, e par che si lasci in sempre nuove forme rimpastare. Carattere forte, fermo, maschio, bel carattere, gran carattere: locuzioni etimologicamente proprie. — Ma l’usare carattere per indole, natura, naturale, è un’esagerazione degli imitatori de’ Francesi, per i quali tout le monde a du caractère.

Caratura: quota, anche variabile, di parte del capitale di una società commerciale in accomandita semplice.

Caravanserraglio: fr. caravansérail. Parola formata da voci arabe per indicare quel recinto, specie di albergo, ove si ricoverano le carovane.

Caravella: καραβώδης lat. carabulus) voce storica specialmente pel ricordo di Colombo che alla grande impresa mosse con tre caravelle. Indicò una specie di vascelli usati particolarmente dai Portoghesi, molto leggieri e veloci. «Sono [p. 112 modifica]piccoli, hanno quattro arberi; nel primo che sta alla prora portano una vela quadra col suo trinchetto di gabbia, le altre sono latine con le quali camminano con tutti i venti: hanno una sola coperta e non sono atte a ricevere molto carico.»

Carbone bianco: appellativo che si dà al ghiaccio dei ghiacciai per esprimere il fatto che nell’acqua dei fiumi, da essi alimentati, si ha una sorgente di energia che può sostituirsi, per le industrie, a quella fornita dal carbon fossile.

Carbonile: voce dell’uso e speciale per significare i depositi del carbone nei piroscafi. «Voce necessaria, formata come fienile, cortile, etc.» Guglielmotti, op. cit.

Carburazione: l’operazione che ha per iscopo di incorporare all’aria, all’idrogeno, od al gaz illuminante di scadente qualità i vapori di idrocarburi (benzina, etere di petrolio) per ottenere un gaz capace di bruciare con fiamma molto luminosa.

Carcel: nome di un fisico francese del principio del secolo XIX che inventò una lampada che bruci 42 grammi d’olio di colza all’ora, con una fiamma alta 40mm Questa luce venne assunta dai francesi come unità di luce.

Cardenia e Gardenia: genere di piante rubiacee: arbusto e foglie verdi e forti, fiore bianco, corolle vellutate e polpose, profumo soave e voluttuoso e però di gran moda. Originaria dell’India, presso di noi è coltivata nelle serre.

Cardias e cardia: termine anatomico, indica l’apertura superiore dello stomaco; dal greco kardia = cuore e bocca dello stomaco, come si dice volgarmente.

Cargo-boat: voce speciale inglese per indicare i così detti somieri del mare, cioè i gran navigli a vapore, costruiti apposta per trasportare le merci voluminose, quindi scafo ampio, velocità media; quindi ben distinto dai corsieri del mare dalle velocità ed eleganze meravigliose. La parola deriva dallo spagnolo cargar, cfr. caricare e boat (bōt), voce di origine scandinava, che vuol dire nave. Nave oneraria.

Càrici: plurale di càrico dicono erroneamente in Lombardia, laddove per comune consenso si dice càrichi. Del resto quanto al plurale dei nomi in co e go incertezza è fin da antico, e nell’uso altresì de’ classici. V. ci e chi, gi e ghi.

Carillon: soneria di campane accordate, in origine quattro, onde il nome, derivato da un quadrilia del basso latino. Il Menage scrive carrillon, il che conferma la etimologia del vocabolo. Nel Belgio e nell’Olanda furono inventate e costrutte (secolo XVI). Carillon dicesi oggi comunemente delle sonerie di orologio e delle scatole armoniche che si caricano e suonano.

Carlona (alla): modo dialettale lombardo a la carlonna, trapassato nell’uso per indicare cosa fatta male, come viene. Propr. dei tempi di Re Carlone (Carlo Magno).

Carmignano: nome di vino toscano che contende col Rufino il pregio del Chianti: dal nome del luogo in provincia di Firenze.

Carmina non dant panem: la poesia non dà pane. E il Petrarca, attribuendo il pensiero al vile vulgo, scrisse: «Povera e nuda vai filosofia.» Sentenze entrambe vere attraverso il mutare dei tempi: prova della stabilità delle cose umane.

Carnèade (n. 212 m. 129 a. C): filosofo stoico, indi platonico di Cirene (Africa), immortalato specialmente dalla ignoranza di Don Abbondio nel romanzo manzoniano «Carneade, chi era costui?», onde un Carneade si dice, con senso di comico spregio, di persona poco nota. Del resto nescio Carneades iste qui fuerit fa dire S. Agostino in un suo dialogo.

Carne da cannone: così per disprezzo con intenzione politica è chiamata volgarmente talora la moltitudine inconsapevole dei soldati, i quali vanno a combattere senza saperne la causa. Dal fr. chair à canon.

Carnet: fr. è voce assai usata e deriva molto probabilmente dal latino quaternum [cfr. Cahier; come hiver da hibernum, enfer da infernum], «foglio piegato in quattro, quaderno.» In italiano libretto, taccuino.

Carnival - nation: epiteto sprezzantemente ingiurioso, già dato degli Inglesi all’Italia: nazione carnascialesca. [p. 113 modifica]L’indolenza, l’indifferenza e la naturalo festività del nostro popolo, specie delle terre meridionali, spiegano la parola. Mutati i tempi e pur migliorate le cose, permane tuttavia l’abitudine festaiuola per ogni occasione, lieta o triste che sia. «Si sciopera per i centenari e per gli anniversari, per i vivi e per i morti, per le nozze, e pe’ funerali. Ogni occasione è buona — tutti d’accordo in questo, monarchici e repubblicani, anarchici e conservatori — per non lavorare e per far baldoria. Vostro eroe, o cittadini, non è Vittorio Emanuele o Garibaldi; è Michelaccio!» Carducci, Ça ira in Confessioni e Battaglie.

Carolo: detto anche Brusone, Carbonchio, Ruggine, Bianchella, è una grave malattia del riso, prodotta da una crittogama microscopica, sia secondo alcuni un fungo sia secondo altri un bacterio. Le foglie del riso, dopo uno sviluppo troppo rapido e anormale della pianta, divengono rosse, si raggrinzano, si seccano, quindi tutta la pianta perisce.

Carpe diem: motto tolto dalle odi di Orazio (lib. I, XI, 8) che propriamente vuol dire prendi, godi dell’oggi, sfrutta la giornata, essendo la vita formata di giorni. La giusta massima, in verità, è specialmente messa, in pratica da coloro che non sono tanto filosofi da meditarvi sopra, nè dotti da conoscerla. Confronta per curiosità questa strofe di Lorenzo il Magnifico:

               Quant’è bella giovinezza,
               che si fugge tuttavia!
               chi vuol esser lieto, sia,
               del doman non v’è certezza.

E il Tasso, che colse più spine che rose:


          Cogliam la rosa in sul mattino adorno
          di questo dì che tosto il seren perde.
                    Gerusalemme. XVI, 15.

Carpione (in): cioè carpionare (milanese carpionà). Termine milanese per dire: cucinare alcuna vivanda come si suole il carpio o carpione, pesce di lago: cioè sotto aceto con aglio, droghe ed erba salvia, cioè marinare. Pesce marinato.

Carpo: la prima, verso l’avambraccio, delle tre parti (Carpo, Metacarpo, Falangi) che costituiscono lo scheletro della mano, gr. καρπός.

Carré: letteralmente quadrato. Questa voce francese è usata per indicare quella pezza che nelle camicie e nelle vesti muliebri si sopra pone e va da una spalla all’altra e serve a dar garbo e varietà al vestire. La voce italiana, e viva tuttavia, è sprone. I dizionari francesi in tale senso registrano carrure. Nel linguaggio culinario, a Milano, usano carré nel senso francese, cioè per indicare un quarto di bestia macellata o porzione tolta nella lombata.

Carrément: alla lettera quadratamente, ed è avverbio neologico francese, non ignoto in Italia, per recisamente, chiaro e tondo.

Carrozza di tutti: V. La carrozza, etc.

Carrozzella: (carruzzella) così in Napoli, più italianamente che altrove, è chiamata la vettura publica, brum, calèche, fiacre, etc. botte in Roma. Altrove carrozzella dicesi di quella dei bimbi.

Carrozzino: neologismo di uno speciale linguaggio, politico e giornalistico, per indicare, specie nelle publiche amministrazioni, un contratto manifestamente e fraudolentemente ruinoso per una parte e lucroso per l’altra. Il Fanfani riprova questa parola e consiglia rigiro, truffa, che però hanno altro senso e sono meno determinate. Parmi che appartenga a quei tanti neologismi destinati a scomparire.

Carta canta e villan dorme: locuzione nostra, toscana e romagnola, per dire che di una cosa si può o si vuole star tranquilli essendovi o pretendendo i documenti scritti che la affermano.

Caricare: nel senso militare di far impeto, assalire il nemico, è ripreso dai puristi come gallicismo e così passo di carica. A ragione e con esempi classici il Rigutini difende il verbo caricare, già registrato dalla Crusca. Del resto sono voci oramai troppo bene difese dall’uso.

Carroccio: voce storica che significa il noto carro con lo stendardo comunale, usato nelle guerre delle republiche italiano nell’evo medio. Noto questa parola per ricordare che essa è parola dialettale lombarda (caroccia = carrozza), divenuta italiana.

Carta: por biglietto di visita. V. Carte. [p. 114 modifica] Carte: è pe’ francesi quello che noi diciamo biglietto da visita. Es. j’ai laissé ma carte chex son portier. Noi, togliendo la svelta parola dal francese, diciamo spesso carta invece di biglietto. Così pure francese è la frase comunissima negli alberghi: mangiare alla carta = dejeuner à la carte, diner à la carte, etc. Carta, o latinamente, charta, usasi alla francese per indicare le tavole statutarie delle costituzioni d’Inghilterra (V. Magna Charta) 1215, e di Francia, 1814.

Cartel: voce tedesca tradotta in cartello: specie di sindacato fra proprietari ed industriali allo scopo di mantenere i prezzi dei prodotti ad un dato livello e di farlo salire se è possibile. Il cartel tedesco lascia ad ogni impresa la sua personalità e la sua indipendenza; i proprietari conservano tutta la loro proprietà ed il cartel esige solo il rispetto rigoroso degli impegni presi da’ suoi membri. (V. Raffalovic, Trust, Cartels et Sindacats, Parigi 1903). Il Trust non rappresenta che un perfezionamento del Cartel. NB. Sono cotesto le nuove forme di tirannide.

Car tel est notre plaisir ovvero car tel est notre bon plaisir: propriamente è la formula con cui si chiudevano gli editti dei re di Francia già dal tempo di Francesco I: francesemente elegante e arrogante.

Carter: copricatena, cioè quella copertura di metallo o di celluloide che difende la catena della bicicletta dalla polvere e dal fango. Dall’inglese carter = carrettiere. Voce neologica, usata anche in francese.

Cartomanzia: l’arte, o ciurmeria che si voglia chiamare, di predire l’avvenire mediante il giuoco e l’interpretazione delle carte. Fr. cartomancie.

Cartonaggio: neologismo tolto, come appare dal suffisso, dal francese cartonage, ed è parola dell’uso per indicare i molti e vari lavori che si fanno col cartone.

Caruso: voce popolare siciliana = ragazzo, manuale. Nelle miniere di solfo in Sicilia significa il garzone non ancora fatto operaio, che trasporta i materiali col carretto e fa i lavori più gravosi. Singolare è la varietà delle voci dialettali italiane per esprimere la parola ragazzo: dal guagliune napoletano al bagaj lombardo; dal bastardo (basterd) e burdèl romagnolo al putèlo veneziano, al caruso siciliano, al masnà gögnin e cit (senese citto?) piemontese, al fantulin e frutt friulano, c’è di che scegliere.

Casalinga: voce usata a Milano per indicare la condizione sociale della donna che non ha mestiere né arte e non è agiata.

Casaque: fr., in italiano giacca o casacca, a mezza vita, con ricche maniche, larga ed a pieghe. Dicesi in ispecie di quelle tipiche e adorne de’ moschettieri di Luigi XIV.

Cascara sagrada: letteralmente in ispagnuolo vuol dire corteccia santa, ed è la corteccia di una pianta medicinale dell’America (Ramnea americana) onde traesi un efficace e conosciuto rimedio contro la stitichezza.

Cascina: termine lombardo (cassinna) = aggregato di case coloniche nella campagna Lombarda, con corte in mezzo, finestre e ballatoi prospicienti nella corte. Vi dimorano molte famiglie coloniche: vi sono stalle per grandi mandrie di vacche e vi si lavora il burro e il cacio. Cascina, al plurale, è pure il nome di una nota ed elegante passeggiata fiorentina. Da cascio, cacio.

Casellante: termine dialettale lombardo (casellant), passato nell’uso per indicare la guardia di un tratto di strada ferrata, cantoniere; da casello, voce non indegna e pur non notata, ma assai dell’uso per indicare il casotto de’ guardiani.

Casello: V. Casellante.

Casèra: termine lombardo: il luogo ove si fa il cacio. Non vi è corrispondente voce toscana non essendo in Toscana tale particolare industria. L’Angiolini (Vocab. Mil.) traduce con caciaia, formaggeria, voci arbitrarie.

Cassaforte: risponde al francese coffre-fort. La Crusca, sull’autorità dell’uso, ha registrato tale voce, § XXVI sotto il nome cassa e scritto staccando cassa da forte. Ricorderò qui come la favella italiana abbia forziere che è pure una bellissima voce, ma limitata ormai all’uso letterario. Il Fanfani propone senza buona ragione cassa ferrata, cassa a muro, cassa a segreto. L’arte del proporre parole è [p. 115 modifica]fra lo più ingenue e le più inutili, quando già esistono le parole e l’uso le difende.

Cassandra inascoltata: dicesi di persona che ben prevede e consiglia ma cui non si dà ascolto: da Cassandra, figlia di Priamo, profetessa, cui Apollo, pel negato amore, avea condannata a non esser creduta.

Cassata: nome siciliano dato ad una specie di torta dolce.

Cassazione (corte di): giurisdizione suprema che cassa, annulla i giudizi, gli atti, le procedure. Il nome e la cosa ci vennero di Francia Cour de cassation, la quale nazione instituì per prima tale magistrato al tempo della Rivoluzione. V. Botta, Stor. ital., 2, 484. La Crusca ha registrato tale locuzione. Tribunale supremo, Corte suprema, proposti dal Tommaseo, sono modi che male si intenderebbero. Corte suprema, dicesi quando il Senato si costituisce in tribunale per conoscere e giudicare di colpe ad esso deferite dallo Statuto.

Cassé: nel linguaggio commerciale una certa specie di carbone spezzato è detta cassé, participio dal verbo francese casser, latino quassare. Cassé è uguale etimologicamente alla nostra voce disusata casso, latino cassus. Altro caso di parole uguali; l’una morta nell’uso italico, l’altra viva in francese.

Casseretto: in marina indica quel piccolo ponte che è nelle navi, a poppa, più elevato del cassero.

Cassero: in marina indica quella porzione di ponte, analoga al castello di prora, senonchè è situata all’estrema poppa. Voce classica der. dallo spagn. alcazar che alla sua volta deriva dall’arabo, al-qaçr, se pur la voce araba, come nota la Crusca, non proviene dal latino castrum = castello.

Casse tête: fr. rompi testa, clava, bastone piombato.

Castagnaccio: specie di torta fatta di crema di castagne e anche di ceci; ed è specialità fiorentina. Cuocesi in grandi teglie al forno, e si vende anche per le publiche vie.

Castagnette o castagnole: V. Nacchere. Dicesi in Romagna castagnole una specie di fritto dolce di pasta che piglia forma come di castagna.

Castellata: voce dialettale romagnola (a settentrione di Cesena) ed emiliana, che indica un carro con botte e insieme una misura di mosto di circa 760 litri. Così in Romagna e nell’Emilia sogliono portare i coloni il raccolto della vendemmia nella città.

Castelletto: registro di informazioni confidenziali tenuto dalle Banche per aver norma nell’accordare il fido o credito.

Castello dei burattini: dicesi in alcune regioni nostre per significare il teatro dei burattini.

Castello di prora: in marina indica la porzione dì ponte superiore, situata alla estremità della prora. Esso viene ricoperto da una tettoia che forma un ponte di lunghezza limitata, al di sopra della coperta.

Castigat ridendo mores: emenda, ridendo, i costumi: motto della commedia secondo l’antico precetto che l’arte deve congiungere l’utile al dilettevole.

Casto Giuseppe: come è noto, il biblico Giuseppe, figlio di Giacobbe e di Rachele, venduto dai fratelli a Putifarre, respinse virtuosamente gli adulteri amori della moglie di costui: onde di cesi casto Giuseppe, sardonicamente, di chi ostenta pudicizia castità ritrosa, ben sapendosi come sia difficile possedere tale virtù. In fr. Joseph = homme chaste.

Casus belli: lat. caso di guerra. In diplomazia indica ogni avvenimento che possa provocare la guerra tra due Stati. Dicesi altresì, per lo più con senso faceto, per cose di minor conto che danno motivo a’ litigi e questioni.

Catastrofico: neol. specialmente usato per indicare l’avvento, non evolutivo, ma violento del programma socialista collettivista. (Da catastrofe, gr. katastrophè = rivolgimento).

Catenaccio: rialzo dei dazi decretato improvvisamente (?) dal governo per impedire che i privati si provvedano anticipatamente della merce su cui cadrà il dazio.

Catharsl: voco greca antica (katharsis) che indica espiazione, purificazione. Presso i greci esisteva una vera arte o scienza espiatoria dei delitti commessi.

Catòdo: nuovo termino di fisica che indica l’elottròdo negativo. Raggi catodici [p. 116 modifica]sono i raggi X del Roentgen, i quali partono dal catòdo di un tubo di Crookes. La voce deriva dal greco katodos = discesa, ritorno.

Cauchemar: parola di incerta etimologia (V. lo Scheler), usata per vizio, avendo noi la parola incubo che vi corrisponde perfettamente anche nel senso figurato.

Causa: con un oggetto dopo di sè, es. causa il freddo, causa lo sciopero, etc. invece di per il freddo, in causa del freddo, è inelegante idiotismo lombardo.

Causerie: è il parlare grazioso, garbato e vario d’uno in altro argomento, come studi, arte, politica, senza approfondire di troppo nè urtar l’opinione altrui; proprio della conversazione da salotto di cui la Francia fu maestra e legislatrice. La causerie in altri termini fu in Francia un’arte di bene e finamente parlare in domestici ritrovi e non di cose futili soltanto. Il senso spregiativo che noi annettiamo a causerie non corrisponde sempre al vero. Cicaleccio e chiacchierio mal vi corrispondono. Le dignitose voci antiche nostre ragionari o conversari più mi piacerebbero se si potessero rinnovare.

Causeur: (V. Causerie): indica in francese il parlatore elegante, talora superficiale, frivolo, indiscreto, quale si addice alle conversazioni mondane ed eleganti. Deriva da causerie ma in senso, parmi, alterato con valore peggiorativo. Ciarlone e chiacchierone vi corrispondono imperfettamente.

Causeuse: dal verbo francese causer = parlare. Indica una specie di divano elegante a due posti, disposto inversamente, in modo che le due persone, sedendo, si trovino pressoché l’una di fronte all’altra. Amorino chiama il Petrocchi una «specie di sofà in forma di S sdraiata». Non trovo tale senso di Amorino negli altri dizionari.

Caval di ferro: perifrasi inglese iron horse = macchina a vapore. Caval d’acciaio o di ferro usasi anche per indicare la bicicletta: sovra il ferreo corsier passo contento || come a novella gioventù rinato || e sano e buono e libero mi sento (Stecchetti).

Caval di ritorno: locuzione felice e metaforica del linguaggio giornalistico, che parrebbe francese ed è, credo, italiana. Dicesi quando per maggiore effetto una notizia su cosa a noi vicina, è fatta venire, ad arte, da paese lontano, il che dà a credere al publico che fuori si occupino di tale questione. Invece si tratta di uno scritto che ritorna al luogo da cui era partito. Molti dei nostri letterati italiani sono, o tendono ad essere, cavalli di ritorno. Procurano di essere encomiati all’estero. Dopo un battesimo di Parigi e un padrino di colà, ritornano gloriosi in patria. E ciò può accadere anche agli scienziati, reputati illustri, specialmente quando i loro meriti sono prima riconosciuti fuori della patria.

Cavallino: vocabolo usato in marina per indicare quella macchina ausiliaria che serve a dar moto a verricelli e a molinelli quando i fuochi della caldaia principale del piroscafo sono spenti. Dim. di cavallo.

Cavallo - vapore o cavallo dinamico: (meccanica): unità pratica di potenza, ed è la potenza capace di produrre il lavoro di settantacinque chilogrammetri per minuto secondo.

Cavar sangue da una rapa: pretender l’impossibile. Ab asino lanam come diceano i latini.

Di rapa sangue non si può cavare.

Lippi, Malm. VIII, 75.


Cavatina: specie di aria, ed è così detta, secondo il Maffei, perchè la si poteva togliere senza danno dell’opera. È pur detta aria di sortita, perché veniva cantata dal personaggio al suo primo presentarsi su la scena. Ha la forma dell’aria con cappelletta o cabaletta (A. Galli, op. cit.).

Cavazione: nel linguaggio della scherma è l’atto di ritirare e mutar di luogo alla spada.

Cave a signatis: guardati dai segnati cioè da chi ha difetti fisici visibili. Riferiscesi in ispecie a’ gobbi, zoppi, guerci cui l’infelicità della lor natura può, talvolta, generare un perdonabile e comprensibile astio verso chi è perfetto. Da ciò, forse, il motto latino crudele.

Cave: per cantina è voce francese, usata talora in certo linguaggio che pretenda a raffinata mondanità. [p. 117 modifica]

Cavicchio: chiodo, lat. claviculus. La locuzione lombarda avegh el cavicc, avere il cavicchio, è estesa oltre il confine del dialetto. Dicesi di persona cui tutto riesce prosperamente, a cui tutte van bene, quasi che ci abbia piantato il chiodo. V. il Ricorso al Cavicc del Porta.

Cavo: (elettrotecnica): tipo speciale di conduttore destinato a trasmettere la corrente elettrica per uso di telegrafia, di telefonia, d’illuminazione, di trazione, etc. Ha forme svariatissime. Sempre però consta: 1° di un’anima conduttrice costituita da uno o più fili di rame finissimo — fili che possono, secondo i casi, essere isolati l’uno dall’altro od essere attorcigliati gli uni intorno agli altri così da formare un cordone — od anche da sbarre cilindriche o semicilindriche di parecchi centimetri quadrati di sezione: 2° di un involucro isolaute. Quasi sempre si aggiunge a codeste parti un rivestimento a difesa contro l’umidità od altri agenti nocivi. I sottomarini hanno anche un rivestimento di grossi fili d’acciaio, destinato a dare al cavo la resistenza meccanica occorrente ad impedirne la rottura durante le operazioni d’immersione o di rilevamento, e preservarlo dai danni che potrebbero produrre il moto ondoso delle acque, le ancore, gli arnesi da pesca, etc.

Cazzola: classico piatto milanese, cazzœla: specie di cibreo fatto di pezzetti di carne di pollo o maiale con droghe e varie specie di verdure.

Cazzotto: termine triviale di largo uso nelle varie regioni per indicare il colpo dato di sottomano, col pugno chiuso.

Ceci tuera cela: sono le parole di Claudio Frollo, preconizzante l’avvenire: «questo, cioè il libro di carta, ucciderà quello, il libro di marmo, il monumento.» Vittore Hugo, Notre Dame de Paris, lib. V, cap. I.

Cècubo: (latino caecŭbum) nome di un famoso vino antico (caro ad Orazio) che traevasi dalla pianura del Lazio, caecŭbus ager.

Cedant arma togae: letteralmente: cedano le armi alla toga, il potere civile domini sul potere militare. Massima della sapienza romana che leggesi in Cicerone, De Officiis I. XXI.

Cediglia: V. Cedille.

Cédille: termine della moderna ortografia francese, tradotto in cediglia: indica la virgoletta che ponesi sotto la lettera e (anticamente cz) nelle parole francesi, davanti ad a, o, u, per dare al c il suono dell’s. Cédille deriva dallo spagnuolo cedilla; la qual voce, ovvero sia zedilla, è diminutivo di zeta o zeda ed è insieme una lettera dell’antica scrittura spagnuola che è una c con sotto una virgoletta, e valeva por un suono consimile alla zeta, come appunto in francese.

Celebrità: per uomo celebre è parola dell’uso tolta dal francese, dove pure è notata come neologismo: cèlèbritè = personne célèbre. (Littré). Questa volta il Petrocchi (Diz. Universale) accoglie celebrità = uomo celebre. Perchè capacità no, celebrità sì? Perchè è più dell’uso? Il Carducci, nella sua lirica bellissima. Davanti San Guido, accoglie il neologismo nel verso non bello:

ma oggi sono una celebrità.


Celibatario: per celibe (latino caelibem = non ammogliato) è il francese célibataire. La registra il Petrocchi come termine «nuovo e non comune» sic! Giovine antico dice in Romagna il popolo di vecchio celibe.

Cellulare: agg. sostantivato per indicare il carcere a celle, in modo da segregare compiutamente i detenuti. Istituto di moderna e civile barbarie che dicono necessario per la istruttoria.

Celluloide: prodotto costituito da un miscuglio intimo di trinitrocellulosa (cotone fulminante) e di canfora. Colorato, mescolato con sostanze minerali, premuto in istampi, prende qualsiasi forma e serve a foggiare un numero infinito di oggetti di ornamento e di merceria.

Cemento armato: traduzione della locuzione francese cément armè, nuovo processo di arte muraria diffuso da Hennebique. Consiste in una travatura di cemento che contiene delle reti, sbarro o fili metallici, sommersi in detto cemento così da congiungere por maggior resistenza o leggerezza le qualità del cemento con quello del ferro. [p. 118 modifica]

Cenacolo: lat. coenaeulum: refettorio; e determinatamente quello di Cristo all’ultima sacra cena: con senso neologico tolto dal francese, cénacle significa accolta di amici o di intimi che s’accordano ad un dato intento letterario od artistico, spesso fanno capo a persona ammirata e adulata: voce spesso usata in mal senso. Noi potremmo dire chiesuola, e si dice, ma specialmente in senso politico.

Cendrier: voce milanese (?) che indica il sopra mobile di metallo o di terra a forma di piattellino ove si depongono i detriti dello sigaro, i fiammiferi spenti etc. per non isporcare in terra o sui mobili. Deriva fuor di dubbio dal francese cendre = cenere: se non che in francese cendrier indica soltanto quella parte del fornello ove si raccoglie la cenere. È singolare come a Milano siansi formate molte di queste voci pseudo francesi come cendrier, Voltaire, notes.

Cenerentola: è la versione italiana del fr. Cendrillon o la Petite pantoufle de vair, una delle più note e graziose fiabe del Perrault; che diè argomento a dramma ed opera musicale (Rossini): dicesi comunemente di fanciulla abbandonata o spregiata o costretta ai più umili servigi, accanto al focolare.

Cento giorni (i): termine storico con cui si designa lo spazio di tempo compreso fra il ritorno di Napoleone I dall’isola d’Elba e la sua seconda abdicazione.

Centrale: neol., agg. sostantivato. Luogo ove sono in piccolo spazio raccolti tutti gli organi più delicati dei grandi meccanismi che servono a servizi publici e estesi. Per es. centrale elettrica, a vapore, idraulica, sono i luoghi ove si produce e si verifica l’energia elettrica, a vapore o idraulica, distribuita poi da una rete di condotture.

Centralizzazione e centralizzare: dal francese centraliser e centralisation in buon italiano accentrare e accentramento. Vocabolo usato spesso nel linguaggio della politica per indicare il convergere delle autorità e dei comandi in un centro; accrescere l’autorità dello Stato e diminuire l’importanza delle rappresentanze ed autorità locali.

Ceratosauro: (Ceratosaurus nasicornis) è un dinosauro americano. I dinosauri sono rettili fossili di forme svariatissime e spesso gigantesche.

Cerebrale: da cèrebro, lat. cèrebrum: questo aggettivo che si dice come aggiunto della sostanza o materia del cervello, oggi è talora usato in nuovo senso e anche con forza di sostantivo come sinonimo di intellettuale, cioè di persona il cui lavoro si esercita specialmente col cervello.

Cerebrare: l’atto di lavorare col cervello, pensare, imaginare meditare. Questo verbo usano talora gli scienziati, per maggior significazione.

Cerebrazione: l’atto del cerebrare.

Cerebro-spinale (asse): è il complesso dei centri nervosi (cervello e midollo spinale).

Cerise: in fr. ciliegia, e color ciliegia; ma nel linguaggio della moda e parlando di stoffe, dicesi più spesso da noi cerise. Un commesso di negozio, se gli chiedessimo «una stoffa di color cremisi o chermisi» probabilmente poco intenderebbe.

Certum est, quia impossibile est: sublime motto della fede cristiana: è certo perchè è impossibile. Tertulliano, De Carne Christi, Cfr. Credo quia absurdum.

Cervellata: in alcuni dizionari è così spiegato «salsiccia alla milanese con carne, cervella di maiale e aromi.» Ora cervellata (cervellàa) indicò in Milano (dico «indicò» perchè oggi più non usa comunemente) una specie di fine grascia o strutto, senza punto carne, con aromi e formaggio lodigiano trito, insaccata in budelli come le salsicce e tinta di zafferano. Serviva di condimento alle vivande della cucina milanese, che è molto pingue e greve, e specialmente nel famoso risotto. In francese c’è la voce cervelas = salsiccia. Ma è probabile che la parola francese sia derivata dalla milanese, giacchè nei tempi passati la cucina milanese avea larga rinomanza. Diceasi cervellata probabilmente per la somiglianza che rendea con la materia del cervello.

Cervo volante: V. Aquilone.

Cerziorare: verbo usato specialmente nel linguaggio curiale, invece di informare e così dicasi del riflessivo cerziorarsi. Latinismo pedantesco, da certior comparativo di certus. [p. 119 modifica] Cesàreo: detto di parto compiuto per atto operatorio (dal lat. caedere = tagliare) mercè il taglio della parete addominale e dell’utero, onde si estrae il feto. Dicesi anche isterotomia addominale; gastroisterotomia. Secondo Plinio, Hist. Nat. VII, 9, Cosare fu così chiamato perchè nacque a caeso matris utero onde cesareo deriverebbe da Cesare.

C’est à dire: fr., esplicativo invece di cioè; non infrequente nel linguaggio giornalistico, specie quando si pretende al lepore ed all’arguzia.

Cestinare: voce familiare, specie del linguaggio giornalistico, e vuol dire gettare nel cestino, il che si intende delle carte inutili o giudicate tali e specialmente dei manoscritti indegni di stampa.

C’est la faute de Voltaire: ritornello di una canzonetta francese assai in voga sotto la restaurazione:

          S’il tombe dans le ruisseau,
          c’est la faute de Rousseau;
          et si le voila par terre,
          c’est la faute de Voltaire.

C’est le commencement de la fin: è il principio della fine! motto attribuito al Talleyrand su Napoleone I dopo i disastri di Spagna. Cfr. Shakespeare That is the true beginning of our end (Midsummer Night, V, 1).

Ceterum censeo Carthaginem esse delendam: motto intercalare con cui Catone l’antico concludeva ogni suo dire: «del resto io penso dover Cartagine esser distrutta». Ripetesi per significare l’insistenza di un’idea ad un dato fine, includendovi il concetto di ostilità e di inimicizia, onde il modo di dire: delenda Carthago.

Chablis: nome di un vino bianco di Francia, così detto dalla città di Chablis, Cabliacum dei latini. Questo vino è di rinomanza mondiale: spiritoso, fine, profumato, limpido, digestivo, eccita e non offende la intelligenza, resiste oltremare. Senonchè i mercanti rinnovano con questo vino i miracoli di Cristo che mutò l’acqua in vino alle nozze di Cana, giacchè ogni vino bianco è Chablis in Parigi, come ogni acquavite è Cognac. Eufemismi francesi: un po’ come da noi avviene pel Chianti.

Chaconne: musica e ballo dal ritmo lento e a tre tempi che serviva di finale nelle opere e ne’ balletti, ed era molto in voga nel secolo XVII.

Chacun à son tour: locuzione francese a cui equivale il nostro modo: una volta per uno, senza contare le molte locuzioni popolari, come questa: una volta corre il cane e un’altra corre la lepre.

Chacun avec sa chacune: V. Sa chacune.

Chaise longue: fr. poltrona o sedia a sdraio, voce nostra e classica; ma pochi l’usano. Stando al Fanfani, chaise longue sarebbe stata tradotta in Toscana in una orribile cislonga.

Chalet: una delle poche voci italiane, che ottennero l’onore della cittadinanza straniera è villa. Noi per compenso usiamo spesso la parola chalet, che in italiano si direbbe villetta svizzera, cioè a dire co’ tetti acuminati, sporgenti e le pareti rivestite di larice e adorne d’intagli che tale è lo stile delle casette rustiche nella Svizzera. Nell’antico francese v’è chaslet, derivato dal latino casa = capanna, onde chalet. Secondo il Littré chalet proverrebbe da un Castellettum: lat. sempre, dunque.

Challenger: ing., specie di piccola nave veliera, nota specialmente come da corsa e da diporto.

Chambertin: vino rosso di Borgogna, squisitissimo e di gran pregio: caro a Napoleone I.

Champagne: provincia della Francia, (dal latino campus = Campania) dai cui vigneti, in terreni ricchi di carbonati di calce e di silicati, si ricava il celebre vino di questo nome; bianco, spumante, e che produce un’ebrezza esilarante speciale: è perciò obbligatorio in ogni ricca imbandigione e nelle cerimonie delle inaugurazioni; almeno la moda e la consuetudine hanno imposto che così sia. Preparato con ammirabile cura in ogni particolare, diffuso in tutto il mondo, costituisce una delle ricchezze della Francia. La produzione media è valutata a sotto milioni di bottiglie. I nomi di Moët, Cliquot, Roederer, etc., fabbricatori di questo vino, hanno rinomanza mondiale. Oggi che si tende ad imitare gli inglesi e una [p. 120 modifica]certa loro ostentata astinenza e dieta acquea; nei pasti, i vini hanno perduto di pregio nelle ricche mense. Ma lo champagne, a quel che pare, non perde la gloria del suo primato.

Champoing (ciampuin): voce scozzese... diffusa presso i barbieri, da qualche anno a questa parte. (Altri scrive shampooing). E un participio sostantivato che vuol dire spugnatura. Consiste in una lavatura del capo con stropicciatura di materie saponarie ed effervescenti allo scopo di toglier la forfora, rinfrescare, profumare il capo. Anglicismo verosimilmente pervenutoci, come tanti altri, pel tramite della Francia.

Chance: parola francese di largo uso che supplisce alle seguenti italiane: fortuna, combinazione, probabilità, alea. Cfr. per l’etimologia il verbo choir (lat. cadere) = cadere.

Chanteuse: non significa in francese la nostra cantante, cioè celebre cantante (fr. cantatrice) ma quell’artista che si presenta con molta grazia a cantar canzonette sul palco scenico dei Caffè-Concerto. Uso nuovo, nome nuovo. La chanteuse non canta liricamente, ma sottolinea, adombra, colora, sorvola, e spesso con la danza e col gesto completa la parola; talvolta recita e allora più propriamente dicesi diseuse: non è diva, insomma, ma divette, spessissimo étoile. Alcune chanteuses, specie di marca parigina, godono rinomanza mondiale, e coperte le ben modellate nudità di brillanti e di strane e scarse vesti, ottengono plauso e trionfo. Voce che si alterna con l’altra neol. canzonettista.

Chapeau claque: capello a molla fatto a staio e di raso nero, che per mezzo di molle deprimesi e portasi poi sotto braccio come una stiacciata, e premendo le molle fa claque (V. questa voce) e prende la nota forma di cilindro. Cfr. Gibus. Avverti anche qui le molte voci nostre regionali per indicare il cappello a staio, cioè cìlinder a Milano, bomba in Roma e nell’Italia centrale, tubo a Napoli, canna a Venezia.

Chaperon: nome francese di antica forma di berretta caudata; in italiano vi risponde la voce classica capperone, cioè cappuccio, capperuccio, probabilmente dal verbo latino capere (prendere), quasi quod totum capiat hominem: cfr. cappa e accappatoio: altri, meno bene, da caput = capo. Usata è la voce chaperon per indicare quella dama grave d’anni o di senno, o possibilmente d’una e d’altra cosa, o parente, che accompagna e tutela una signorina in società, come vuol l’uso. Così dicesi in francese: cette dame lui sert de chaperon. Elle a pour chaperon une vieille tante, e simili. Il nuovo senso certo è derivato da quella facilità di estendere i significati che è proprio del francese: come la cappa difende, così fa la matrona. Derivato è il verbo chaperonner. A chaperon il Rigutini contrappone le parole guida, maestra, matrona regolatrice (?) e in senso men buono copertina, far da copertina. Ma avvertasi che nel linguaggio delle eleganze e degli usi mondani, come nell’ordinamento degli uffici, della politica, della milizia, etc., noi subimmo necessariamente l’influsso della Francia, e con le cose vennero i nomi.

Char-à-bancs: forma di vettura lunga e leggera, fornita di più sedili ugualmente disposti di traverso. Nel napoletano carri a due alte e grosse ruote con molti sedili sono di uso popolare e si chiamano francesemente: saraban, o sciaraban.

Charcuterie: in certo stile mondano ed elegante questa voce francese sembra avere suono meno volgare che non la equivalente nostra salumeria.

Charivari: voce francese poco nota nella sua etimologia. V. Littré e Scheler: indica propriamente il concerto di lattoni, padelle, zufoli che si fa alle nozze de’ vecchi. Dicesi (e in tale significato è d’uso tra noi) di qualunque rumore assordante e tumultuoso: musica discordante, diverbio, baccano con grida e schiamazzi.

Charlotte: questo dolce è formato di fette di pane passate prima nel burro bollente: se ne tappezza uno stampo, riempiesi di fette di mele o di albicocche, con zibibbo ed altri sapori, cuopresi con altro pane e si cuoce a fuoco lento, sopra e sotto, entro la bornice. Servesi caldo. Talora, nell’atto di portare in tavola, vi si versa dello spirito, accendesi, servesi. Allora a Milano ottiene il nome belligero [p. 121 modifica]di charlotte flambée. Charlotte = Carlotta; forse la famosa principessa palatina Carlotta di Baviera (1652-1722) che fu sposa al fratello di Luigi XIV? Le dedicarono tante cose che ci può stare anche una torta di frutta. Certo è vocabolo relativamente recente: it. in ciarlotta.

Charme: n. m. francese. Noi diciamo spesso: la tal persona ha dello charme, la tal signora è bella, ma non ha charme, e simili. Ora charme francese risponde alla nostra voce incanto e anche dal lato etimologico vi corrisponde, giacchè questa parola proviene dal latino Carmen, carme, canto con cui le antiche arti magiche (d’incantamento) solevansi accompagnare. Anche fascino rende lo stesso senso, e meglio, grazia, appunto perchè l’italiano antepone le espressioni naturali e piane alle esagerate ed enfatiche. Certo col verbo avere ricorre subito la espressione francese charme: in italiano bisogna dare altro giro alla frase, e noi avendo pronta e in mente la locuzione francese, sì l’adoperiamo. Del pari frequente è la parola charmeur per significare persona che incanta, affascina, seduce. In italiano tutta una serie di parole e di locuzioni, variabili secondo il caso, da grazioso a mago, sirena, risponde a charmeur francese.

Charmeur: V. Charme.

Charrette: letteralmente carretta (dal lat. currus, car in inglese, karren in tedesco). Ma dicendo carretta invece di charrette non si intenderebbe quel baroccino elegante, a due ruote, con ampio cuscino, da sedervisi, occorrendo, due davanti e due dietro, ma si crederebbe trattarsi del veicolo di un carrettiere. Sorte infelice delle parole italiane!

Chartreuse: (Cartusia in latino, Certosa in italiano) nome dato a diversi monasteri dei frati di questo ordine; dei quali il più celebro fu quello detto la Grande Chartreuse nel dipartimento dell’Isera, presso Grenoble, in luogo deserto e selvaggio; ed è come la casa madre di questa severa religione fondata da S. Bruno nel 1084. Ora questi frati oltre che per la edificante loro vita, erano famosi por un rosolio gratissimo sì allo stomaco che all’olfato, detto appunto chartreuse, preparato con arte ed erbe segrete. Questo per il passato. Ora i bianchi frati hanno poco a vedere con la gran fabbrica e l’ingente smercio di questo liquore cui essi diedero il nome, il quale si pronuncia alla francese. Anzi in questo anno 1903 l’antica Certosa di Francia ha visto la sua fine, e i frati furono sfrattati.

Chassé-croisé: nota formula di comando francese nel ballo figurato della quadriglia. Usasi talora, in senso traslato come esempio dimostra: «Chassé-croisé! Le due coppie d’alleati, Austria ed Italia, Russia e Francia si separano, si incrociano, si ritrovano disposte così: Austria e Russia, Italia e Francia.»

Chassepot: nome di una specie di fucile ad ago e a rapido tiro, a noi specialmente noto per la frase rimasta storica, a proposito della battaglia di Mentana (1867): Les chassepot ont fait merveille. Chassepot è il nome dell’inventore dell’arma (Antonio Alfonso Chassepot, armaiuolo francese; la cui prima esperienza venne fatta a Mentana contro petti italiani. L’inventore fu nominato cavaliere della Legion d’onore.

Châssis: termine fr., da noi usato in fotografia e vuol indicare il telaio delle lastre preparate per ricevere le imagini. Deriva da châsse, latino capsa = cassa, e dunque una variante delle parole caisse e casse. Anche il telaio degli automobili è chiamato châssis,

Chasseur: cacciatore, con tale voce francese di nuovo senso e piena di aristocratica mondanità, è chiamato il paggetto che, nei grandi alberghi, ne’ caffè, vestito con speciale divisa chiassosa (forse perchè simili all’arma de’ cacciatori, chasseurs, nome di speciale milizia francese?) funge da fattorino o galoppino.

Chassez le naturel, il revient au galop: così i francesi, e noi por forza imitativa. La gente mondana che ripete il motto francese ricordi che già Orazio disse il simigliante: Naturam expellas furca, tamen usque recurret: caccia la natura con la forca e ritornerà sempre. (Epist. lib. I, X, 24) e Cicerone: Nihil decet, invita Minerva, ut aiunt, id est adversante et repugnante natura (De off. I, 31). [p. 122 modifica]E ancora Orazio: Tu nihil invita dices facies ve Minerva. (De arte poetica, 385).

Chateau Lafitte: nome di un vigneto del comune di Pauillac (Gironda) onde traesi uno de’ migliori vini rossi di Bordò.

Chatelaine: fr., catenella in forma di ciondolo.

Chatoule: si legge talvolta questa parola così scritta che pare francese, ma francese non è. In tedesco v’è Schachtel = pare anche etimologicamente, a scatola e Schatulle da cui deve essere provenuta la parolaccia sciatulia o satulia o chatulle che si ode talora per dire una scatola elegante.

Chatterton: cemento C o composto C: miscela di tre parti — in peso — di guttaperca, una di resina ed una di catrame di Stoccolma. Fu inventato nel 1857 da Chatterton e W. Smith. Serve per fare giunture nelle parti di guttaperca dell’involucro dei cavi telegrafici, o come isolatore di condutture elettriche.

Chauffage: radice chaud = caldo, onde chauffage ogni specie di combustibile usato nel riscaldamento. Nel linguaggio familiare è così chiamata quella preparazione agli studi ed agli esami improvvisata abilmente, attaccata, come si dice, con lo sputo. Voce francese usata anche da noi. Es. «Perchè certo le classi moderne, offrendo un insegnamento più alla portata degli spiriti mediocri, danno anche un tirocinio più facile e una preparazione meno intensa; onde, col solito chauffage, coll’abborracciatura di qualche mesetto di latino, riescirà facile mettersi in lizza per le professioni, per l’avvocatura, per la medicina, ecc., anche a chi non avrá frequentato le scuole classiche.»

Chauffeur e chauffard: (la seconda voce è, nel gergo, peggiorativa della prima come velocipedista e velocipedastro). Chauffeur è colui che tien vivo il fuoco di una macchina, dunque fochista; ma chi oserebbe chiamare il super-elegante e grottesco conduttore di un automobile, giacchè tale è il senso nuovo della parola chauffeur, col nome volgarissimo di fochista? (NB. L’industria degli automobili è stata specialmente francese; ciò può spiegare il perchè dell’uso di tale parola).

Chaussée: fr. via contrada, dal lat. cum e strata, e così chaussée da un calciata latino, quasi via calcata (dal basso latino calcia = tallone). Lo Scheler propone da calx = calce, cioè lastricata.

Chauvinisme: tradotto spesso letteralmente in sciovinismo; ed indica l’amore, mosso più dal sentimento e dal fanatismo che dalla ragione, per una data forma politica o sociale: specialmente intendesi per tutto ciò che è esaltazione della patria francese. La parola nel senso originario, rimonta al 1815 ed indicò propriamente il fanatismo napoleonico di cui erano presi molti antichi granatieri del disciolto esercito imperiale della Loira: fra i quali ve ne fu uno (altri scrive molti) di nome Chauvin la cui ammirazione per tutto ciò che ricordava il Gran Corso, non avea confine. Lo Scribe approfittò del tipo e ne fece una commedia Le soldat Laboreur, il cui principale personaggio si chiama Chauvin. Anche la matita vivace di Niccola Charlet, parigino (1792-1846) e buon disegnatore di scene militari, valse a rendere popolare codesto tipo che così drittamente risponde ai sensi orgogliosi e tradizionalmente belligeri della Francia.

Chef: il capo. Il capocuoco di una cucina d’albergo (chef de cuisine) è senz’altro onorato di questo breve imperioso nome francese; che, come tutti i monosillabi stranieri di aspro suono, sembra esercitare una specie di incanto su le nostre orecchie in confronto delle piane, equilibrate, armoniche, compiute parole di nostra lingua.

Chellerina: V. Kellnerinn.

Chelotomia o erniotomia: termine medico, κήλη = ernia e τομή = taglio: operazione dell’ernia strozzata.

Chemin de fer: nome francese dato volgarmente al macao o baccarat quando chi tien banco passa il mazzo ad altri secondo determinate norme.

Chemisette: = camicetta, cioè quel corpetto o giubbetto bianco o di colore, con molti adornamenti o ricercatamente semplice, talora con colletto e polsini maschili, che le donne portano per disimpegno elegante con gli abiti che non hanno [p. 123 modifica]vita. Vero è che nel linguaggio della moda prevale la parola francese.

Chenil club: alla francese o Kennel club all’inglese chiamano in Italia una Società per l’allevamento ed incremento della razza canina. Forze della imitazione, che ogni commento sarebbe sciupato!

Chenille: specie di passamanteria vellutata e di seta: se ne fanno scialletti e nastri. È voce francese tradotta in ciniglia che è voce dell’uso e registrata. Il Littré la fa derivare da canìcula = cagnetta, quasi pelame canino.

Chèque: parola d’importazione inglese: check, dal verbo to check = controllare, verificare, che i francesi mutarono in chèque e noi accogliemmo così. Nel linguaggio commerciale lo chèque è un buono a vista tolto da un libro a matrice, dato dal debitore al creditore, il quale lo può riscuotere dal banco o dalle succursali presso cui il debitore è accreditato, e con sua firma girarlo ad altri. L’impiego di questa moneta fiduciaria fra privati è una invenzione dei banchi italiani delle città marittime nostre, così gloriose nell’evo medio, e serviva, come lo chèque a facilitare i pagamenti e ad evitare il trasporto di grosse somme. In buon italiano lo chèque dicesi assegno bancario, ma questa parola parmi aver piuttosto sua dimora nel Codice di Commercio Italiano che nell’uso degli italiani. Notiamo ancora come all’estero sia assai diffuso il costume di pagare mediante assegni, non solo fra commercianti, ma fra privati.

Cheviot: lana d’agnello di Scozia: stoffa intossuta di questa lana.

Chevreau = capretto. Eppure guanti di chevreau, scarpe di chevreau dicesi in modo elegante. È evidente: la voce francese ha forza di accrescere presso di noi il valore commerciale della merce!

Chez soi, chez nous, etc. il primo senso etimologico che si ritrova nella antica scrittura francese à ches, en chiés = a casa, ha dato luogo al secondo senso avverbiale della parola, corrispondente al latino apud = presso, apud maiores nostros = chex nos ancêtres. Nelle forme dialettali la voce casa è rimasta viva col valore press’a poco da traslato francese. Es. A casa mia anche a casina mia si fa così! cioè io voglio, io faccio così. Don Abbondio dolendosi della sublime fretta del cardinale Borromeo che lo mandava al castello dell’Innominato a salvare Lucia, dice: a casa mia si chiama precipitazione. Manzoni, Promessi Sposi, cap. XXIII.

Chiamar pane il pane e — altri aggiunge — vino il vino: motto nostro per dire chiamar le cose col loro nome senza riguardi nè sottintesi. Mettere i puntini sugli i: dicesi familiarmente quando si spiega una cosa in modo tale da vincere ogni riguardo, o circospezione, o sottinteso, specie supponendo che la persona a cui si parla possa trarre profitto dalla nostra delicata prudenza.

Chiamare: per chiedere, domandare, Es.: chiama il conto; ho chiamato una birra, è inelegante idiotismo lombardo esteso ad altre regioni. Cfr. l’idiotismo toscano domandare per chiamare.

Chianti: è nome non di un vitigno, come molti credono, ma di una ristretta contrada di Toscana che ha per centro Radda e si estende a settentrione fin presso Greve e a mezzodì fin presso Siena. Sotto questo nome vanno abusivamente in commercio i vini toscani.

Chic: parola dell’uso familiare, comunissima anche da noi e dirò popolare per indicare eleganza, finezza, congiunte ad originalità: «un capello chic, quest’abito ha dello chic, oh, che chic! mia moglie non ha chic.» Il Littré a questa parola crede trovare l’etimologia nel tedesco Schick = attitudine, maniera. Forse, secondo altri, da chicane, che vuol dire i puntigli, i cavilli, le sottigliezze di una disputa. Notisi ancora come l’Accademia francese nell’aprile del 1902 registrò, accettandola, questa voce arbitraria, la quale, forse, quando sarà registrata nel gran dizionario francese avrá perduto parte del suo vivo senso.

Chiave (a): si dicono quei romanzi o drammi, etc., ove si adombra una storia o fatto accaduto a personaggi vissuti o viventi.

Chicane: cavillo, processo capzioso e puntiglioso. Da noi la gente mondana usa spesso questa parola francese per [p. 124 modifica]indicare un puntiglio, un pettegolezzo, una disputa minuziosa ed irosa su di un argomento futile.

Chicanes: nel linguaggio dei meccanici diconsi certi speciali diaframmi che non chiudono del tutto, e sono destinati a produrre moti speciali in una corrente liquida o gassosa.

Chichinger: V. Alckekengi.

Chi ci libererà dai Greci e dai Romani?: V. Qui me délivrera des Grecs et des Romains?

Chiesuola: V. Cenacolo.

Chifel: panino di lievito, allungato in punta e foggiato a mezza luna. Voce tedesca, usata specialmente in Austria: Kipfel = punta, cima, che tale è la forma di detto pane. Come introdotto in Italia? I puristi a questa voce fanno viso più benigno che ad altre parole straniere. Si sa: i barbarismi usati in Firenze godono di speciale distinzione. Chifel e chifelle sono voci registrate dal Petrocchi.

Chiffon: lett. in francese cencio, straccio, straccetto; poi, come definisce il Littré, «tutte quelle gale che servono al vestire muliebre.»

Chiffonnière: mobile elegante, per lo più alto, a cassettini, per uso di riporvi veli, fronzoli, gale da signora. V. la parola precedente. La voce nostra è stipo. In Lombardia chiamiamo, non vezzosamente, ciffone (ciffòn e sciffon) il comodino tavolino da notte.

Chignon: come vocabolo è una semplice varietà di chainon, da chaîne = catena, cioè l’estremità o l’anello maggiore della colonna o catena vertebrale. Quindi indicò i capelli dell’occipite ripiegati sul cocuzzolo, nodo. Al tempo di trent’anni fa, quando costumavano certe piramidali costruzioni su le teste delle signore, il fr. chignon e la sua versione cignone (elegante, vero?) erano frequentissime voci.

Chilogrammetro: (meccanica): unità pratica di lavoro, ed è il lavoro occorrente per sollevare il peso di un chilogrammo all’altezza di un metro.

Chilometraggio: fr. kilométrage. V. suffisso aggio. In buon italiano percorso chilometrico.

Chimismo: neol. dal fr. chimisme: il complesso di tutti i fenomeni naturali che hanno la loro spiegazione nei cangiamenti di composizione secondo le leggi della chimica.

Chimista per chimico è voce abusiva ed erronea, foggiata a simiglianza di chimiste francese.

Chincaglieria: indica in commercio uno special genere di merci varie e di poco valore che non sarebbero intese con le parole minuterie, bagattelle, galanterie, cianfrusaglie, perciò la parola è da tempo necessaria, tanto che il Fanfani la nota, ma non può ripudiarla. Certo è parola di provenienza francese: quincaillerie e si introdusse nella favella nostra verso la fine del ’600.

Chiné: part. del verbo chiner (dalla parola Chine = Cina, cioè fare alla maniera dei cinesi) e dicesi di certe stoffe, come i taffetà, i cui fili sono variamente coloriti: in italiano, screziato.

Chinoa: (Chenopodium Quinoa) specie di Chenopodio coltivato fin da antico nel Perù. I semi di questa pianta vengono mangiati come il riso nel Cile e nel Perù.

Chinoiserie: voce francese che indica il complesso di oggetti, mobili o bagattelle, venute dalla Cina o secondo quello stile lavorate, di moda ne’ salotti. Cr. Japonaiserie.

Chiodo isterico: (fr. clou hystérique) dolore vivo, fisso in un dato punto che gli isterici paragonano alla sensazione di un chiodo infitto in detto punto.

Chiosco: il Littré spiega questo vocabolo kiosque (dal turco kieusik) con la gentile parola italiana belvedere. Belvedere si chiama di fatto un piccolo e adorno edificio fabbricato su di una altura per riposo e diletto di bel vedere il paesaggio circostante; ma non mi pare gran che dell’uso oggidì se non come voce propria di qualche amena posizione elevata. Chiosco è nome in qualche luogo usato per indicare l’edicola (diminutivo del latino aedes = casa) de’ giornali, ma più spesso per certi edifici di facile e bizzarra struttura nei giardini, nelle fiere, nelle esposizioni. La riprova il Fanfani, la registra la maggior parte dei dizionari. [p. 125 modifica] Chiromanzia: parola formata di due voci greche che significano l’arte del predire la ventura derivandola dalle rughe e dall’aspetto esteriore della palma della mano: superstizione antichissima, in onore anche oggidì. Il Gelli, op. cit., ne tratta ampiamente.

Chiù: voce imitativa dell’assiuolo, cara al buon poeta G. Pascoli che molto studiò le voci e la vita di queste fra «le più liete creature del mondo» (Leopardi), da non confondersi con il grido del cuculo, cucu.

Chiudere un buco per aprirne un altro: locuzione nostra che vuol dire pagare un debito facendone un altro, e anche si dice, parmi in Toscana, coprire un altare e scoprirne un altro.

Choc traumatico o operatorio: stato comatoso in seguito ai grandi traumatismi, contrassegnato da stupore senza perdita completa della coscienza e da un notevole abbassamento della temperatura.

Cholera o Colera morbus: o asiatico, voce di dubbia etimologia: male epidemico dovuto ad uno speciale bacterio patogeno detto dalla sua forma bacillo virgola. Questa malattia è caratterizzata da crampi e da un flusso gastro-intestinale con la perdita dell’acqua di tutti i tessuti; onde un turbamento di tutte le funzioni organiche. Cholera nostras, colera nostrano, malattia sporadica, non epidemica, che appare talora sul finir della state. Colerina, forma attenuata di colera che si osserva talora nelle epidemie coleriche.

Chope: voce francese... e italiana per indicare il bicchiere di forma lunga e conica in cui bevesi la birra: capacità circa di mezzo litro. L’etimologia della parola è tedesca. Più recente di chope è la parola bock.

Chou: (in latino caulis, italiano cavolo) questa parola francese nel linguaggio della moda vale per traslato ad indicare una specie di ciuffo, fatto di nastri, gale o trine, che rende simiglianza della foggia del cavolo. Ma se la crestaia dicesse alla dama che sul suo cappello sta bene un cavolo e non un chou, farebbe fuggire inorridita l’avventrice.

Choucroute: è la parola franceso, corrispondente alla tedesca sauerkraut, da sauer = acido e kraut: = cavoli (crauti), cioè i cavoli cappuccio, tagliati e messi in salamoia e spediti in lattoni o barili. La lingua francese accogliendo la parola, tedesca, la ha corrotta in modo conforme all’indole propria. Il signor Darchini nel citato suo dizionario francese italiano (Vallardi, 1903) traduce alla brava per salcràutte. Ma non è il sig. Darchini che traduca arbitrariamente; è il Petrocchi che registra così questa voce la quale, come appare, deve aver ottenuto cittadinanza fiorentina.

Christmas-day: la gente mondana sostituisce talvolta alla voce antonomastica e bellissima Natale [dies natalis Christi] la voce inglese anzi detta, e la ragiono più valida può trovarsi soltanto nella credenza che fra due voci di uguale significato, l’una italiana l’altra straniera, questa abbia in sè qualcosa di gentile e di fine che l’altra non ha.

Christofle: è una lega di rame, zinco e nichelio la quale assomiglia all’argento e serve per fabbricare varie specie di utensili domestici. Il nome è dovuto all’industriale francese, Carlo Christofle, (1805-1863). In italiano vi corrisponde la parola argentana o argentano; ma essa non è molto dell’uso nè sempre è registrata.

Ci: è particella pronominale = noi, a noi. Usata in vece di a lui, a lei, a loro, se tollerabile nel linguaggio delle persone indotte, è disdicevole anche ad ogni familiare scrittura. Pei grammatici e pei puristi è giustamente ritenuta errore; non solo, ma nelle scritture letterarie è spontaneamente forma sfuggita come inelegante e sciatta anche dai più liberi scrittori, che pur abbiano alcun senso del bello. Questo idiotismo è tipicamente lombardo, ma non perciò sconosciuto ad altre regioni d’Italia, specie in cambio di a loro o loro, nel qual caso il condannato ci come «la più sguaiata, la più esosa, la più antipatica forma» (Petrocchi) potrebbe trovare qualche difensore. Ecco un es. del Manzoni, P. S., cap. ultimo: «i guai vengono spesso perchè ci si è dato cagione». Si usa ci per gli, le, loro quando c’è a può sottintendersi con lui, con lei, con [p. 126 modifica]loro. Es. con lei non ci parlo. Si potrebbe tuttavia obbiettare che in tal caso questo ci è un pleonasmo. Vero è che la forma letteraria loro, a loro è lunga e greve e nell’uso familiare vi supplisce il ci e, meglio, il gli, che è d’uso toscano, V. Gli.

Ci e chi, gi e ghi: suffissi dei plurali dei nomi della seconda declinazione in co e go al singolare. Ogni grammatica dà sue norme per la formazione di questi plurali: il vero è che norme sicurissime mancano; e talora sì la forma gutturale dolce come l’altra forte hanno giusta ragione di essere. E non solo nel popolo v’è incertezza nella formazione di questi plurali, come in selvatici e salvatichi, greci e grechi, porci e porchi, ma gli stessi autori classici coi loro esempi ci danno documento di tale incertezza. In questo lessico sono, volta a volta, notati quei nomi dove l’uso, mal sicuro, ha bisogno del conforto de’ buoni esempi letterari. Il sig. F. Pastonchi di tale questione fece argomento per uno scritto in giornale politico (Corriere della Sera, 4 gennaio 1903) il che per la singolarità del caso, cioè darsi in Italia importanza ad una questione grammaticale, torna ad onore e di chi scrisse e del giornale. Ma mentre trovo ragionevole la conclusione: «essere dovere accettare dall’uso quei plurali già foggiati per non intralciar di più dubbi il nostro linguaggio», non così è buona l’altra conclusione nei casi dubbi: «il nostro orecchio sarà il nostro unico regolatore, nella mancanza d’una legge fissa. La sola armonia saprà essere l’unico e indefinibile limite alla nostra libertà.» Cotesto è, per lo meno, un eccessivo attestato di fiducia nel senso estetico e fonico del publico.

Cia e gia: desinenze non accentate dei nomi come provincia, guancia, quercia, fascia, pioggia, focaccia, socia, etc. al plurale si mutano in ce e in cie, in ge e gie. Si mutano in ce e in ge, cioè perdono la i, quando la c o la g sono precedute da consonante onde spiagge, lance, fasce, guance, cacce, pance, sagge, bocce: conservano invece la i, quando sono precedute da vocale, onde socie, règie, fallacie, acacie, audacie, camicie, egregie, etc. Però non solo non mancano eccezioni come provincia che fa provincie, ma nell’uso si scrive talora pioggie, pancie quercie, lancie, focaccie, benchè la c e la g siano precedute da consonante.

Ciaffo: cencio cosa di poco valore, nel dialetto marchigiano.

Ciàna: voce prettamente dialettale fiorentina, che i dizionari registrano in omaggio a quel dialetto: dicesi di donna volgare e pettegola: risponde press’a poco al milanese zabetta.

Cianfrinare: una delle non poche voci deformi, provenutaci da lingue straniere e, per fortuna, limitate a speciali linguaggi: questa, all’industria meccanica de’ calderai, e significa comprimere, accecare i lembi delle lamiere de’ serbatoi o caldaie affinchè vi sia una buona tenuta, cioè che i liquidi contenuti non trovino alcun passaggio o fuga. Fr. chanfreiner. I meccanici usano anche le voci cianfrinatura = ricalzamento degli orli delle lamiere e delle teste dei chiodi, fatta col cianfrino = bulino.

Cianòsi: termine medico, derivato dal greco kîanos = azzurro oscuro, ed indica quel colore pavonazzo, violaceo, che assume la pelle in certi stati gravi di alcune malattie, e proviene da intossicamento del sangue.

Ciao: per addio è voce dell’Alta Italia (piemontese cerèa) e pur nota e usata anche in altre regioni. Pare corrotta da schiavo. Ciavo suo = servitor suo, ciavo obbligato (Cherubini, voc. milanese) Ciao è anche voce usata in Lombardia come esclamazione di chi si rassegna a cosa fatta e che pur dispiaccia.

Ciaramella: nel dialetto napoletano indica la piva con cui rustici suonatori in certi loro antichi vestiti vanno per le case sul mezzodì suonando la novena dell’Immacolata e del Natale. È l’antica voce cennamella:

          nè già con sì diversa cennamella
          cavalier vidi mover nè pedoni,
          né nave a segno di terra o di stella

Dante, Inf. XXII

cennamella diminutivo e corruzione di cálamus = canna.

Cicca o cica: mozzicone, avanzo di [p. 127 modifica]

sigaro, pur voce toscana: nel dialetto lombardo e altrove ciccare (ciccà) masticare tabacco; e forse per estensione (che colui il quale cicca, mastica) rodersi per dispetto ed invidia, ma dicesi familiarmente, quasi puerilmente, e di cose da poco.

Cicchetto: voce volgare del dialetto lombardo, cicchett, passata poi nell’uso per indicare volgarmente un bicchierino, specie di liquore dozzinale come grappa, mistrà e simili: der. cicchettare.

Cicero pro domo sua: Cicerone per la sua casa: orazione da Cicerone tenuta al collegio dei Pontefici per richiedere l’area e il danaro col quale ricostruire una casa, incendiata durante l’esigilo. Dicesi di chiunque direttamente od indirettamente perora in causa propria.

Ciclismo: parola derivata come ciclista dal greco kyklos = circolo. Tutto ciò che si riferisce agli esercizi con la bicicletta ha nome di ciclismo (fr. cyclisme).

Ciclista: parola non solo usata ma necessaria e significa velocipedista. Nè il Petrocchi nè il Melzi la notano. Probabilmente è voce d’importazione francese: cycliste.

Ciclone: per turbine o tifone è da riprendersi come vogliono i puristi? Fosse anche tale (cfr. cyclone, francese), oramai la voce è entrata nell’uso e registrata per indicare uno speciale turbine amplissimo, roteatorio, vorticoso (greco kiklos = cerchio), e terribile con forte depressione barometrica al centro verso cui i venti spirano. Capisco, turbine = ciclone e Dante scrisse:

come la rena quando a turbo spira.

Vero è che le parole non tanto valgono secondo il loro intrinseco valore, quanto secondo il valore dato loro dall’uso.


Cid Campeador: sopranome dell’eroe guerriero nazionale della Spagna, come Orlando fu della Francia: argomento di canti popolari (il Poema del Cid, sec. XII; i Romanzi del Cid, sec. XVI). Il nome fu Rodrigo Diaz de Bivar, nato a Burgos, circa il 1040. Cid proviene dall’arabo o significa Signore. Qui il nomo storico è registrato perchè talora occorro nell’uso come voce antonomastica.

Ciflis: in italiano è far cecca o cilecca, in francese rater. Es. son fusil a raté. Da dove può esser derivata questa parola ciflis? Forse come suono onomatopeico delle polvere che brucia e non produce lo scoppio dell’arma? Certo essa è voce del gergo, usata in alcune regioni nel giuoco del bigliardo quando non si coglie la palla e in altre operazioni dell’uomo, quando non si riesce nell’intento.

Cif.: sigla commerciale inglese, usata anche presso di noi specialmente nel commercio marittimo e significa prezzo di nolo e di assicurazione (cost insurance freight).

Cifosi: termine medico: curvatura anormale della spina dorsale, all’indietro, cioè di cui la convessità è posteriore: dal gr. κύφωσις = gibbosità.

Cimba: (lat. cymba, gr. kimbe) barchetta, navicella. Una delle tante voci antiquate, che risorgono ogni tanto per breve tempo e per vezzo di qualche scrittore.

          Perpetuo quindi un gemito vagava
          su la tristezza di Padusa immota
          ne le fosche acque. I liguri selvaggi
          spingean le cimbe.

G. Carducci, Alla città di Ferrara.


Cimbro: nome aggiunto ad alcuni dialetti tedeschi, parlati nelle provincie di Vicenza, Belluno, Udine (sette comuni d’Asiago) e così detti perchè, secondo la opinione popolare, quelle famiglie (poco più del migliaio) deriverebbero da quei Cimbri che furono vinti da Mario.

Ciminiera: brutta parola invece di camino, ma usata parlandosi dei camini delle navi a vapore: e pur usata dai costruttori di macchine per indicare in ispecie i camini fatti di lamiera. Probabilmente è la parola francese cheminée, fatta italiana.

Cinedo: V. Appendice.

Cinegètica: neologismo che significa l’arte del bracchiere o del cacciatore ed equivale a caccia. Cinegètico, agg., detto di cosa attinente alla caccia. La parola è greca e antichissima ''kineghetiké (da kin = cane), ma a noi probabilmente provenne por effetto della lingua francese: cynégétique.

Cinematografo: V. Kinetoscopio.

Cinesiterapia o Kinesiterapìa (fr. cìnésithérapie): voce medica dal gr. kinesis = moto e therapeia = cura sotto questo [p. 128 modifica]nome si designano tutti i modi di cura che agiscono sull’organismo mercè il movimento, sia esso attivo o passivo come elettricità, massaggio, ginnastica, etc.

Cinètico: (neol. dal verbo greco kinèo = muovere) aggettivo dato a tutte le considerazioni e gli studi che hanno per base e per iscopo il moto: Es. energia cinetica, cioè l’energia che è raccolta in una massa per effetto del suo moto.

Ciniglia: V. chenille.

Cinque-terre: nomo di vino ligure (Sarzana) spiritoso, color giallo dorato, aromatico, di gradita dolcezza: così detto dalla località.

Cinismo, cinico, cinicamente: cinico nel senso filosofico è voce antichissima e classica e fu detta di quei filosofi greci che seguirono Antistene e riponevano il bene e la virtù nella indipendenza dalle cose esteriori, quindi nel dispregio delle convenienze e dei riguardi umani, onde il nome di cagneschi = cinici dato a tali filosofi. I francesi alla voce cynique diedero l’estensione di inverecondo, impudente, sfrontato, sguaiato, e in tale senso noi usiamo spesso la voce cinico e i suoi derivati. Per queste ragioni spiace ai puristi (Tommaseo, Fanfani, etc). Trova un difensore nel Rigutini che vi contrappone la voce stoico, usata spesso per impassibile, ed accolta come buona e registrata. Ma senza dilungarmi a dimostrare come il confronto con stoico sia più specioso che reale, io dico che si può difendere ed usare ogni parola: certo è che cinismo, usato indifferentemente per impudenza, etc. è francesismo, e, come molti barbarismi non necessari, viene a togliere uso e vivezza ad altre parole italiane.

Cinto di castitá: barbaro e ridicolo istrumento imposto nell’evo medio dai mariti alle mogli per impedire che nella loro assenza altri seminasse nel campo altrui.

Ciocca: una delle tantissime voci dialettali per indicare la sbornia: questa è parola lombarda e assai volgare e plebea, onde ciòcch = ubriaco, che dicesi anche in Romagna.

Ciocciaro: nome dato ai villani della campagna romana (Velletri, Fresinone) e così detti dalle ciocce, calzare fatto di semplice dado di cuoio, ripiegato sul piede e fisso alla gamba con corregge.

Ciompo: voce storica che vale scardassatore di lana, plebeo in Firenze (1340 ed oltre): dicesi talora per da poco, sciatto, vile ed è voce registrata, benchè oggi parmi rara: più viva forse nella locuzione tumulto de’ Ciompi, riferita con senso di spregio e traslato a movimenti e tumulti del tempo presente. Ciompo, dal fr. compar, nella frase compar allois à boiser; o dal ted. zumft o zumpft = corporazione di arti e mestieri, regola?

Ciosciammocca (Don Felice): nome di maschera napoletana, moderna, figlia dei tempi. Pulcinella, Arlecchino, Brighella, etc., sono figli di plebe: Ciosciammocca è borghese: è un galantuomo (V. questa voce), cioè un signore, ha studiato, ha tutti i suoi diritti, mette becco da per tutto: ma è invariabilmente grullo, come pettegolo, vano, presuntuoso. Edoardo Scarpetta incarnò stupendamente questo tipo vero e napoletano. La voce ha acquistato valore estensivo e perciò è notata in questo lessico.

Circolare: per istruzione è parola riprovata dai puristi, non in sè (cfr. pastorale, patente, credenziale, cui si sottintende la parola lettera, etc.) ma perchè di provenienza francese: circulaire = lettre adressée á plusieurs personnes pour le même sujet. Il Viani ed il Rigutini la difendono, e noi senza ripetere le ragioni degli uni e degli altri, osserveremo che l’uso ha sancito tale vocabolo e che infine si tratta di quei gallicismi che, data la grandissima affinità delle due lingue, non è agevole determinare: facile invece cadere nelle sottigliezze e nelle pedanterie. Consimili osservazioni si possone fare quanto al verbo circolare. Il danaro circola, una petizione circola, la gente deve circolare, etc. Il modo è comune e comodo: la provenienza, evidentemente, francese, circuler: risponde infatti alla felice disposizione di questa lingua di adattare un solo vocabolo a molti sensi. Il Petrocchi accetta tale neologismo senza alcuna nota.

Circonvoluzioni cerebrali: sono rilievi digitiformi, serpeggianti, che presenta la [p. 129 modifica]superficio del cervello. L’antropologia insegna, che quanto più elevata è la razza, tanto più perfetta e più ricca di circonvoluzioni è la superficie cerebrale.

Circostanza: (lat. circum stantia = cose che stanno attorno), per ricorrenza, occasione, congiuntura, condizione, tempo, avvenimento è voce riprovata dai puristi come francesismo: circostance = certaine particularité qui accompagne un fait; conjoncture, situation des choses. Es. les circonstances sont graves. V. ciò che è detto alla voce circolare. Il Rigutini propende a sostenere tale neologismo.

Circostanziare: fr. circonstancier = exposer, préciser avee ses circonstances. Es. circonstancier un fait. Così in francese, e così noi. Il verbo è registrato dal Petrocchi = dire, riferire minutamente un fatto. Qui alcuno può dire: se accettate la voce circostanza, perchè ricusare o trovare inelegante circostanziare e «quasi mostruoso» (Rigutini) circostanziatamente? La obbiezione sarebbe logica se non si pensasse che vi sono delle ragioni di armonia e di suono che in una favella artistica come è l’italiana, hanno più valore che gli indotti non credano.

Circostanziatamente: V. circostanziare.

Ci rivedremo a Filippi: così il fantasma in pallida figura umana dice a Bruto minore «sono, o Bruto, il tuo cattivo genio. Mi rivedrai a Filippi!» E a Filippi Bruto fu vinto, come è noto. V. Plutarco, Vita di G. Cesare, 69. § Ripetesi il motto per minaccia e talora per celia.

Cirrosi: da χιῤῥὸς rosso; indica una iperplasia di alcuni organi, specie del fegato, avente per carattere la proliferazione del tessuto congiuntivo secondo certi caratteri anatomici e fisiologici; onde risulta alterata la funzione dell’organo.

Cista: nel giuoco del Macao dicesi quando le due carte, sommate, fanno dieci, cioè zero. Vedi Macao.

Cisti: gr. κύστις = vescica: in medicina significa una produzione patologica formata da una cavità che non comunica con l’esterno e contiene una sostanza liquida, molle o raramente solida; e le cui pareti non hanno rapporti vascolari col contenuto. | Cisti idatica: cisti più o meno voluminosa che di solito si sviluppa nel fegato e forma un idàtide, che è lo stato larvale o vesciculare dell’echinococco, quale si trova nell’uomo. | Cisti sebacea: lat. sebum = sego, grasso: tumore formato da un sacco sviluppatosi a spesa di una glandola sebacea e riempita di cellule epidermiche e di materia grassa.

Cisticèrco: dal gr. cistis = vescica e kerkos = coda: nome dato alle tenie (verme solitario, taenia solium) durante lo stadio della loro evoluzione che succede allo stadio di larva. Questo periodo è caratterizzato da una vescicula caudale che si sviluppa poi nel corpo dell’uomo.

Citazione: l’atto giudiziario che l’usciere, a richiesta di una parte (attore), notifica all’altra parte (convenuto) per iniziare una lite. I romani la chiamavano libello.

City: si usa questa parola inglese (lat. civitas = città) per indicare il principale quartiere di Londra, sede del Municipio (Mansion House) e del Podestà (Lord Major): esso ha speciali, antichi privilegi, cosa propria di quella nazione in cui la tradizione ed il nuovo felicemente si accordano ed evolvono armonicamente. Quivi sono i grandi uffici ove converge e pulsa la vita commerciale del mondo.

Ciuccio: voce napoletana che vuol dire asino, diminutivo ciucciariello: ciuco.

Ciuffolotto: (Pyrrhula europaea), uccello affino al frosone, di forma tozza, col becco nero, corto e grosso e le piume inferiormente di color rosso carmino. È detto anche Monachino.

Ciurlare nel manico: è locuzione familiare toscana, passata alle altre regioni, per indicare con speciale significato persona su cui non si può far assegnamento, che manca di parola, etc. ciurlare vale tentennare, e la locuzione paro tolta dagli arnesi che bene non si possono usare, avendo il manico non saldo.

Civanzo: usasi questa parola talvolta per indicare gli utili provenienti da un bilancio; talvolta per indicare i residui dogli utili non distribuiti e senza destinazione. Più usata è la parola avanzo.

Clvet: parola francese che vuol dire intingolo, cibreo, ed è usata da noi talora [p. 130 modifica]nella locuzione: «per fare un civet di lepre ci vuol la lepre.» Civet è da cive civette, latino caepa = cipolla, la quale ha gran parte in simili opere culinarie.

Civilizzare e civilizzazione: ripetono la loro origine dal francese civiliser e civilisation. In italiano si dirà incivilire e incivilimento. Ma nell’uso le due prime parole prevalgono tanto che sono registrate anche in alcuni dizionari. Il Petrocchi, per scrupolo di coscienza, vi aggiunge «più comunemente incivilire» ed è proprio il contrario! Ironia del decoro! La Crusca registra il verbo e l’aggettivo.

Clairière: (da clair, fr. chiaro, latino clarus) spazio spoglio di alberi, radura, pratello in una foresta. Nel linguaggio figurato sta per oasi, passo, luogo dove si tira il fiato, si respira.

Claque: parola francese di molto uso che significa soprascarpa, ed ha l’ufficio di riparare la scarpa dall’acqua e il piede dall’umidità. Vedi galoche. L’etimologia è da claquer, verbo onomatopeico, battere, far rumore.

Claque sost. fem. e Claqueur: vocaboli del linguaggio teatrale assai noti, ed indicano quelle camorre che applaudono per convenuto patto e compenso o fischiano se non sono pagate per applaudire: gioia e martirio di maestri di musica e di cantanti. Costume e voce di origine francese; per l’etimologia V. il precedente vocabolo.

Clan: parola dell’antica lingua gallica o celtica, parlata un tempo nella Gallia e nella Britannia, di cui oggi restano vestigia in Iscozia, nel paese detto appunto di Galles, e nella Bassa Bretagna. Clan = figli, famiglia, cioè tribù, formata da un certo numero di famiglie, rette da costumi determinati e aventi un capo ereditario in una delle famiglie più cospicue. Nella Scozia tutti i componenti di una tribù premettevano al nome proprio il prefisso Mac = figlio, onde Mac-Donald, Mac-Kenzie, etc. La modernità penetrando tra i montanari scozzesi (Highlanders) e specialmente l’opera del governo inglese dopo le ribellioni di que’ popoli, durate dal 1715 al 1745, hanno tolto ogni valore a codesta primitiva istituzione sociale. V. 'Highlanders'.

Claudite jam rivos, pueri, sat prata liberunt: lett. «chiudete i rivi, o giovani, i prati bevvero assai.» Dicesi in senso figurato per significare essersi di alcuna questione trattato a bastanza, esser tempo di finirla. (Vergilio, Egloga III, 75).

Claustrofobia: una delle tante fobie studiate dai medici e dagli alienisti. Con questa parola (da claustrum = luogo chiuso, cfr. chiostro) si vuole indicare quell’angoscia che certi neuropatici provano nel trovarsi in luoghi chiusi: in treno, ad esempio.

Cleptòmane: V. Cleptomanìa.

Cleptomania: neologismo scientifico (dal gr. clepto = rubo e mania). Indica una morbosa tendenza che taluni uomini e donne, anche ricchi, hanno di sottrarre oggetti che specialmente colpiscano la loro avidità e desiderio. Intendesi più come malattia che come colpa. Notasi infatti in molti casi di pazzia. Derivato cleptòmane.

Clerici vagantes: lat., appellativo dato ai Goliardi. V. Questa voce.

Cliché: termine del linguaggio degli stampatori con il quale si designa solitamente una zincotipia, montata su legno: il disegno vi è in lievissimo rilievo e si stampa insieme ai caratteri. La calcografia invece ha il disegno incavato nella lastra, stampasi a parte, più lentamente e lasciando più perfetta imagine e tipica impronta di sè. Cliché è voce fr., da clicher = a cliquer. Piú generalmente per cliché intendesi ogni determinata impronta di stampa, come la stereotipia. Con questa parola francese è pur chiamata la prova negativa nell’arte fotografica. Dicesi pure cliché in senso figurato, es. «è sempre lo stesso cliché» per significare la stessa cosa modellata su lo stesso stampo, il motivo obbligato che si ripete a termine fisso. Voce di grande uso e necessaria, quindi vana fatica sostituirvi parola italiana.

Climax: dal greco klimax = scala. È figura retorica che in italiano chiamasi gradazione. La parola è usata anche nel linguaggio musicale.

Clinico: greco kline = letto, aggiunto dell’arte medica quale suole impartirsi al letto dell’infermo. Onde Clinica l’ospitale [p. 131 modifica]annesso alle facoltà mediche ove è impartito l’insegnamento presso il letto dei ricoverati. Usasi sostantivamente per indicare un medico perito nell’insegnare e nel curare praticamente.

Clìpeo: latinismo:

          qual nome di vittorioso
          capitano sul clipeo scrivendo?

(Carducci, Alla Vittoria, Odi Barbare). Clipeo: latino clipeus e clipeum = scudo rotondo di metallo, proprio de’ soldati romani.

Clipper: parola inglese, significa una nave a vela di forte tonnellaggio, buona caminatrice, usata ne’ lunghi viaggi. Questa parola c’è anche in francese. Clipper dal verbo to clip = tagliare, dunque uguale a cutter = nave che taglia, fende le acque.

Cloròsi: gr. cloròs = verde, ter. med., sinonimo di anemia. Malattia caratterizzata dalla mancanza dei globuli rossi e, come sintomo, dal colore giallo verdolino della pelle e dal pallore delle mucose. Si nota più spesso nelle donne al tempo della pubertà: morbo virgineo.

Clou = chiodo: neologismo francese per indicare il colmo, il bello di qualche cosa: così il clou dell’Esposizione, il clou dello spettacolo, etc. Anche in questo caso il tradurre motto a motto è impresa oziosa: vi corrispondono molti e vari modi nostrani da usarsi secondo i vari significati. Come molte voci del gergo francese, è parola di vita labile ed incerta.

Clown: voce inglese, pronunciasi claon e vuol dire rustico, rozzo, goffo poi indicò colui che con artificiosa goffaggine fa ridere il publico. È il nostro pagliaccio. Ma anche qui v’è la solita distinzione: il pagliaccio è da fiera e da piazza: il clown da circo e da scena. Un acrobata di merito sarà un clown cioè quasi un artista e reputerà impropria ed offensiva la voce pagliaccio. Anche nel senso traslato clown è parola prevalente. Lo stesso Carducci nello suo fiere e fulminee prose polemiche non ha disdegnato tale voce. V. Ça Ira, in Confessioni e Battaglie.

Club: voce inglese di uso internazionale. Circolo e Casino la possono compiutamente sostituire. Nel popolo è ancora in uso la voce stanza, nel senso di riunione. La voce club è così invalsa che nell’uso volgare se ne è fatto anche il diminutivo clubino. Questa voce in francese, e così presso di noi, è pur anche anglicamente pronunciata in klob o Kleub, i quali suoni offendono i puristi di quella lingua pur avendo nazionalizzato la voce. In tedesco la voce verein predomina in vece di club.

Co e go. Per il plurale dei nomi con tale desinenza, V. al § ci e chi, etc.

Coalizione: è parola oramai consacrata dall’uso e dalla storia per significare la lega di più Stati contro un altro: certo è d’importazione francese coalition, e «inutile gallicismo» lo dice il Rigutini. Lo stesso dicasi del verbo coalizzarsi se coaliser. La parola nostra è lega. Così diciamo, ad es., Lega di Cambrai, che fu proprio ciò che ora diremmo coalizione.

Coalizzarsi: fr. se coaliser. V. Coalizione.

Cob: voce inglese che significa un piccolo cavallo, ma di statura alquanto maggiore di un poney: dicesi specialmente di polledro non domato.

Coboldo: dal tedesco Kobold, genio delle leggende tedesche, tra il folletto ed il satiro. Per l’etim. V. Kluge, op. cit.

Cobra capello o Cobra di capello o de cabello: è il più terribile serpente velenoso dell’India e di buona parte dell’Asia meridionale. E detto pure Naia dagli occhiali o Serpente dagli occhiali (nome scientifico Naja, tripudians). È animale sacro nell’India, dove esiste anche una casta d’incantatori di Cobra. La lunghezza del serpente varia tra 1 metro e 40 cm. e 1 metro e 80 cm.

Cocainismo. V. Morfinismo.

Coccarda: voce internazionale, di provenienza franc. cocarde, da coq = gallo, cioè gala simile alla cresta del gallo. Anciennement, dico lo Scheler, le mot ne designait pas un insigne porté au chapeau, mais un bonnet porté coquettement sur un côte de la téte. In italiano rosetta, che si pone al cappello o all’occhiollo. Dicevasi anche il brigidino per simiglianza a certi fiocchi di pasta, fatti da prima dalle monache di S. Brigida [p. 132 modifica]in Pistoia. Coccarda è parola radicata nell’uso e registrata nei lessici e dalla Crusca con esempio del Papi. La usò il Bresciani ed il Giusti nel Brindisi di Girella. È una delle molte voci francesi, venuta con la Rivoluzione e Napoleone.

          E lo mio amore se n’è ito a Siena:
          Portommi il brigidin de’ tre colori.
                              Dall’Ongaro.

Cocarde è vocabolo penetrato pur nella lingua tedesca.

Cocco: specie di palma americana che produce noci grosse come poponi, le quali quando son fresche contengono un liquido dolce e rinfrescante; secche, una sostanza bianca e solidificata che mangiasi come mandorle, e se ne fanno anche bibite. Col guscio si lavorano vasi, coppe, etc.

Cochon: voce francese da coche, italiano cocca, cioè il taglio che si fa a detto animale per castrarlo. Anche questa parola talvolta occorre, giacchè dire porco in certi casi metaforici e specialissimi è sgradevole e volgare, e cochon invece può suonar amabile, quasi un faceto rimprovero. Voce del gergo in tale senso, cochon = homme depravé.

Cocal: n. volgare su l’Adriatico del più comune dei gabbiani, cioè il Laro derisore (Larus ridibundus), ottimo volatore sopra il mare e sopra i grandi corsi e bacini d’acqua continentali. S’intrattiene da noi, dove raramente nidifica, per lo più dall’agosto all’aprile. — Cocàl è sinonimo d’uomo magrissimo, come pure d’uomo stupido, forse per l’immobilità della posa del gabbiano e per la sua abitudine di portare indietro e in basso il collo e la testa, forse anche perchè pessimo a mangiarsi, cibandosi di pesci. Del resto anche la voce toscana e italiana rispondente a cocàl, gabbiano (lat. gavia, onde gavianus) vale babbeo, stupido. E il giavàn milanese, che abbia la stessa origine? NB. Non confondasi, come spesso avviene, gabbiano con alcione. Alcione è uno dei tanti nomi dell’Alcedo ispida, detto, fra altro, Martin pescatore, Uccello Santa Maria, Piombino, Uccello del ghiaccio. È verde e azzurro superiormente, rosso bruno inferiormente. Bell’uccello, dal becco lungo e dalla coda breve, che s’intrattiene lungo i corsi d’acqua, le paludi, le maremme, nutrendosi di pesci, d’insetti acquatici e di vermi. È comune e stazionario in Italia.

Cocktail: così è chiamata una bibita americana, fatta di brandy o gin mescolato con zucchero ed acqua.

Cocòlo: bimbo, caro, cocco, cucco, nel dialetto veneziano, onde il verbo cocolàr.

Cocomero: (cocùmer) in Lombardia non significa il frutto che toscanamente dicesi con tal nome e in Lombardia, Emilia, Romagna, anguria, bensì il cetriolo.

Cocorita: corruzione della parola argentino-spagnuola cotorrita, piccolo pappagallo: verde chiaro, più piccino di una tortora. Si distinguono tre specie di pappagalli secondo bellezza e grandezza, pappagallo, loro, cotorrita.

Cocu: variazione della voce francese coucou; latino cuculus = cuculo. Per antifrasi questo nome è applicato al marito che ha donna infedele, per la ragione che ci riferisce uno scoliasta antico [Acrone, scol. ad Hor. Sat. VI, 7] Cuculus avis hoc vitio naturali laborat, ut ova ubi posuerit oblita, saepe aliena calefaciat. Lo Scheler però propose più acuta etimologia, da coq = gallo, gelosissimo animale. C’est par une mètaphore analogue tirée d’un animai tout aussi ardent et jaloux que le coq que l’on a qualifié le mari trompé de cornard ou porte-cornes.

Codeina: è un alcaloide dell’oppio: calmante nervoso, molto usato per la tosse.

Codice: libro manoscritto, ma propriamente diconsi Codici i manoscritti antichi, i quali sono o sopra carta pecora, o carta bambagina; onde si dicono o codici membranacei, o codici cartacei.

Codificazione: parola registrata e sancita dall’uso: indica l’atto dell’inscrivere alcuna legge nel codice. Il conio della parola, nota secondo verità il Fanfani, è francese. Code = codice, quindi codification. In italiano è codice, quindi sarebbe codicificazione, brutta parola senza dubbio e che nessuno si sogna di usare. Dunque codificazione, notando che quando non si crea del proprio, bisogna accettare le parole necessarie quali gli altri [p. 133 modifica]popoli che creano ce le danno, conformi o difformi che siano all’indole della nostra lingua. È l’antica legge del Brenne gallico. Così dicasi del verbo codificare, fr. codifier. Il Rigutini propone ridurre in codice. E chi l’usa comunemente?

Codino: dalla costumanza che aveano gli uomini prima della Rivoluzione francese di portare i capelli o la perrucca terminante in coda, così codini furono chiamati coloro che erano favorevoli alle antiche forme sociali e politiche: in senso più ampio oggi significa retrogrado, reazionario, o, piuttosto, avverso e sospettoso delle innovazioni che le democrazie introducono. Per la etimologia storica della parola, ricordo che nella terribile reazione sanfedista del 1799 in Napoli, i liberali giacobini per isfuggire all’eccidio de’ Borboni, si adattavano una coda posticcia, ed allora fra la plebe feroce ebbe voga questo ritornello:

                    Vuoi conoscer il Giacobino?
                    E tu tirali il codino.
                    Se la coda ti viene in mano,
                    Questo è vero republicano.

Codino (arrosto di): così chiamano in Lombardia quella parte della culatta del vitello, eccellente per fare arrosto, che è presso la coda (rost de covin).

Coffa: termine dialettale, comune sul litorale genovese ed altrove: è una specie di cesto di cui si servono i facchini del porto pel carico e scarico delle navi. Coffa deriva dal latino cophinus, gr. κόφινος fr. coffre. it. cofano, cioè cesto, paniere.

Coffa: ter. mar., specie di piccola piattaforma semicircolare, fissata in alto fra le congiunture dogli alberi delle navi: serve a dar quartiere alle sartie delle vele (gabbie) per comodo del marinaio che monta arriva. Nelle odierne navi da guerra serve per adattarvi artiglierie leggiere. Per l’etimologia, V. la voce precedente, essendo la stessa parola, giacchè su le antiche navi ponevasi, per vedetta e manovre, una coffa cesta su gli albori. V. Guglielmotti.

Cogito, ergo sum: penso, perciò esisto: frase fondamentale ed assiomatica del filosofo francese Renato Descartes (Cartesio) per la quale afferma l’esistenza dal fatto sicuro del pensiero. (V. Principes Philos, I, 7 e 10) Cfr. Cicerone: Vivere est cogitare (Tuscul. cap. V. § 38) Cfr. S. Agostino {Soliloquia, II, 1): «Tu che vuoi sapore chi sei, sai se tu esisti? Lo so. Da che lo deduci? Non lo so. Sai di essere semplice o molteplice? Non lo so. Sai di muoverti? Non lo so. Sai di pensare? Lo so. Adunque è cosa reale che tu pensi.»

Cognac: nomo dell’acquavite fine francese, così chiamata dalla città di Cognac.

Cognizione: nella frase prendere cognizione è linguaggio degli uffici, tolto dal francese prendre connaissance. In buona lingua informarsi, esaminare, rendersi conto.

Cognome: quanto al modo arbitrario di collocare nome e cognome, V. sotto la voce Articolo.

Cògoma, còcouma o cùccuma: termine dialettale e familiare, il primo più specialmente lombardo, il secondo della media Italia, per indicare il piccolo recipiente di rame o di latta di forma ollare, manico ad ansa nel quale scaldasi l’acqua per fare specialmente il caffè. In Toscana bricco.

Coherer: nome verbale inglese che vuol dire coerente: indica un apparecchio speciale, inventato dal Lodge. Esso è costituito da un tubetto di vetro cui fanno capo due fili, due reofori, e tra questi sono posti alcuni granuli di limatura di nichelio, d’argento o d’altro metallo difficilmente ossidabile. La limatura metallica anzidetta, nelle ordinarie sue condizioni, non lascia passare la corrente elettrica, ma appena un’onda elettrica viene ad investire la limatura, questa — come per incanto — diventa buona conduttrice della elettricità. Basta scuotere leggermente il tubetto perchè la limatura perda la sua virtùe la corrente non possa più passare. Il coherer è uno degli apparecchi di cui si vale la radiotelegrafia por ricovero dispacci. Etim., dal lat. coherere.

Coke: parola originaria inglese, d’uso poi universale: indica il carbone fossile quale risulta dalla sua distillazione, cioè dopo aver perduto le sue sostanze fluidi e gassose. Non arde che in masse [p. 134 modifica]compatto. Avviso per chi accende la stufa! Arso, se non erro, lo chiamò quel sicuro intelletto, italiano del Cattaneo. Ora coke è dell’uso; solo sarebbe desiderabile che vi fosse più uniformità nella grafia della parola.

Coibente: dal lat. cohìbeo = impedisco. Così è detta la materia che impedisce il passaggio nel suo interno di alcune forme delle energie rispetto alle quali è coibente, cioè impermeabile.

Coiffeur: parrucchiere; ma nelle insegne, specie dei negozi di un certo lusso e pretesa, la scritta porta di solito questa voce francese. Il dialetto lombardo conserva la voce parrucchiere, perucchée, per barbiere. Usata pure è la voce coiffure per indicare la pettinatura e l’abbigliamento del capo. Per l’etimologia, coiffure è da coiffe = cuffia o scuffia, lat. cofea.

Cold-cream: crema fredda, ed è un unguento medicamentoso per la pelle, fatto di cera, spermaceti, etc., che si profuma variamente: tale unguento conserva generalmente il nome inglese.

Colerina: V. Cholera.

Colla: sotto questa voce si richiamano i vari casi delle preposizioni in, su, tra, per congiunte all’articolo: sul quale argomento osserveremo le cose seguenti: anzi tutto le grammatiche non ci danno leggi costanti e sicure, appunto perchè costante e sicuro non è l’uso. Ad ogni modo si vuole avvertire che in questa complicata e contradditoria questione ortografica molto dipende dal buon senso più che dalla regola; così pur scrivendo per ragione di facilità grafica, come taluni fanno, articolo e congiunzione congiunti (colla, pella, nella, etc.) non si pronunciano certo congiunti, ma bensì come fossero scritti staccati (con la, per la, ne la). La questione dell’omonimia è più nella figura grafica che nel suono, dal quale ci ritrae e l’orecchio e l’antico uso popolare che stacca preposizione da articolo: stacca anzi a tal punto da conservare gli antichi e poetici suoni di in la, in lo. Ad ogni modo certo è secondo uso comune che se con di, a, da si congiunge l’articolo e si scrive del, al, dal, etc., con le preposizioni con, su, in, per si tende ad evitare la congiunzione (almeno così fanno quelli che portano amore allo scrivere) in tutti quei casi in cui la già accennata omonimia del segno grafico può dispiacere: e perciò colla e collo sono meno comuni di con lo e con la, invece con il e con i sono meno comuni di col e coi appunto perchè in coi e col l’omonimia pare minore. Contraddizione senza dubbio che sarebbe desiderabile che non ci fosse, giacchè scrivendo con lo, converrebbe scrivere anche con i. Altre strane irregolarità dell’uso: per il e per i, invece sono più comuni, almeno parmi, di pel e pei. Nei e negli sono molto più comuni che ne i, ne gli, e così nello e nella, forse perchè quel in mutato in ne e lasciato solo, non piace. I poeti e gli esteti, specie quelli che vogliono con alcuni segni e voci preziose far parer preziosa tutta la merce avariata della loro arte, tendono a rinnovare l’antica forma dello scrivere staccato (e fra i primi e più autorevoli ne diede esempio, in rima, il Carducci) onde scrivesi de ’l = del, a ’l = al de lo = dello, ne la = nella, etc., modo perfetto ma che non potrà mai attecchire per la difficoltà grafica e il gran sciupio di tempo. Infine notiamo come alcuni scrittori volendo seguire coi segni la pronuncia toscana, invece di dei, ai, dai, coi, etc., adottano costantemente la forma apostrofata de’, a’, da’, co’ etc., il che mi ha sapore di artificio come tutte le esagerate e pedisseque imitazioni delle forme toscane. Tra e fra raramente si fondono con l’articolo (tral, tralle). V’è in questo caso, per così dire, fra articolo e preposizione meno parentela che con le anzi dette preposizioni.

Collage: propriamente è l’azione dell’incollare (coller) quindi liaison difficile à rompre. Vocabolo del gergo francese per significare quell’unione e convivenza dell’uomo e della donna non consentita né consacrata dalla legge e dal rito, ma che spesso tiene le veci dell'unione matrimoniale.

Collant: fr. aderente, parlandosi di abiti e in certo linguaggio elegante è parola che occorre talvolta. E attillato? è voce letteraria di troppo?

Collapso o collasso: lat. collapsus = [p. 135 modifica]caduta. Termine medico che indica un lapido diminuire delle forze, con rallentamento delle funzioni cardiache e cerebrali, con un complesso sintomatico come diminuzione della temperatura, del polso, della respirazione, etc.

Collettivizzazione: fra i neologismi abusivi di mal suono va notata questa voce. Es. «E la lotta politica ed economica di classe sarà fino a tanto che la collettivizzazione dei mezzi di produzione toglierà la bastiglia che mette in antagonismo gli interessi della classe capitalista quelli della classe proletaria.» Nei dizionari francesi trovo collectivisme soltanto per indicare quella teoria sociale che vuole soppressa la proprietà individuale a beneficio della società e dello Stato.

Collier: nome maschile francese, dal latino collum = collo. La gente mondana antepone l’uso della voce francese alla natia parola collana.

Collo: in inglese coil, in francese colis: termine generico, usatissimo in commercio per indicare specialmente le unità di mercanzia: balla, fardello. Voce di Crusca derivata da collo, quasi peso che si regge sul collo.

Collo: voce comunemente usata invece di goletto, colletto, solino. È appunto il francese col = partie de la chemise qui entoure le cou.

Collo torto: bacchettone, ipocrita, così familiarmente detti dal costume che taluno di costoro ha di tener obliqua la testa, quasi per compunzione, nè fissare nel volto. Voce di Crusca con esempio del Boccaccio, Amor. Vis. 14.

Colmo: dicesi per significare il sommo, assurdo od illogico di qualche azione e opinione. Es. il colmo dell’imbecillità, il colmo dell’avarizia. Colmi si chiamano certe freddure o bisticci che erano in uso pe’ giornali qualche tempo fa. Es. il colmo dell’abilità? Invitare uno a pranzo (cioè avvitare).

Colombi (i due): dicesi familiarmente e spesso per celia di coppia amorosa, specie se colta in flagrante. Evidente metafora, tolta dal modo amoroso con cui i colombi si vagheggiano.

Colombi (Marchese): personaggio comico divenuto presso che popolare; ed è creazione di Paolo Ferrari nella sua miglior commedia: La satira e Parini. Nome talora usato per antonomasia. Tolse il Ferrari questo suo tipo, ineffabilmente stupido e bonario, pieno di sciocche argutezze e di melense osservazioni, da due personaggi vivi cui il genio artistico fuse, l’uno il prof. Marchi, direttore del Convitto legale dell’università di Modena e professore di Pandette in quell’Ateneo, l’altro certo Filippo Chelussi, pisano.

Colon: dal greco colon = mutilato, reciso: parte dell’intestino che segue all’intestino detto cieco, insino al retto (ter. anat.).

Colorista: detto di pittore che sente e rende con forza il colore, che eccelle per la potenza della tavolozza, come i Veneziani e i Fiamminghi, è voce buona e di Crusca. Se poi colorista è uguale a coloriste, francese, la colpa è (io credo) della simiglianza delle due favelle.

Colossale: «fr. colossal da colosso = statua d’altezza e grossezza superiore alle forme umane comuni, vale grande come un colosso; onde ha del ciarlatanesco riferito a cose piccole, eccedenti la solita misura, per es. a naso, il quale potrà essere soltanto grande, grosso, maestoso anche, dantescamente, maschio. — Lo stesso va detto di piramidale.» Così il dott. A. Allan nella sua Teorica di francesismi, Milano, Trevisini, 1901. Certo è uno degli infiniti esempi delle voci usate iperbolicamente alla maniera francese. Accettare tale uso non vuol dire negare la verità e la giustezza della osservazione del purista.

Colpo di fuoco: fr. coup de feu: arsione delle lamiere delle caldaie quando manca l’acqua: voce de’ meccanici.

Colpo di Stato: è il franc. coup d’État, ma chi potrebbe respingere questo gallicismo? Colpo di Stato è nome nuovo di cosa antichissima, indica cioè il passaggio violento e per sorpresa dalla forma popolare alla forma oligarchica od autocratica: al quale spediente, ad es., ricorsero il primo il terzo Napoleone. Farsi signore è il modo nostro, ovvero pigliarsi la signoria, farsi tiranno, ma sono [p. 136 modifica]locuzioni a cui non risponde un’idea concreta l’ nota come a colpo di Stato. Dicesi anche colpo di Stato di quell’espediente estremo, quasi sempre violento, a cui un governo ricorre quando i mezzi legali gli sembrano insufficienti.

Colpo d’occhio: locuzione difesa dal Gherardini che la fece derivare dal latino icto oculi, e dal Viani; ripresa dal Fanfani ed Arlia. Certo è locuzione dell’uso e come tale rimane. Giustizia vuole però che se ne riconosca la provenienza francese. Coup d’oeil risponde di fatto a quell’attitudine del francese di rinforzare con una locuzione incisiva e metaforica ciò che noi esprimeremmo in modo più semplice e piano. Lo stesso dicasi delle locuzioni colpo di testa, colpo di mano, a colpo sicuro (coup de tête, coup de main, à coup sûr) le quali sono sì entrate nell’uso da non poterne fare a meno. Il Rigutini suggerisce fatto ardito di guerra, assalto improvviso, atto testardo, testardaggine, alla sicura: ma sono modi fiacchi, non immediati, non bene corrispondenti.

Colposo: voce dei legali: differisce da colpevole in quanto che colposo esclude l’intenzione e la premeditazione. Dicesi soltanto del delitto non dell’autore.

Coltellacci: ter. mar.; vele lunghe e strette che si possono spiegare al di qua al di là delle vele quadre, sopra piccoli pennoni che sporgono in fuori, detti buttafuori.

Coma: voce medica, dal gr. coimào = dormo. Stato morboso, determinato da un assopimento profondo con perdita parziale o totale dell’intelligenza e della sensibilità, pur conservando le funzioni del respiro e della circolazione. Derivato comatoso.

Combattività: dal fr. combativitè.

Cometa: voce regionale romagnola per significare quell’ingegnoso e notissimo trastullo che con più preciso e puro vocabolo toscano dicesi aquilone e con voce tolta dal franc. cervo volante (cerf-volant).

Comfort: voce inglese, entrata nell’uso e tradotta spesso in conforti o conforto, che per noi ha valore morale. Comfort indica quel complesso di agiatezze, informate non tanto al fasto ed al bello quanto alla pratica e all’uso, e sopratutto all’igiene, traendo profitto di ogni progresso meccanico e scientifico. Il comfort fa sì che tutta la casa soggiaccia come una docile macchina ai bisogni più raffinati dell’uomo. Di questa scienza della casa gli inglesi furono maestri e con essa provenne il vocabolo. L’indole nostra ci porterebbe piuttosto alla pompa esteriore. Comodo è la voce nostra che più direttamente vi potrebbe rispondere, non agiatezza, delizia, delicatezza., addobbi come consiglia il Fanfani, voci buone e belle nell’uso letterario, ma inadatte nell’uso pratico per cui si richiede un vocabolo unico e nettamente inteso dall’universale. In tedesco v’è l’agg. gemüthlich, che ha più tosto senso morale e si dice di persona che si trova ad agio, di luogo geniale, caro, ove ci si sta bene. Infine, i francesi dicono che il comfort inglese non è che una restituzione di un vocabolo loro.

Comitale: aggettivo di conte (latino Comes, comitis = compagno, indi comitalis). Es. corona comitale, palazzo comitale.

Comitato per commissione, cioè consiglio di persone a cui è affidata l’autorità di discutere, sorvegliare, dirigere, etc., checchessia, spiace ai puristi perchè neologismo tolto dal francese comité. I francesi tolsero la parola dagli inglesi, commitee, i quali alla lor volta la subirono dal latino, deviandone alquanto il senso. In latino, infatti, comitatus vuol dire schiera, compagnia, e così dicasi di comitato nella lingua italiana antica. I lessici registrano il nuovo senso della parola. La differenza tra commissione e comitato non è facile; ma nell’uso si avvertono fra le due parole certe sottili differenze per cui a volta si adopera l’uno o l’altro vocabolo. Es. comitato elettorale e commissione esaminatrice.

Comitissa: lat., contessa.

Comitragedia: tragedia da ridere o commedia da piangere, e dicesi piuttosto riferendosi a fatti della vita che a rappresentazioni teatrali.

Command: voce non letteraria usata [p. 137 modifica]dagli inglesi per indicare un reparto o divisione di milizie, speciali o coloniali. Tali erano le divisioni tattiche delle eroiche genti Boere. Command: a body of troops, or any naval or military force under the command of a particolar officer.

Comme il faut: a dovere, a modo, per bene, etc. Locuzione francese antica e così comune che quasi si può dire popolare fra noi sin nella umile borghesia.

Commode per cassettone, cantarale, cantarano è voce comune. Più comune ancora e quasi esclusiva nell’uso, comò, che non è in francese.

Commodoro: voce inglese (Commodore) registrata anche nei dizionari francesi. Ufficiale di marina, che, senza essere ammiraglio, ha il comando indipendente di una squadra navale. Commodore, quasi commandeur o, secondo altri, dallo spag. comendador.

Commoner: ingl., membro della Camera dei Comuni, parlamentare diremmo noi dei nostri.

Commonwealth: ingl. res publica: specialmente intendesi il governo che durò in Inghilterra dalla morte di Carlo I, 1649, alla abdicazione di Riccardo Cromwell, 1659. Republica, federazione republicana.

Comò: dal francese commode. V. questa parola.

Compagnia della Lesina: V. La Compagnia, etc.

Compagno: nome che fra di loro si danno gli inscritti al partito socialista. Per gli avversari compagno è voce spesso usata con senso spregiativo e sarcastico. Così i carbonari, così gli inscritti alla Giovane Italia si denominavano fra di loro col nome di fratelli.

Compagnonaggio: fr. compagnonnage: associazione tra operai della stessa arte allo scopo di prestarsi sussidio e conforto.

Compendio: nel gergo forense significa risultante e dicesi in alcune locuzioni, come ad es. due anelli di compendio del furto.

Compound: {composita) voce inglese, detta specialmente di motrici a vapore a più cilindri, nei quali il vapore passa successivamente compiendovi a gradi la sua espansione totale. Si adopera anche per certe dinamo elettriche. La parola equivalente composita non è accettata dai pratici. Minor fortuna ancora ha avuto l’espressione: macchina a doppia espansione.

Complottare: fr. comploter. V. Complotto.

Complotto: è parola tolta di sana pianta dal francese complot. A noi non mancano secondo i casi le parole: trama, cospirazione, congiura, intrigo, tuttavia la la voce francese è assai dell’uso. «Sconcio gallicismo» la dice il Rigutini. È il solito caso: l’italiano ha dei sinonimi di non facile uso; il francese ha la voce unica e facile.

Compteur: così francesemente si chiama quella specie di orologio o contatore che serve a misurare il consumo del gas. In Italia (o meglio a Milano) pronunciano conteur che vuol dire novellatore.

Comptoir: voce francese, dal lat. computatorium. Indica il banco sul quale il mercante conta e custodisce il denaro ed espone la merce. Voce usata promiscuamente in vece di banco.

Compulsare: per consultare, ricercare, è il fr. compulser: voce non rara fra i nostri studiosi ed eruditi. Nel senso antico curiale di citare (dal lat. cum e pellere) è verbo registrato dalla Crusca.

Concertstück: voce tedesca del linguaggio musicale. Significa, pezzo da concerto.

Concertista: chi suona o canta da solo in un concerto. Intendesi di artista di molta perizia e che ben sa rendere i grandi autori nella loro vera espressione.

Concierge: è proprio il portinaio, voce derivata molto probabilmente da un conservius nella bassa latinità. Ma negli alberghi di gran lusso, il portinaio porta scritto sopra l’aureo gallone del berretto che gli nobilita il capo, concierge o non portinaio. Ecco: la ragione che negli alberghi si adotti la lingua più in uso per necessità di commercio, non mi soddisfa compiutamente. Ragione più vera è questa, che ricorrerà molto volte nel corso di questo lavoro, che cioè di duo voci uguali, quella straniera ha senso nobile, la nostrana senso vile. Per chi tuttavia [p. 138 modifica]volesse obbiettare che portinaio equivale a portier che è meno dignitoso di concierge, rispondiamo che ciò può valere a Parigi non in Italia. V. Suisse.

Conci: più comune che al singolare concio: è termine architettonico; significa i letti o facce delle pietre lavorate con qualche finezza onde facciano buona commettitura. La Crusca e il Petrocchi notano questa fra le voci fuor d’uso. Certo è dell’uso, se non comune, tecnico.

Concio: per concime, letame, stabbio, benchè notata nei Lessici e nella Crusca, parmi oggi, nell’uso, voce specialmente regionale toscana al modo stesso di sugo e sughi.

Conclusionale: parola del gergo forense italiano: è quella scrittura definitiva che raccoglie la storia della causa, riassume i motivi che sorreggono le ragioni di una parte e si chiude con le conclusioni, cioè con le domande specifiche mosse da una delle parti al giudice.

Condor: specie di grande avvoltoio dell’America meridionale (Ande) dal volo altissimo: il maschio ha sul vertice una cresta carnosa (Sarcorhamphus gryph).

Conferenza: voce antica che indica una nuova forma letteraria di cui pare l’età nostra goda ed abbisogni. Consiste, come è noto, nel trattare piacevolmente (se si può) di svariati argomenti, artistici, scientifici, filosofici, ecc. Modo facile e mondano di acquistare nozioni e coltura. Der. conferenziere. | Conferenza, nel linguaggio forense significa il conferire di un avvocato col cliente intorno ad un determinato affare: usasi specialmente nel Veneto: in altre regioni d’Italia dicesi congresso. Se di più persone e alquanto prolungata dicesi sessione, e se lieve o occasionale intervista. La conferenza preludia al consulto o consultazione., cioè parere legale.

Conferenza dell’Aia: a cui intervennero (1899) i rappresentanti, diplomatici e filosofi, di ventiquattro governi del mondo, compresa la Cina: il programma di questa conferenza fu di studiare e seguire la proposta dello Tzar di Russia, discutendo sui modi onde effettuare il disarmo e la pace tra le nazioni. Conseguenza del congresso fu la Corte permanente d’arbitrato internazionale che risiede all’Aia. V. Pascoli, Poemetti, Il pastore dell’Arar.

Confessionale: dicesi di opinioni o istituzioni che abbiano attinenza con alcuna fede o confessione religiosa: dal fr. confessional. Neol. dell’uso, non accolto nè pur dal Petrocchi.

Confezionare: V. Confezione.

Confezione: voce registrata dal Petrocchi nel Diz. universale come popolare per dire fattura d’abiti o d’altro. È il francese confection. In tale uso comune sta appunto il gallicismo. La parola in sè è italiana ed ottima (lat. confectionem da cum e facere) ma in altro senso; cioè nel senso antico di conserva giulebbe, composizione medicinale. Es. «Il cioccolatto è una mistura o confezione fatta di vari ingredienti, tra i quali tengon il maggior luogo il cacao abbronzato ed il zucchero» (Vedi Annot. Ditir). Insomma ha perduto l’antico senso italiano, ed acquistato il nuovo francese. «Sconcio gallicismo» lo chiama il Rigutini e così dicasi del verbo confezionare. Vero è che il determinare i gradi di sconcezza delle parole e delle locuzioni straniere che in sì gran numero entrano nella nostra favella, mi pare infelice e disperata impresa.

Confidente: eufemismo del linguaggio poliziesco per indicare la spia.

Confiteor: lat. confesso, nome di preghiera che si recita al principio della messa: dire o recitare il confiteor vale familiarmente pentirsi, incolpare sè di male avvenuto.

Conflagrazione: neologismo dal latino conflagratio che significa incendio. Nel senso figurato di scontro, scoppio di ostilità fra nazioni e popoli, certo a noi provenne dal francese conflagration.

Confusionismo: uno de’ tanti neologismi ed astratti in ismo, che include mal senso di eccesso.

Congiuntivo: § 1 usato in vece del condizionale. In alcuni dialetti e in alcune prose letterarie talora è usato il congiuntivo in vece del condizionale e ciò, forse, per effetto di antico idiotismo toscano. Non mancano esempi classici e di autori eccellenti. «Chi sa che tu pure inasprito dall’avversa fortuna non ti fossi lasciato [p. 139 modifica]andare ad eccessi ancor peggiori dei primi?» (V. Monti). «Non v’è anima viva che per esser chiamato Gino Capponi non si accomodasse a brancolar come lui.» (G. Giusti). «E pensavano che se il potessero uccidere la cosa fosse spenta.» (Cavalca). «Se io avessi trovato i fuorusciti di quell’animo e di quella prontezza che ei dovevano essere, nessuno negherà che la cosa non fosse successa appunto com’io m’ero immaginato.» (Lorenzino de’ Medici, Apologia). «Se il Leopardi avesse progredito a studiar la questione, non è improbabile che fosse arrivato anche lui all’unica conclusione logica e possibile» nella prefazione di L. Morandi premessa all’opera del Bonghi: Perchè la lett. ital., ecc. Talora avviene di usare il condizionale per il congiuntivo. Es. Manzoni, P. S. al cap. III, seconda ediz., «M’ha detto che cercassi di affrettar le nozze il più che potessi»; mentre diceva nella prima edizione «il più che potrei.» § 2. Riguardo al congiuntivo noteremo come i dialetti, specie quelli dell’Italia meridionale, non usino di solito il congiuntivo. Così i Napoletani, anche colti, nel formare la protasi del periodo ipotetico, usano l’imperfetto indicativo invece dell’imperfetto e più che perfetto congiuntivo: Es. se io sapeva, per se io sapessi. § 3. Vuolsi inoltre avvertire come dopo le particelle se, ove, come, quando, etc., le quali reggono sempre una proposizione dipendente, sia bene usare l’indicativo quando si affermi o nieghi assolutamente, e il congiuntivo ove abbiasi ad esprimere un giudizio non positivo, una cognizione soltanto probabile o dubbiosa; di che un bellissimo esempio offre Dante nelle parole: Io non so chi tu sii, nè per che modo venuto se’ quaggiù; dove sii è congiuntivo, perchè chi parla ignora assolutamente la persona che gli sta innanzi: se’, indicativo, perchè, sebbene ignori la circostanza del come, gli è noto però il più, che la persona a cui volge quelle parole è quivi discesa.

Congresso carnale: V. Appendice.

Connotati: da con e notati, in vece di contrassegni, faittezze (alle futtezze conte dico Dante) è voce registrata e dell’uso, specie per indicare que’ contrassegni fisici che nei passaporti servono a determinare una data persona. La Crusca ha fatto benissimo a registrare, pur senza esempi, tale parola. Ma a mio avviso ha torto il Rigutini a dar torto al Fanfani che tal voce riprende.

               Come per acque limpide e tranquille,
               non si profonde che i fondi sian persi
               tornan de’ nostri visi le postille,
                                                                                                              Dante, Par. III.

Molte volte è un senso estetico delle parole e dei suoni che fa sì che un dato vocabolo ci stuoni in nobile prosa.

Console: come termine architettonico è d’uso ancora la nostra parola mensola, ma per esprimere quel mobile elegante sul quale si posano vasi, bronzi, etc., essa cede il posto alla voce console, che è anche nei diz. inglesi. La etimologia di console è incerta.

Consommé: V. Consumé.

Consumazione: per indicare genericamente ciò che si consuma in un caffè, cioè una bibita, è parola più che buona come origine e come forma, soltanto che la nuova estensione alla parola consumazione non la demmo noi, ma la subimmo dai francesi: consommation. Solito caso.

Consumè: (fr. Consommé, participio passato del verbo consommer, latino consumere) risponde a quello che da noi si dice «brodo ristretto o brodo consumato» come scrive lo Scappi, illustre cuoco del ’500. A ragione osserva il Rigutini non essere improbabile che i francesi abbiano tolto il vocabolo dall’italiano. Di consumato non mancano ottimi esempi, citati dalla Crusca. Vero è che consumato è vocabolo fuor dell’uso, mentre usatissimo è consommé o la forma ibrida consumè, specie nelle trattorie per indicare semplicemente il «brodo», spesso tutt’altro che ristretto per l’ebollizione.

Constatare: nella lingua comune è verbo di grande uso, a cui si dà il senso di provare con certezza e documento. Sembra più efiicace e preciso dei sinonimi stabilire, appurare, verificare, notare, etc. Ricorda il francese constater = établir la verité d’un fait, latino constare. I dizionari in genere non lo registrano. [p. 140 modifica]

Constatazione: V. Constatare (fr. constatation). Voce usatissima.

Contabile: per computista, ragioniere è neologismo derivato dal francese comptable = qui est chargé des comptes. Lo stesso dicasi di contabilità (comptabilité) per computisteria.

Contàgg: letteralmente contagio ed è esclamazione del dialetto piemontese, ed appartiene al novero di quelle poche parole che dall’antico esercito piemontese si sono poi estese nell’uso della milizia italiana.

Contare su di uno: per fidarsi, fare assegnamento, ricorda il francese compter sur quelqu’un. Così i puristi chiamano gallicismo il verbo contare per ho in mente, mi propongo, disegno. Certo è che a volere togliere tutti i modi di provenienza vera o supposta francese non si saprebbe più come parlare.

Contatto: nel senso non materiale ma morale di vicinanza, relazione, amicizia, rapporti, etc., è riprovato dai puristi come gallicismo. Lo registra la Crusca.

Contemplare: nel linguaggio avvocatesco e degli uffici questo verbo è usato nel senso di indicare, determinare, considerare, stabilire, designare, prevedere, comprendere. Por es. il codice contempla il caso etc., questa spesa non è contemplata. L’uso di tale verbo in questo senso è riprovato dai puristi. Lo registra la Crusca. «Caso serio, figliuolo, caso contemplato!» dice il dottor Azzeccagarbugli a Renzo.

Contempo: per nel tempo stesso, frattanto, è detta dal Rigutini «voce ridicola». Il Petrocchi nel Diz. scolastico non la registra, benchè dell’uso. Certo è però che lo spiegare in che cosa consiste il ridicolo di una parola non è cosa facile.

Contenance: voce fr., abusivamente usata in certo linguaggio elegante e mondano in vece di contegno.

Conto corrente: se fra due persone v’è rapporto di dare e di avere, esiste un conto; ma se questi rapporti sono molti e reciproci, allora dicesi conto corrente. Conto aperto dicesi quando si aggiungono sempre nuove partite di debito e credito: dicesi anche in senso figurato e morale.

Conto reso: come saggio della servile imitazione del francese, ricordo la parola, già usata, conto reso invece di resoconto o rendiconto (compte rendu). La stoltezza di certe parole è tanta che esse cadono da sè.

Contralbero: (meccanica) albero o asse che ricevo il moto da un secondo per trasmetterlo ad un terzo.

Contraria contrariis curentur: principio della medicina allopatica (V. Allopatia), come similia similibus curentur è canone della medicina omeopatica. Dottrina già enunciata da Ippocrate nel Trattato Περὶ τόπων τῶν κατὰ ἄνθρωπον; da Tomm. Erastus (Disputat. et epist. medicae, Tiguri, 1595); da Samuele Hahnemann (1755-1843) Organon der Heilkunt.

Cοntra vim mortis non est medicamen in hortis: sentenza della scuola medica salernitana: «contro la forza della morte non v’è rimedio negli orti».

Contribuire: (lat. cum e tribuere = dare) nel senso di giovare, conferire, cooperare è riprovato come gallicismo (contribuer). Contribuire dovrebbesi usare solo detto del denaro e simili. Sia pure; ma si tratta di uno di quei tanti gallicismi così penetrati nell’uso che oramai più non si avvertono nè meno dai grammatici. Si noti infine che con la parola contribuire in senso morale, non sempre si intende di una cooperazione benefica, e allora come vi starebbero conferire e giovare?

Contributo: nella locuzione mettere a contributo, in luogo di mettere a profitto secondo i puristi è il francese — mettre à contribution. Così dicasi di contributo nel senso astratto di incremento, giovamento, utile. V. ciò che è detto al vocabolo precedente.

Controcorrente: corrente elettrica di senso contrario ad un’altra, percorrente il medesimo circuito.

Controllare, controllo e controllore: evidentemente sono neologismi derivati dal francese contrôler, contrôle, contrôleur, e come tali li riprendono i puristi. Le nostre voci sono verificare, riscontrare, sindacare, revisione, riscontro, [p. 141 modifica]verificatore, secondo i casi; ma il vero è che cotesti neologismi sono così entrati nell’uso da non potersi più espellere, specie nel linguaggio tecnico e degli uffici. È il solito caso della voce unica più agevole dei sinonimi.

Contro natura (vizi): V. Appendice.

Contr’ora o controra: voce comune nell'italia meridionale, dal tocco alle ore quattro pomeridiane in cui si chiudono alcuni negozi e si va a riposare = siesta. Quiescendo et sedendo anima efficitur sapiens: risposta che Belacqua fa a Dante e par tuttora saviezza italica. V. Dolce far niente. Leggi anche i proemi ammirevoli delle Giornate del Decameron ove descrivesi il molle costume de’ giovani e delle donzelle di riposare dopo il pasto del mezzodì.

Controranda: piccola vela triangolare la quale, quando e buon tempo e vento propizio, si alza sopra la randa alla estremità dell’albero, specialmente di certe navicelle veloci usate comunemente per geniali diporti marinareschi.

Controruota: nel ling. mar., pezzo di costruzione messo a rinforzo di ciascuna ruota di poppa e di prora.

Controtorpediniera: = cacciatorpediniera. V. Destroyer.

Controvapore (dare il...): azione del vapore contrario all’azione normale, onde contrasta il moto avviato fungendo da freno ed arrestando il movimento. Si adopera, ad esempio, nei treni per fermarli sul posto. Dicesi anche in senso traslato e morale.

Contumaciale: si dice di una lite decisa in contumacia del convenuto, e anche dell’attore; cioè di una delle parti. Più frequente è la contumacia del convenuto, e si verifica quando colui che è chiamato in giudizio non comparisce nè si fa rappresentare.

Convegno: per ritrovo dai puristi è voce riprovata perchè deriva dallo spagnuolo convenio (lat. cum e venire = venire insieme). La registra la Crusca. Convegno sembra avere in sè alcun senso di gravità e solennità.

Convenuto: termine forense; è la persona chiamata dall’attore con citazione in giudizio. I vecchi giuristi dicevano reo convenuto.

Converter: voce inglese che vuol dire convertitore, ed è vocabolo generico di tutti gli apparecchi il cui ufficio è di convertire, nella maggior parte dei casi, una energia da una forma in un’altra. Voce usata specialmente dagli elettro-tecnici per apparecchi che convertono due energie elettriche l’una nell’altra.

Convogliare: brutta parola usata spesso in idraulica invece avviare le acque, incanalare.

Coolie: facchino, servo, portatore cinese.

Copèck o Kopèck: nome di moneta russa del valore di circa due centesimi e mezzo, cioè la centesima parte del rublo.

Coperto: fr. couvert. «Pranzo di cinquanta coperti. Stando al valore che qui ha il francese — couvert — , noi dovremmo dire tovagliolo, perchè con esso copresi il piatto, la posata, ecc., nell’apparecchio della tavola. Ma se non piacesse il dire Pranzo di cinquanta tovaglioli, potremmo dire di cinquanta posate o alla men trista di cinquanta coperte: ma non mai coperto.» Così il Rigutini, il cui ragionamento fila benissimo, ma non toglierà per questo alla lingua italiana l’uso della parola coperto, ancor che nè bello nè buono. Del resto v’è posata o servito, voce dal Petrocchi registrata nella lingua fuori dell’uso, detta di pietanza, che si potrebbe adattare a questo significato. I tedeschi usano questa voce francese couvert traducendola nella lor lingua in gedeck = coperto.

Copiglia: dal francese goupille (lat. cupicula, dim. di cuspis = punta?) bietta o spina a due zanche divergenti per accoppiare.

Copione: nel linguaggio teatrale la copia del dramma in cui sono le varie partizioni.

Coppa di Francia, o Coupe de France: nome di premio delle gare nautiche (yachting), proposto da alcuni amatori francesi nel 1890. La prima coppa fu eseguita con la somma di L. 6000 ed offerta da un Kothschild.

Coppo: voce regionale romagnola per [p. 142 modifica]

tegola: in Toscana coppo è il vaso ollare di creta, ove riponesi l’olio, che in Romagna, appunto, si dice latinamente olla.

Copricapo: questo neologismo inelegante, non registrato nei lessici, è usatissimo in vece della parola generica cappello. Deve provenire dal couvre-chef francese.

Coprire: le locuzioni coprire un ufficio, una cattedra, coprire le spese etc., invece di tenere una cattedra, rifarsi delle spese etc., sono modi correnti, riprovati dai puristi. Coprire nel linguaggio delle corse ha il senso di percorrere. Es.: furono coperti cinquanta chilometri in un’ora: dicendo percorsi, o percorsi di volo ti daresti a conoscere per inesperto di tali nobili giuochi.

Coprirsi: nel linguaggio parlamentare indica l’atto con cui il Presidente della Camera pigliando proprio cappello e insieme il cappello toglie la seduta della Camera, quando più non regge a dominare l’assemblea: cosa che in Italia avviene spesso e spesso ridevolmente. Questo neologismo del linguaggio politico ci proviene probabilmente dal francese se couvrir, mettersi il cappello o coprirsi come diciamo più di sovente. Es. Si copra.

Coque (uova á la): cioè cotte nel loro guscio, così da sorbirle. Uova da bere scrive lo Scappi, cuoco benemerito dello stomaco di sua Santità Pio V e uova da bere si dice da molti nell’uso volgare. Predominante però, specie negli alberghi, è sempre la locuzione uova à la coque, che è diventata d’uso popolare e che può spingersi anche a uova alla coca. La moglie del cuoco non ci ha però nulla a vedere col nome coque, che si riannoda invece al greco κόγχη, cfr. conchiglia, cioè guscio.

Coqueluche: parola francese, talora usata nel ceto mondano, per dire ciò che noi denominiamo tosse canina o ferina, malattia epidemica, contagiosa specie fra i bambini, che si manifesta con accessi di tosse convulsa, divisi da respirazione lunga, penosa e come a sibilo. Coqueluche deriva da coqueluchon, cappuccio con cui si coprivano gli infermi.

Coquet, coquette, coquetterie: voci francesi (radice coq = gallo) per civettuolo, galante, galanteria, non ci sono ignote. Il Fanfani, condannando la parola cochetteria, ci fa capire che tale brutto neol. è usato anche in Toscana.

Coramella: striscia di cuoio usata dai barbieri per affilare i rasoi.

Corazzata: agg. sost. detto di nave da guerra fornita di corazza. Le prime navi corazzate apparvero al tempo della guerra di Crimea, 1855, dove fecero così meravigliosa prova resistendo ai colpi dello batterie russe (17 ottobre 1855) che da quel tempo si estesero dalla marina francese a tutte le altre marine. Data da quel tempo la lotta tra il cannone e la corazza.

Corbeille: in francese vuol dire nè più nè meno che cesto, paniere e letteralmente corbello; ma tu offrendo ad una cantante o ad una ballerina de’ fiori sciolti con arte disposti entro un paniere, dirai una corbeille di fiori. Corbello sembrerebbe leziosamente toscano, Paniere avrebbe del villereccio, Cestello e cesto dello spedizioniere. È vero? Corbeille è detto anche di quel paniere soppannato di seta o raso ove si pongono i doni nuziali. Ora questa mondana garbata voce francese viene proprio direttamente dal latino corbicula, corbula, corbis [cfr. curvus]: Corbis proprie est vas e vimine, ad usus rusticos praesertim colligendorum fructuum. In altri termini è voce sorella della milanese scorba, nella quale di solito pongonsi tutt’altro che fiori. La parola italiana è rimasta Cenerentola.

Cor cordium: «cuor dei cuori» motto latino impresso sull’urna del grande poeta inglese Percy Bysshe Shelley, sepolto nel cimitero protestante di Roma.

Corda fratres = lat. cuori fratelli: nome di un’associazione di studenti, di carattere internazionale, recentemente fondata, a scopo di sussidio, materiale e morale.

Cordite: nome di nuovo esplodente inglese, analogo alla balistite. Il nome deriva dalla forma, essendo fabbricata in fili simili alle minugia.

Cordon bleu: fr., nastro azzurro largo e marezzato che cadeva sul petto in punta (en sautoir) ed a cui era attaccata la croce dell’ordine del Santo Spirito. I cavalieri di quest’ordine eran detti semplicemente [p. 143 modifica]cordons bleu. Per celia poi si chiama cordon bleu un cuoco di gran merito.

Corea: gr. coreìa = danza; ter. med. (lato a certe malattie nervose, caratterizzate specialmente da contrazioni toniche dei muscoli, involontarie, anche nel sonno. Volgarmente dicesi Ballo di San Vito, in francese Danse de Saint-Guy. È una malattia della seconda infanzia e non ben nota nella sua origine.

Coriza: dal greco κόρυζα nome medico che significa l’infiammazione acuta o cronica della mucosa del naso. Il termine volgare è raffreddore.

Cornetti: così per le punte onde terminano le silique, con voce dialettale, passata nell’uso della lingua parlata, sono, nell’Italia settentrionale, chiamati i fagiolini freschi. In milanese cornitt.

Cornichon: voce fr., abusivamente usata nel linguaggio culinario invece di cetrioli.

Corniera: dal francese cornière, termine tecnico che indica una lamina di ferro piegata in forma di squadra.

Corona: (ted. krone) moneta d’argento austriaca così detta dalla corona che vi è impressa. È press’a poco come la nostra lira e vale un po’ più di essa (1,10 circa, secondo il corso del mercato monetario). È la metà del fiorino.

Corona d’Italia: ordine creato da Vittorio Emanuele II con decreto del 20 gennaio 1868, per le nozze di Umberto e di Margherita, pei meriti civili e militari. L’ordine è diviso in cinque classi: cavalieri, ufficiali, commendatori, grandi ufficiali, gran cordoni. Nastro rosso con zona bianca in mezzo.

Corona veneris: termine medico: in francese Couronne de Venus: cerchio di macchie rosse formato attorno alla fronte dalla sifilide secondaria.

Coroner: voce e istituto inglese, che indica un ufficiale della Corona — onde il nome — il cui incarico principale è di appurare con altri 12 giurati i casi di morte improvvisa.

Corpo o ente morale: dicesi di istituto civile riconosciuto dalle leggi avente personalità giuridica e che perciò gode dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto publico. Giuridicamente la sua esistenza è indipendente da quella delle persone che lo compongono.

Corpus: latino corpo, ma nel senso di raccolta, complesso, volume, i dotti usano spesso la voce antica latina: corpus iuris civilis, corpus di papiri, corpus di medaglie, corpus di avori medioevali, etc., cioè raccolti in un solo corpo.

Corrente: nella locuzione così comune essere al corrente ricorda il francese être au courant: il modo nostro è a giorno. Es.: «io non sto a giorno della politica». Ma chi l’usa? Ben pochi. Così dicasi delle locuzioni mettere, tenere al corrente che spiacciono ai puristi. Ma io dubito che ai puristi stessi isfuggano tali modi e paiano più efficaci di conoscere, far conosce, far sapere, tenere informato. Certo è però che il popolo indotto non usa locuzioni con questa voce corrente.

Correntista: colui che presso un banchiere ha aperto un conto corrente. Vedi Conto corrente.

Correr la cavallina: scapricciarsi in gioventù, darsi alla vita libera e avventurosa. Metafora tolta dallo sghiribizzare della polledra non doma. Locuzione specialmente toscana estesa ad altre regioni.

Corretto: per costumato, castigato, virtuoso, etc., è voce ottima. Ma l’uso comunissimo di corretto per significare il modo esteriore di comportarsi, ritiene della maniera inglese di tale vocabolo: es. modi corretti, abito corretto, gesto corretto, quel signore è sempre corretto, etc. Inutile dire quanti belli ed acconci vocaboli vadano in disuso per la sostituzione dell’unico e comodo corretto.

Corrigendo: lat. corrigendus = che deve essere corretto: uno dei non pochi neologismi tolti dal gerundivo latino come instituendo, contemnendo, etc. Dicesi corrigendo di que’ giovani di mal costume e di prava natura che sono chiusi in speciali istituti per essere ridati alla società corretti. Cosa assai difficile giacchè l’alchimia di mutare il metallo dell’umana natura è tuttavia ignota. Corrigendo è voce eufemistica e pedantesca invece di birichino, discolo.

Corrida: e compiutamente corrida de [p. 144 modifica]toros = corsa de" tori: il noto spettacolo nazionale e classico degli spagnuoli, che consiste nell’aizzare e dar morto, entro circhi anfiteatri, a tori furenti e gagliardi.

Corruptio optimi pessima: nota sentenza latina: pessima è la corruzione di chi prima era buono, giacchè vi aggiunge scienza e deliberata coscienza del male.

Corsage: appunto come in italiano = corsetto; la parte cioè superiore dell’abito muliebre, ma nell’uso mondano prevale la voce francese. La etimologia è dal lat. corpus, fr. corps, corselet corsaletto, corsetto.

Corset: fra gli oggetti di moda o d’igiene, trovo sovente questa parola francese invece delle due voci nostre: busto, fascetta.

Corsetière: bustaia. Nel ceto signorile e mondano la voce francese non è infrequente.

Corsi e ricorsi: il ripetersi in date circostanze di dati fenomeni storici secondo la filosofia di G. B. Vico (1668-1743) Principii di una scienza nuova.

Cortes: nome dato alle assemblee nazionali legislative di Spagna e di Portogallo. Dallo spagnuolo corte.

Corte suprema: V. Cassazione.

Corto circùito: (elettrotecnica) collegamento diretto, o mediante condutture di resistenza praticamente nulla, di due punti di un circuito elettrico in cui siano in azione un generatore di corrente od un sistema di generatori.

Corvée: voce francese comunemente usata in italiano. Storicamente per corvée intendevasi, nell’ordinamento feudale, il servizio che il villano doveva al signore, come pulir le fosse del castello, mantener le vie, far lavori campestri, giornate di opere, dare prestazioni di carri e giogatici. Luigi XVI, su proposte del ministro Turgot, con legge del 27, VI, 1787, abolì molte di queste servitù: l’Assemblea Costituente (18, III, 1790) e quindi la Convenzione (17, VII, 1792) ne scancellarono ogni traccia. Non è però morta la parola ed è passata ad altro senso. Corvée oggi indica il servizio militare fatto a vicenda: infine lepidamente dicesi di ogni lavoro o commissione o ufficio, faticoso ed ingrato. Per il francese poi, seguendo la sua natura iperbolica, una visita, un ricevimento, l’accompagnare la moglie a spasso, possono essere una corvée, e in tal senso noi l’usiamo: in questo sta la servile imitazione nostra. Es.: «Ci telegrafano da Roma, 8 novembre, notte: Stamane durante il ricevimento dei ministri, l’on. X*** ha pregato il Re di posare per il ritratto-tipo da distribuirsi agli uffici pubblici e alle scuole. La proposta è stata accolta con un sorriso che rivelava la rassegnata per quanto non entusiastica disposizione del Re a questa corvée!» Per la etimologia, ella è voce evidentemente latina: Corvata, da corrogata [cum e rogare] quindi convocazione, dimanda, nel modo stesso che nell’antico francese, da rogare latino si ottenne rover, enterver; da Bagacum, Bavay. Avverti che nella bassa latinità corrogata e corvata hanno lo stesso senso: operae quas subditi ac rustici dominis suis praestare ex lege tenentur. V. Du Cange, Glossarium m. et inf. latinitatis.

Cosa: in vece di che o che cosa nelle forme interrogative e dubitative, è modo familiare e dialettale delle regioni dell’Alta Italia in ispecie e che ottenne onore ed autorità letteraria dall’esempio del Manzoni. Che la voce cosa usata con parsimonia e garbo, adattandola al tuono del discorso, riesca efficace è un conto: che proprio il modo sia eletto ma da sfuggirsi però unicamente perchè non piace ai pedanti, come scrivono i signori Morandi e Cappuccini nella loro grammatica, è un altro. Non è solo che non piaccia ai pedanti, ma è anche che non si trova gran conforto di esempi classici e in alcuni dialetti dell’Italia centrale dicesi costantemente che.

Cosciale: di una locomotiva, di un carro, indica uno dei lati longitudinali del telaio (meccanica).

Cose che capitano ai vivi: cioè le disgrazie; bella perifrasi di filosofia popolare.

Così tanto: per così è modo pleonastico conforme alla maniera dialettale lombarda inscì tant.

Così va il mondo, bimba mia!: titolo di una commediola del poeta dialettale [p. 145 modifica]veneziano Giacinto Gallina, il quale titolo felice acquistò valore di intercalare.

Cosmòpoli: neol. città mondiale.

Costui: (dal latino èccum-iste-hic) nelle grammatiche è notato come pronome di persona vicina alla persona cui si rivolge il discorso = cotesto. Ma non si accenna a un certo senso spregiativo che è racchiuso in costui. Tale senso però ve lo annette il popolo e giustamente lo notano alcuni lessicografi. Se non propriamente spregiativo, certo noi talora diciamo costui per evitare di nominare persona di cui ci spiace dire il nome, o altrimenti umanamente indicarlo. I demoni del Canto VIII dell’Inferno, indicando Dante, dicono:

                    Chi è costui che senza morte
               Vien per lo regno della morta gente?

Costume: «per foggia, maniera particolare di vesti, seguita da un particolar ordine di persone o da un dato popolo, ovvero in una determinata età, è voce italianissima, usata da ottimi scrittori. Dove incomincia il gallicismo è quando si trasferisce dalla foggia o maniera di vestire alle vesti istesse, come: Indossava un bel costume, V’erano al ballo costumi ricchissimi: oppure quando si adopera senza alcuno aggiunto che lo determini, dicendosi: Ballo in costume; Scuola del costume, come dicono oggi i pittori: Vi andò in costume, Non si ammettono i costumi e simili». Così il Rigutini e assai bene e chiaramente detto. Coutume nome fem. fr. deriva dall’italiano costume (da consuetunne, consuetudine) o meglio costuma come diceasi in antico.

Consummatum est: è finito! (il sacrificio dell’uomo Dio) Vangelo di S. Giovanni, XX. Dicesi spesso por celia.

Cote: voce fr. rispondente a quota, cioè parte, lat. quotus = quanto volte o parti, ondo coter = numerare, quotare e quotizzare (fr. cotiser) determinare la parte di ciascuno. Nel linguaggio delle corso sono dette cotes le probabilità di ciascun corridore. Tableau des bookmakers.

Coteletta: invoco costoletta è manifesto ed inutile francesismo, usato anche dal popolo. Proviene dal francese cótelette diminutivo di còte = costola.

Coterie: per l’etimologia della parola V. lo Scheler. Oggi questa parola francese usasi per indicare una compagnia, una congrega di persone che strologano intorno ad un comune interesse, consorteria, cricca; ed anche nel senso di persone che vivono fra di loro in dimestichezza e diletto con esclusione di altri. V. Camarilla.

Cotica: voce comunemente usata in vece della toscana cotenna: lat. cuticula, diminutivo di cutis. Parlando di terra, vale strato superiore, piota (G. Gherardini, op. cit.).

Cotillon: nota specie di danza figurata, con giuochi, doni e sorprese che si balla con molto diletto in fine di una festa. Appartiene al genere dei balli che i francesi dicono branles = dondolamento; da cotte e cotillon = sottana, gonnella di contadina, tedesco kutte, inglese coat, italiano cotta. Il rapporto tra cotillon gonna, e cotillon ballo mi è sfuggito. Probabilmente si deve riferire a qualche costumanza di esso ballo. Secondo il Littré converrebbe scrivere cottillon.

Cotognata: specie di melata o di dolce candito, solido, fatto con la confezione delle mele cotogne. Il Petrocchi porta cotognato = conserva e gelatina delle mele cotogne; il che significa che in Firenze così si dice: ciò non toglie che non si possa dire anche cotognata. Codognata (milanese codognada) fu pur usata dal Bembo, il quale, pur non essendo fiorentino, scriveva con eletta ed esemplare italianità; lo stesso intervenne al Castiglione, lombardo; al Tasso, altro non toscano; all’Ariosto, emiliano o lombardo che dir si voglia.

Cottage: capanna, villetta, rustica ad arte. Termine inglese, entrato in Francia e quivi pronunciato alla francese.

Couoliette: fr. cuccetta, tettuccio.

Coulisse: in francese è l’incastro in cui si muove un telaio, quindi il telaio stesso, e perciò coulisse significa quinta, nel linguaggio teatrale; e per maggior estensione tutta quella parte del palcoscenico che non è in vista del publico. Questa parola coulisse è nota da noi nel senso figurato, cioè por indicare il retroscena di un affare. Es. Voilà ce qu’on dit en [p. 146 modifica]public: mais dans la coulisse... che è per l’appunto il nostro dietro le quinte. Per l’etimologia, coulisse è un femminile derivato da coulis, qui coule, qui glisse. Coulisse è altresì termine francese del linguaggio di Borsa, che significa luogo ed ufficio di detta Borsa, non riconosciuto dalla legge, ove i sensali senza averne legale autorità, trattano gli affari quali propri e riconosciuti agenti di cambio. Ho inteso anche dire «porta à coulisse», laddove noi potremmo dire «con saracinesca».

Coulisse: o glifo, chiamano in meccanica corti meccanismi di inversione nel moto delle locomotive e simili, detti anche settori. | Corsoio o scorritoio, chiamano il pezzo prismatico che scorre nella fenditura del glifo: in fr. coulisseau.

Coulissier: termine della Borsa francese. Così sono chiamati quei sensali non riconosciuti legalmente che trattano gli affari à la coulisse, cioè fuor del luogo a ciò destinato e riconosciuto. V. Coulisse.

Couloir: colatoio e corridoio, forse una corruzione di un possibile couroir, (cfr. l’italiano corritoio), con lo scambio dell’r nell’l. Nel senso di botro o borrato (altre due parole precise, semispente) si legge non di rado, come esempio dimostra: «I ragazzi allontanatisi dal direttore si misero per un couloir pericolosissimo».

Coulomb: nome di grande fisico francese (1736-1806). In omaggio agli studi di lui su l’elettricità venne dato il nome di coulomb all’unità pratica di misura della quantità di elettricità, nel sistema di misure elettromagnetiche. Un coulomb, secondo la definizione data dalla Camera dei Delegati dei Governi riunita in Chicago nel 1893, la quale aggiunse al nome di coulomb l’appellativo di internazionale, è la quantità di elettricità che si trasmette durante un minuto secondo in un circuito percorso da una corrente uguale ad un ampère internazionale.

Coupage: è parola francese cui risponde identicamente la nostra voce taglio (Coupage, action de couper, c’est-á-dire d’atténuer une liqueur forte par une moin forte. Littré). Eppure in uno dei più reputati giornali ho letto così: «Detto vino si è fabbricato finora con un così detto coupage di vini della Francia meridionale e di Spagna, addizionati di alcool industriale, e in commercio portano il nome di vin viné». Si risponderà: il giornalista è ignorante od ha fretta e quindi traduce come vien viene. Non è buona e persuasiva ragione. La ragione buona è che noi andiamo lentamente obliando le parole precise della lingua nostra. Esse non soccorrono più pronte e facili alla nostra memoria. L’autore, scrivendo questo dizionario, ebbe, per sua soddisfazione, di mira la dimostrazione di questa inutile melanconia letteraria.

Coupé: specie di vettura signorile, chiusa e riparata, a quattro ruote, press’a poco come il brum, e ad un solo sedile. Coupé è anche detto degli scompartimenti nei carrozzoni ferroviari, specie di quelli riservati che essendo dimezzati, hanno un solo sedile. Il Rigutini a questa parola nota: «è tanto tempo che si cerca un equivalente, e non si è ancora trovato: onde, come voce necessaria, la registrai nel mio Vocabolario». Coupé, dicesi anche la parte anteriore delle diligenze.

Couplet: questa viva parola francese risponde letteralmente alla nostra parola morta cobbola o in provenzale cobla, dal latino copula = coppia: cioè una serie di versi accoppiati insieme per una rima, come le serie o lasse monoritmiche delle canzoni di gesta (strofa). Questa parola è d’uso fra noi per indicare la strofetta musicale a riprese e a ritornello, comune specialmente nell’operetta.

Coupon: (da couper tagliare) così è chiamata la cèdola (da caedere tagliare, cfr. cesoie) o il tagliando, come anche si dice, con brutto e inutile vocabolo; la quale si distacca dalle cartelle di rendita per riscuoterne i frutti, da altri titoli di credito. La parola è spesso tradotta in cupone il cui brutto suono offende ogni orecchio educato, sì che, per mio conto, a questo italiano bastardo, dai periodi sconnessi, grevi, difficili; dai vocaboli sesquipedali ed irti di inarmonici suoni, sembra preferibile la sorella lingua francese nella sua agilità e nella grazia con [p. 147 modifica]cui tronca, e sfuma le suo parole. Infìiio trovo coupon usato anche per indicare ciò che in italiano dicesi scampolo.

Coupon d’hotel: cedola d’albergo. Specie di tessera hospitalis, ma che si acquista a contanti presso un’agenzia, e serve all’alloggio e al vitto ne’ vari alberghi per cui si passa, senza avere altra briga.

Courante: specie di ballo francese: l’aria musicale con cui la courante si balla.

Cour des miracles: nome che in Parigi nell’età di mezzo si dava a diverse vie chiuse e quadrivi abitati da cenciosi, mendicanti, gente di mal’affare, etc. Vittore Hugo nel suo romanzo Nostra Signora di Parigi fa rivivere una di codeste Corti de’ miracoli. Talvolta questa locuzione è usata oggi in senso traslato.

Courtier: voce francese: in italiano sensale.

Coûte que coûte: ad ogni costo. Almeno gli italiani pronunciassero bene il modo francese che è come è qui scritto, e non come i più dicono coûte qui coûte!

Coutil: tessuto serrato e forte, di lino ed oggi più spesso di cotone usato specialmente per busti, traverse, tende, uosa, etc. Un tempo i più bei coutils si fabbricavano a Bruxelles, oggi a Mulhouse, Lille, etc. e anche in Italia. La parola coutil deriva dall’antico francese couette, in lat. culcita = materasso. Traliccio.

Couturier: così è chiamato in Parigi, con voce antica cui fu dato nuovo senso, il sarto da donna, l’artista degli abbigliamenti muliebri, l’interprete della bellezza, il mago che trasmuta la donna nell’idolo. L’inglese Worth, stabilitosi a Parigi sotto il secondo impero, e per l’appunto il 1858, fu il primo e più celebrato della serie. | Couturier etimologicamente = cucitore, dal verbo coudre = cucire, dal latino consuere.

Cow-boy: voce inglese formata da cow (vacca) e boy (giovane). Così sono chiamati i pastori degli sterminati armenti che pascolano all’aperto nelle praterie dell’America Settentrionale. Nel domare i cavalli, nella resistenza alle corse disperate, nell’armeggiare e in ogni altra impresa della vita libera o selvaggia hanno gran nome.

Cozza: nome volgare, dato nell’Italia meridionale ad un ben noto e gustoso mollusco bivalve (Mytilus edulis) di conchiglia bruna, liscia, quasi triangolare. Si attacca alle rocce e ai corpi sottomarini mediante un bisso. A Venezia, peoci; in Romagna, pidocchi di mare.

Crachat: dicesi volgarmente in francese di quella specie di croci, decorazioni, placche o altri segni distintivi dei gradi cavallereschi che si fermano sull’abito. Propriamente crachat è da cracher, latino screare = purgarsi tossendo, onde sputo. Come si vede, il primo senso onde fu esteso il vocabolo, ancorchè efficace, non è de’ più graziosi. Parmi vocabolo alquanto in disuso oggidì fra di noi, e questa è la sorte di non poche parole straniere che, dopo breve parabola, muoiono di morte naturale, non certo per effetto di reazione di italianità da parte degli italiani!

Crack: voce inglese, in francese crac, in tedesco krach, etc. La parola è evidentemente onomatopeica ed indica il cadere fragoroso e impreveduto dei solidi. Figuratamente dicesi: «un crack bancario, il crack della casa X***, etc.». Crollo e tracollo son pur voci italiane, e io le ho intese popolarmente usare in senso di ruina, disastro, inatteso e rumoroso. Del resto anche Dante dice:

Non avria pur dall’orlo fatto cricch.

Cráne: letteralmente cranio, κράνιον; nel linguaggio popolare francese = ardito, spavaldo, litigioso; onde le locuzioni avoir l’air crâne, c’est un crâne, etc. Anche questa parola è talora usata da certi nostri scrittori quando si vuole dare speciale garbo al discorso.

Erano belli questi bravi figliuoli gareggianti coi soldati sotto le anni, più giovani e più allenati di loro, non rimanendo indietro mai nelle manovre, e sfilanti con aria marziale e crâne davanti ai loro generali.

Crapaudine: chi direbbe che un pollastrino o un picciono su la gratella sia lo stesso che à la crapaudine? Eppure è la stessa cosa. L’origine della parola non è la più indicata a stuzzicare l’appetito. Crapaud vuol diro rospo: i rospi camminano con lo coscie divaricate: i polli su la graticola si mettono con lo coscie stese e [p. 148 modifica]slogate, e da ciò la locuzione francese, dell’uso nel linguaggio della cucina.

Cravache: frusta corta con manico elegante e staffile di cuoio raddoppiato; usato dai cavallerizzi e nel linguaggio dello Sport. Dicesi che quel cavallo «è alla cravache», il quale, essendo presso alla meta, richiede quest’ultimo sforzo a sferzate (étre á la cravache, locuzione del gergo francese che vale figuratamente étre pressé, activé).

Creazione: è l’atto del creare; ma nel linguaggio della moda, seguendo l’uso di Francia, leggesi ne’ negozi e chiamasi creazione l’abito, il cappello, etc. di nova forma, l’ultima espressione di quell’arte dell’eleganza muliebre di cui Parigi tiene il primato del mondo tuttavia.

Credat Judaeus Apella: «lo creda il (superstizioso) giudeo Apella, non io perchè so che gli Dei menano vita beata, e se la Natura fa qualche portento talora, non sono gli Dei corrucciati a mandare giù i miracoli dal cielo». Orazio, Satire, I, V, 40 e segg.

Credito fondiario: istituto sancito dalla legge 14 giugno 1866 ed esercitato da alcuni Banchi (di Napoli, Cassa di Risparmio di Milano, di Bologna, etc.) che ha per oggetto di prestare, per prima ipoteca sopra beni immobili e sino alla metà del loro valore, somme rimborsabili con amortamento. V. la parola fondiario.

Credo: dicesi per professione di fede. Es. credo naturalista. Ebbene anche questa estensione del Credo (Simbolo degli Apostoli, professione di fede Cristiana) è tolta dal francese: credo = profession de foi, aveu.

Credo quia absurdum: credo perchè è inverosimile, cioè perchè contrario a ragione. Sublime paradosso di S. Agostino in sostegno della fede, la quale non ha nè può aver base razionale.

Cremare, cremazione, crematorio: sono neologismi formati dal latino cremare = bruciare, ardere, detto specialmente dei cadaveri, opposto di inumare, seppellire. Se non ci fosse l’omonimia spiacevole io non troverei di che condannare come fa il Fanfani questi neologismi: del resto l’uso sancisce e i diz. li registrano.

Crémaillère: voce francese d’origine, pare, germanica. Crémaillère significa una speciale via ferrata, per le fortissime salite, e consiste in una terza rotaia in cui calettano i denti di una ruota intermedia del treno. Il Fanfani propone strada ferrata dentata o a denti e dentiera o seghetta la rotaia munita di denti. Si può in fatto di lingua proporre i più bei vocaboli (non è il caso del Fanfani!) e in pari tempo far l’opera più inutile. Anche Platone ha scritto il libro della Republica, e Campanella la Città del Sole! Crémaillère fu tradotta in cremagliera e ne’ manifesti ferroviari si legge ad ingranaggio, che è voce più semplice, più facilmente intesa e meno anfibologica di quelle del Fanfani. Ancora: da crémaillère, che propriamente significa la catena del camino, è formata la frase «appendere la crémaillère» per dire festeggiare la casa nova. Locuzione della nostra gente fine e mondana.

Crème: crema (lat. cremor, liquore denso). Questa parola è usata talora francesemente in vece di rosolio, come crème di rosa, di albicocche, di prugne. Crèm, dicesi di preparati per le mondizie della pelle, dei denti, etc. Crème inoltre significa il fior fiore, la parte eletta (l’eletta), con speciale riguardo all’eleganza e alla mondanità, e traducesi anche goffamente in crema che in buona lingua significa il piatto dolce di uova latte e zucchero rappresi a fuoco lento. In codesto significato molte altre voci straniere adopransi che sono a loro luogo notate, come élite, fine-fleur, high-life, pschutt, etc. Il Rigutini difende la voce crema nel senso di fior fiore della cittadinanza. E nessuno vieta cotesta difesa. Solo si nota che il traslato familiare di crema = fior del latte, al nuovo senso è tolto dal francese, tanto è vero che si pronuncia alla francese.

Creosoto: liquido oleoso incolore, che si ottiene dalla distillazione del catrame del legno di faggio: ha efficacia caustica ed antisettica. (La parola è formata dal greco kréas = carne e sózein = conservare).

Crepapelle: parola usata nella locuzione familiare: ridere a crepapelle. [p. 149 modifica]

Crêpe, Crépon, Crêpe de Chine: crespo, tessuto fine di seta o di lana che serve specialmente per abiti muliebri ed ha per caratteristica la superficie non liscia o rasata, ma mossa e crespa. | Crêpe, usato assolutamente, significa in francese il lutto, la fascia del lutto al braccio o al cappello. | Crêpe, latino crispus, it. crespo.

Crescit eundo: cresce coll’avanzare, motto latino che si dice per lo più in mal senso, di cose che ingrandiscono col loro avanzare. Manifesta corruzione del virgiliano (Eneide, IV, 175) (Fama) viresque acqurit eundo.

Crespìn: nel dialetto meneghino, ventaglio.

Cretonne: e non creton come molti scrivono. Così è chiamata una tela di cotone, stampata o bianca, usata specialmente per camicie. È detta così dal nome dell’inventore, e il più celebre luogo di fabbrica fu Lisieux in Normandia.

Crever les yeux: locuzione francese che significa essere una cosa evidente, che la vedrebbe un cieco, che salta agli occhi. Crever è dal latino crepare, éclater.

Crevette: voce del gergo familiare francese: donna galante; letteralmente granchiolino.

Cria: nome volgare che si dá all’ultimo nato degli uccelli di nido, ed in generale a tutti gli uccelletti nidiaci. | Cria è altresì buona voce nostra che largamente significa la generazione nascente e piccina degli animali; così io intesi dire da un pescatore che certa specie di pesca guasta la cria minuta dei pesci. Il Petrocchi nota cria = piccola anguilla, (in toscano ceca, cecolina) fra le voci morte. Ben strana teoria che certe belle voci e vive, volgari e dialettali, debbano essere dichiarate morte perchè non appartengono alla parlata fiorentina!

Criant: part. fr. del verbo crier, gridare, bandire (cfr. grida = bando). Questa voce è usata metaforicamente, anche presso di noi, in luogo di stridente, urtante, che fa ai pugni, etc.

Cribbi: (lett, cribro, vaglio) esclamazione volgare lombarda in cui per reverenza è storpiato e occultato il nome di Cristo; e similmente dicesi cisto! cristiani!

Cricket: con questa parola inglese noi chiamiamo l’antichissimo giuoco italiano del trucco: voce semi-morta. In questo giuoco le palle si gettano mediante un bastone o maglio ricurvo in fine e terminante con un piccolo anello con cui si raccoglie e scaglia la palla. La quale deve passare in un cerchio di ferro mobile, infisso nel centro del campo. Per le altre norme particolari, vedi J. Gelli, op. cit.

Criminale: da aggettivo divenendo sostantivo, è neologismo (fr. criminel)? Come sost. ha esempi lampanti del Boccaccio. Significa non solo chi è convinto reo, ma chi ha disposizione atavica e fisica al delitto: derivato criminaloide col suffisso oide (gr. eidos, forma, specie) tolto dal linguaggio fisico, che ne attenua e modifica il senso. V. Oide.

Criminaloide: V. Criminale.

Criseoelefantina o criselefantina: detto di statua, antica (ellenica) fatta d’oro le vesti e d’avorio le carni: ἐκ χρυσοῦ καὶ ἐλέφαντος. Tale fu Giove Olimpico di Fidia.

Crispino: familiarmente e per celia dicesi per calzolaio. Crispino e Crispiniano, venerati martiri, 25 ottobre, anno 287, erano di professione calzolai. Da crispus. lat., cioè da’ capelli ricciuti o crespi.

Criterium: così nel linguaggio delle corse sono chiamate le gare de’ polledri e de’ corridori giovani, le quali servono di pronostico per l’avvenire o a giudicai’o del loro valore. | Criterium, così scritto è parola francese dalla forma latina, in italiano criterio (dal greco crino = distinguo, giudico).

Critica: detta dell’età della donna, vedi Età critica.

Critico: nel senso di dubbio, pericoloso, grave, riferito a condizioni, stato morale, politico, ricorda ai puristi pel suo valore estensivo il francese critique, voce propria del linguaggio medico. Conviene essere puristi molto esporti per avvedersene. | Critico nel dialetto milanese (critegh) vale pedante, sofistico, stitico, di difficile contentatura.

Croc-en-jambe (donner un): vi corrisponde sì nel senso proprio come nel figurato il modo italiano dare il gambetto.

Crocevia: è parola dell’uso per [p. 150 modifica]indicare l’incontro di più vie: bivio, trivio, quadrivio, cioè crocìcchio.

Crochet: uncinetto. Eppure dicesi più frequentemente «un lavoro a crochet», che non la voce nostrana.

Crocket: è il nome inglese di un nobile e antico giuoco di palla italiano, detto palla al maglio: voce semispenta. Il giuoco della palla al maglio è affine a quello del trucco. Il campo è diviso da porte ed archetti per cui deve passare la palla, la quale è mossa da una specie di maglio, lungo bastone terminante in un martello di legno.

Crociera: nel linguaggio marinaresco significa una navigazione fatta per un determinato tratto di mare, incrociando per ogni verso. Si usa per guardia, per sorprendere navi nemiche, pirati, merci di contrabbando, etc.

Cronistoria: la serie degli avvenimenti, cioè la storia narrata nella fredda ed oggettiva successione del tempo. (Molti libri di storia, dettati da storici presuntuosi col semplice, gretto e rigido metodo odierno, detto storico, sono semplici cronistorie, non istorie: nella qual parola v’è, come dice pure il nome, il concetto di nesso, trama, da cui arte, umanità, filosofia non possono stare disgiunte.

Crookes (tubi di): nome del fisico Guglielmo Crookes (cruk) di Londra (n. 1832) il quale inventò il radiometro e costruì dei tubi che da lui ebbero nome per istudiare gli effetti delle scariche elettriche attraverso dei gas molto rarefatti. Dal catòdo di un tubo di Crookes partono quei raggi, scoperti dal Roentgen (detti raggi X) che permettono la fotografia dello scheletro e di cose occulte. (V. Radiografia).

Croquette: con questo nome nella cucina francese chiamasi quella frittura di piccola forma rotonda ed oblunga, che suol essere di riso, di carni, di legumi i quali si passano al setaccio, poi nell’uovo sbattuto, si impanano e friggono. La parola polpetta, polpettina non vi corrisponde esattamente, queste essendo di carne e per lo più in umido, quelle di farinacei, fritte e croccanti, onde il nome, giacchè croquette è diminutivo di croquet da croquer = croccare.

Croquis: è il nostro schizzo: ma un noto letterato scrive: «Alcuni croquis di Grévin gli rivelarono l’avvenire». E costoro passano per sostenitori ufficiali dell’italianità!

Crosse (la): così è francesemente chiamato un gagliardo giuoco della palla affine per l’impeto e la violenza al giuoco del calcio (foot-ball). Giuocasi con un bastone a foggia di pastorale, munito di rete (in francese crosse, dal basso latino crocia = pastorale) col quale si spinge e getta la palla). Per le speciali norme V. J. Gelli, op. cit.

Croupier: nel giuoco d’azzardo o di ventura con questa voce francese si indica non colui che tiene banco, ma l’accolito che gli fa da spalla, lo avverte delle carte che passano, sorveglia il giuoco e via via. Nel nobile ritrovo di Montecarlo sono appunto così chiamati gli impiegati che fanno il giuoco per conto della bisca. Il nome deriva da croupe, groppa. La frase être assis en croupe derrière quelqu’un ha dato origine a questa voce.

Croup: termine volgare e scientifico nel tempo stesso, passato dalla Scozia in tutte le lingue per indicare quella nota specie di laringite, quasi sempre difterica, caratterizzata da false membrane o placche su la mucosa. Malattia mortale specie nei bambini, prima della cura del siero specifico contro tale male. Così in Edimburgo la denominò Francis Home nel suo Trattato del croup, 1765. La parola evidentemente si connette al gotico kropjan, = all’inglese croak = gridare, gracidare, gorgogliare.

Croûte: = crosta. Nel linguaggio della pittura croûte in francese significa il quadro vecchio, annerito che par abbia la crosta. Croûte è pure il quadretto di poco valore, abbozzo, schizzo. Anche questa voce bisogna sapere se si vogliono intendere i fogli italiani. Es.: «egli si arrischiò bensì ad esporre diverse sue croûtes al Salone: nessuno lo prese mai sul serio».

Cru: parola francese non frequente, ma pur usata. Cru (letteralmente cresciuta) è il terreno fertile ove cresce qualche prodotto, dal verbo croitre = crescere: onde le locuzioni: Des vins de divers crus, un vin d’un bon cru. [p. 151 modifica]

Crucifige, crucifige eum: Vangelo di S. Giovanni, XIX, V, 6, crocifiggilo, crocifiggilo! grido dogli Ebrei chiedenti a Pilato la morto di Cristo. Usasi come grido di persecuzione e vendetta.

Crumiri: V. Krumiri.

Cuagga: (Equus quagga o Hippotigris quagga). È un equino affino alla Zebra, ma striato solo nella parte anteriore e mediana del corpo e cogli arti privi di striature. Vive nella parte orientale dell’Africa meridionale.

Cubia (occhi di): l’apertura o, meglio, l’insieme delle due aperture circolari di prora da cui escono le catene o le gòmene per le ancore. Lat. excubiae?

Cubicolo: dal latino cubiculum, camera da letto presso i Romani, dal verbo cubare = giacere, dormire. La parola cubicolo si incontra talvolta in libri che trattano di argomento romano.

Cubilot: tipo di alto forno per la fusione della ghisa.

Cuccetta: dim. di cuccia, indica il letto minuscolo, spesso sovrapposto l’uno all’altro, che è nelle cabine de’ bastimenti.

Cucuzzielle: voce dialettale napoletana: le zucchettine. Cfr. cocuzzolo.

Cugino: nello stile di Corte cugino non è solo grado di parentela ma segno grazioso di dimestichezza ed affetto dei sovrani fra loro o verso altrui. I Re di Francia chiamavano nelle loro lettere cousins non solo i principi del sangue, ma i pari, i duchi, i cardinali, etc. Presso la Monarchia Sabauda coloro che sono insigniti del collare dell’Annunziata hanno onorato nome di cugini del Re.

Cui bono?: lat. a che giova? fr. à quoi bon?

Cui prodest scelus, is fecit: commise il delitto quegli cui il delitto fu utile. Seneca, Medea, 500. Sentenza usata nel linguaggio giuridico: vera il più delle volte!

Cul-de-lampe: sgarbata locuzione francese, usata dai librai por indicare che nella fine di alcuni capitoli del libro descritto lo righe della stampa sono in tal modo disposto da formare un Piede, una Base di lampada. | Cul di lampada era anche detta la parte posteriore dogli antichi cannoni ad avancarica.

Cui de sac: via senza uscita, via cieca. Oggi meglio si dice impasse. V. questa voce. I nostri dizionari registrano la parola ronco, strada senza uscita, quasi ritorta e chiusa come una roncola, e la locuzione metaforica esser nel ronco per dire «trovarsi in un ginepraio, in un labirinto». Via del Ronco è altresì il nome di una strada chiusa in Firenze. Ma il vero è che questa buona parola italiana, suggerita pur dai puristi, non ha onore di grande diffusione. La parola cul de sac non è molto bella ma, osserva il Voltaire, la populace les a nommées culs, et les reines ont été obligées de les nommer ainsi. La locuzione francese leggesi anche tradotta in cul di sacco, e non solo è brutta, ma anche impropria chè del sacco dicesi fondo.

Cum grano salis: con un grano di sale, cioè «con un pizzico di buon senso» (Plinio il vecchio, Hist. nat., 28, 8).

Cumquibus o conquibus: motto latino familiare per indicare quei mezzi coi quali (= cum quibus) si fa tutto, anche far rimontare i fiumi alla natia sorgente, cioè coi danari. Quibus = argent. Voce del gergo francese.

Cunctator: indugiatore, temporeggiatore, voce latina spesso usata in buon senso, in senso ironico, per significare chi sa con prudenza destreggiarsi. | Cunctator fu sopra nome dato a Q. F. Massimo che, col temporeggiare, tenne a bada Annibale (Livio 30, 26, 9).

Cuòco: è colui che fa di cucina, non il presente del verbo cuocere che scrivesi cuòcio, noi cociamo, voi cocete, essi cuòciono. Pass, rem., cossi. Cong. pres., che io cuocia, che noi cociamo, cociate, cuòciano.

Curaçao: rosolio preparato con la scorza d’uno speciale arancio (citrus vulgaris), ed è così detto dall’isola di Curaçao nelle Antille ove codesta pianta fiorisce copiosa. Voce olandese.

Cura Kneipp: dal nome dell’abate Sebastiano Kneipp, parroco dì Woorishofen (Baviera) n. 1821, m. 1897, che ne fu rigido ed instancabile propagatore. Consiste in una energica cura idroterapica ed igienica secondo i dettami della fisiologia. Questa cura, se non è il tocca sana di [p. 152 modifica]tutte le infermità, certo è efficace nelle affezioni nervose, nelle malattie del ricambio (polisarcia, diabete, artrite, gotta, etc.) nella alterata crasi sanguigna, e la ragione del beneficio si intende di leggieri ove si pensi che si tratta nulla più che di una dieta naturale e moderatrice degli abusi, confortata dalla scienza. Certe nordiche esagerazioni di questa cura hanno molto contribuita a formarne la rinomanza. Vi sono stabilimenti idroterapici ove si pratica la detta cura.

Curare: veleno vegetale potentissimo, usato dai selvaggi per attossicare le loro frecce.

Curatela: dal francese curatelle (rad. cura) significa nel linguaggio legale l’ufficio del curatore; al modo istesso che da tutore dicesi tutela.

Curèe: (rad. lat. cor, cuore) in termine di caccia è lo sventramento della selvaggina che si dà in parte ai cani, in italiano carneficina, e dalla rabbia dei cani per la preda passò per traslato agli uomini e fu usata in senso figurato. Lo Zola ne fece il titolo d’un suo romanzo. Questa voce francese è talora in uso presso di noi. Es. «La curée era inaugurata; la caccia al Cinese incominciava».

Curia Romana non petit oves sine lana: Dantes exaudit, non dantibus ostia claudit: antico motto formatosi in odio alla Curia romana: la curia romana non chiede gli agnelli senza dimandare anche la lana: chi dà è esaudito, a chi non dà chiude la porta. Questi due versi sono attribuiti a S. Brigida, secolo XIV. È anche un’antica pasquinata.

Curiosare: voce familiare nostra che significa andare qua e là osservando per vedere o scoprire qualcosa.

Cursum consummavi, fìdem servavi: compii la vita; serbai la fede. S. Paolo, Epist., II, ad Timoth., cap. IV, 7. Motto sublimo ed eroico!

Cutter: (cotre) dal verbo inglese to cut che vuol dir tagliare. La chiglia a coltello sì da reggere bene al mare, e l’alberatura [porta un solo albero a crocetta, qualche vela quadra volante, i flocchi e una gran randa] distinguono tale nave dalle altre navi; non la grandezza, giacchè può essere mercantile e da diporto. Suo carattere è la velocità. Un lessicografo propone la voce Tagliatore, ma chi intenderebbe? Si trova e si ode la versione in cottro o còttero. La parola cutter è anche nei dizionari francesi.

Cuvette: diminutivo da cuve, francese; cfr. cupa in latino, coppa e l’aggettivo cupo in italiano: aggettivo bello di suono e di senso, ma un pochino fuor d’uso.

Non è senza ragion l’andare al cupo.

Dante, Inferno.

Cuvette vuol dire bacino, tinozza, semicupio, bagnarola come si dice familiarmente. Cfr. Tub.

Cymbalis: V. in cymbalis.

Czar o Tzar o Zar: titolo dell’autocrate Russo. L’imperatore Alessio Comneno ne avrebbe insignito il principe russo Vladimiro II nel 1115. Il primo ad assumere questo titolo fu Ivano IV nel 1547 dopo che fu scosso il giogo dei Tartari dalla Russia. La etimologia di questa parola è, verosimilmente, da Caesar, V, Kaiser. Czarevic, figlio e Czarevna figlia dello Czar, dai due suffissi slavi evie ed evna, indicanti i rapporti di nato e di nata. Delle tre varie scritture più esatta sarebbe Tzar come più vicina alla grafia russa.