I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento/Della chiesa Cattedrale di Benevento/Degli amboni

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4. Degli amboni

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Della chiesa Cattedrale di Benevento - Delle porte di bronzo Della chiesa Cattedrale di Benevento - Colonna del cereo pasquale
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4. degli amboni.


Sotto le due ultime arcate della nave maggiore, d’ambo i lati dell’arco di trionfo (Tav. LVI), si ammirano due amboni o Fig. 17.pulpiti di squisita fattura, i quali sono tra le cose più pregevoli che abbia la nostra città.

Da qual’epoca essi si trovino situati dove oggi sono non mi è riuscito appurare; ma è indubitato che non vi erano allorchè il coro dei canonici stava, come vedemmo, nella nave di mezzo. Oltre a conservar le tracce di varie modificazioni subite, delle quali ci occuperemo in seguito, oltre al notarvi un collocamento a disagio, con un ripiego che non sfugge a prima giunta, è a por mente che negli atti della S. Visita eseguita alla Metropolitana da [p. 446 modifica]Monsignor Arcivescovo Palombara nel 24 Febbraio 15771 si fa menzione di un sol pulpito, e lo si addita esistente a sinistra del coro nella nave maggiore, cioè di quel coro che fu dismesso dall’Arcivescovo Arigonio2. Il testo è il seguente: «Vidit lectorum marmoreum pulchrum in columnis marmoreis superpositum, existens in nava magna ecclesiae prope chorum a latere sinistro, bene temptum et decenter positum, ad quod ascenditur per schalas de fabrica.»

Non ho mancato di far ricerche maggiori tanto nell’Archivio Metropolitano che nella Biblioteca Capitolare, ma nulla ho trovato di più sul proposito; gli atti delle S. Visite anteriori e posteriori al 1577 o sono inintelligibili per avarie sofferte o sono muti sul riguardo. Intanto nel 1683 Giovanni De Nicastro nel suo Benevento Sacro3 scrisse, parlando del Duomo, quanto appresso: «Viene (questa Cattedrale) grandemente illustrata da due bellissimi ed antichi pergami di bianco finissimo marmo, sostenuti da sei colonne che si appoggiano sopra altrettanti leoni e altri simili animali con bello e nobile lavoro intagliati. I capitelli delle colonne sono degni da osservarsi per essere assai segnalati. Sono questi posti l’uno d’incontro all’altro nei capi della nave di mezzo. Vi sono cinque statuette per uno di rilievo assai insigni della B. Vergine e di diversi santi e sante (!?), e vi si osservano molti ornamenti di mosaico, benchè per l’antichità assai consunto e mancante». Questa descrizione corrisponde esattamente ai due amboni attuali e alla loro giacitura. Dunque a distanza di poco più di un secolo, dal 1577 al 1683, troviamo citati e descritti due amboni invece di uno.

Poichè dagli atti della S. Visita eseguita dal prelodato Arcivescovo Palombara nel 5 Marzo dello stesso anno 1577 alla chiesa basilicale di S. Bartolomeo Apostolo rilevasi che anche in questa esisteva un pulpito, altri trarrebbe la conseguenza che uno dei due esistenti oggi nella cattedrale sia quello che esisteva in S. Bartolomeo; ma non sembra che possa esser vero. Di fatti in [p. 447 modifica]quella S. Visita si legge: «Inde ascendit ad lectorinum existens supra chorum, a latere destro maioris altaris, superpositum in columnis marmoreis, decenter constructum». Ora si rifletta che l’Arcivescovo Palombara, a distanza di pochi giorni, dal 24 Febbraio al 5 Marzo, usa espressioni differenti nel descrivere il primo ed il secondo ambone: dice il primo lectorum marmoreum, ed il secondo con diminuitivo lectorinum, il primo pulchrum, bene temptum et decenter positum, ed il secondo soltanto decenter constructum. Per la qual cosa non puossi ritenere che i due pulpiti abbiano avuta eguale importanza, sieno stati opera del medesimo stile e del medesimo artista; invece è a ritenersi che il secondo sia stato un pergamo comune, o per lo meno non di eguale importanza del primo. Ma che il pulpito di S. Bartolomeo non abbia avuto mai nulla di comune con questi della cattedrale è dimostrato anche dal fatto che quello stava ancora al suo posto nell’anno 1687, mentre Giovanni De Nicastro ci ha fatto sapere che nel 1683 già in quest’ultima ne esistevano due. Di vero negli atti della S. Visita di Orsini dall’anno 1687 al 16884 leggesi: «Il pulpito sta cadente, ed ha bisogno di molto riparamento». Dopo ciò, sembra ozioso intrattenersi più lungamente sul proposito.

Escluso che uno dei due pulpiti attuali del Duomo sia appartenuto alla distrutta basilica di S. Bartolomeo, e assodato che nel 1577, secondo il documento della S. Visita di Palombara, nel Duomo stesso ne esisteva un solo, a sinistra del coro nella nave maggiore, proverò che i due amboni attuali sieno parti dell’unico del 1577. Per fare questa dimostrazione occorre, innanzi tutto, conoscere bene le varie membra dei due attuali con una esatta descrizione, la quale riuscirà più chiara facendo corrispondere le parole ai segni sensibili dello schizzo ostensivo seguente

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Pria di tutto, ecco una descrizione sommaria dei due monumenti. Ciascuno di essi s’innalza sopra sei colonne (Tav. LXII e LXIII), tre davanti e tre di dietro. Queste a lor volta sono rette, in quello di destra da tre leoni sulla facciata anteriore e da tre piedistalli sulla posteriore, e in quello di sinistra da un leone e due grifi sulla prima e tre leoni sulla seconda. Sulle colonne poggia un architrave liscio con cimasa. Su di questa si eleva per tre lati il parapetto, decorato di base e di cimasa. Tre statuette decorano il fronte principale sulla verticale delle colonne, e altre due decorano i soli cantonali del fronte opposto. Tra queste statuette vi sono dei fondati decorati di sculture o di musaici, o di sculture e musaici insieme. Come vedesi, il tipo di questi amboni ha strettissima analogia con quello del Duomo di Ravello; la differenza è solo nei cantonali, giacchè in quest’ultimo vi sono le colonnine e nei nostri le statuette.

Nella descrizione particolareggiata procederò dal basso all’alto, per categorie di parti.

Sostegni — 1, Leonessa di marmo — Testa a livello, rivolta a sinistra, chioma con punte attortigliate, notomìa molto pronunziata, massime delle cosce e delle gambe. Sostiene sul dorso una base attico-lombarda molto schiacciata con foglia ad angolo o protezionale. Per evitare ripetizioni, sappiasi una volta sola per sempre che queste basi in tutti gli esemplari che descriverò sono ricavate dallo stesso masso di marmo della scultura che la sostiene.

2, Leone di marmo — Testa a livello rivolta a sinistra, chioma sfioccata, fiocchi di pelo sul dorso delle cosce e delle gambe. Sostiene una base attico-lombarda a tre tori e meno schiacciata della prima, con foglie protezionali.

3, Leonessa poppante — Uno dei leoncini poppanti vedesi ancora dal lato sinistro, mentre dell’altro son rimaste soltanto le zampe anteriori attaccate alla pancia della leonessa; testa a livello guardante di fronte, notomìa spiccata senza pelo sul dorso delle cosce e delle gambe come al numero 1; chioma sfioccata leggermente senza avvolgimenti alle punte; base attico-ombarda come al numero 1, ma invece di foglia protezionale vi sono scolpite delle tartarughe.

Tutte e tre queste sculture hanno per base uno zoccolo dello stesso marmo lungo met. 0,65, e sono dello stesso stile. [p. 449 modifica]

Tav. LXIII.


Ambone sinistro nella Cattedrale di Benevento

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4, 5, 6, Piedistalli quadrangolari moderni con base, dado e capitello.

13 e 15, Grifi — Il primo più basso e più corto, il secondo più alto e più lungo; il primo ha la barba sotto il mento, come quella delle capre, scendente lungo il petto, il secondo l’ha tronca più simile a quella delle capre; il primo ha le nervature delle gambe appena accennate, il secondo le ha più profondamente scolpite come le falangi dei piedi; in altri termini sono di diversa fattura. Le basi attico-lombarde sono però alquanto simiglianti, ed entrambe hanno degli animali agli angoli invece della foglia di protezione; due volte per ognuna vi è una testa di ariete. Le teste di questi grifi, alquanto levate in alto, si guardano, essendo l’una rivolta a sinistra e l’altra a destra.

Fig. 18.14, Leone — Testa a livello, guardante di fronte, chioma sfioccata con punte attortigliate, peli a fiocchi, con buchi al trapano, sul dorso delle gambe e delle cosce, bocca e dentiera appena accennate, zampe rettangolari, queste e quelle di una tecnica molto elementare e rozza; per cui a prima giunta questo leone apparisce di altro stile dei tre primi descritti.

16, Leone — Testa a livello, volta a sinistra molto allungata, imitante piuttosto quella di un cane, chioma sfioccata, con pelo [p. 452 modifica]sul dorso delle gambe e delle cosce, zampe alquanto perfette. La tecnica generale è diversa da quella dei precedenti leoni. La base attico-lombarda è simile alla 14, ma al posto della foglia protezionale vedesi una testa orecchiuta, alquanto simigliante a quella d’asino.

17, Leone — In tutto identico al 14.

18, Leone — Testa volta all’insù, a destra, con fauci spalancate e lingua rovesciata al di fuori; chioma con punte attortigliate, pelo sul dorso delle gambe e delle cosce, notomia alquanto imperfetta. Sul dorso invece della solita base attica porta una specie di sella, con fascia larga passante per disotto la pancia. Su di questa sella, di un sol pezzo, si eleva una rozza base. Questo leone è di tecnica e stile differenti.

Colonne — 1, Colonna di granito bigio scuro presa da monumenti più antichi.

2, Colonna di marmo bianco con scannellature verticali e a spira, le quali ora son vuote, ma un tempo erano decorate di musaico. Questa colonna è coeva del leone che la sostiene.

3, Colonna identica alla 1.

4, 5 e 6, Colonne moderne lisce di marmo bianco.

13 e 15, Colonne identiche alle 1 e 3.

14, Colonna identica alla 2, meno le scannellature, che sono a zig-zag.

16, Colonna identica alla 2 e 14, ma scannellata ad elica con capitello identico al 2.

17, Id. id. con scannellature a traliccio diagonale (fig. 20), che prima era ripieno a musaico.

18, Id. id. con lavoro a traliccio e cassettoni a croce greca.

Capitelli — 1, 2 e 3, rappresentati rispettivamente dalle figure 17, 18 e 19 (vedi pure Tav. LXII). Dei loro particolari, della eleganza del loro disegno e della loro tecnica accurata è inutile discorrere, bastando i disegni delle sudette figure a dimostrarlo.

14, (fig. 21), 15, 16, 17, (fig. 20) e 18, eleganti come i primi, massimamente il 14 (fig. 21).

Questi otto capitelli sono di un solo stile, e della stessa mano che lavorò le colonne di marmo intagliate e i leoni 1, 2 e 3.

13, (fig. 22) Capitello che si discosta dagli otto precedenti per disegno, per stile e per tecnica. Su di un fregio di foglioline si [p. 453 modifica]eleva, con diametro molto maggiore, una ghirlanda di rosette congiunte da un nastro. Questo festone sostiene otto figure umane, le quali con un piede premono su di esso e con l’altro puntato contro l’opposto del compagno fanno sforzo di tirarsi l’un l’altro, mediante un canape che stringono con una mano, mentre l’altra si tengono stretta l’un l’altro a coppie. Il marmo di questoFig. 19. capitello è pur differente da quello degli altri. Queste figure nane, quasi in caricatura, con grosse teste con una specie di cuffia, con faccioni grossi e tondi burleschi, ricordano sculture anteriori di un secolo almeno agli altri capitelli.

4, 5 e 6, capitelli moderni, a gemme, di marmo bianco.

Architrave e cimasa — L’architrave che poggia sopra i descritti capitelli è piano (Tav. LXII, LXIII, LXIV e LXV), come nel pulpito del Duomo di Ravello. Anticamente questo architrave era decorato con una fascia di musaico, ma ora è soltanto dipinto, forse con lo stesso disegno di quello. Ciò si deve ai restauri, di alcuno dei quali si conserva ricordo nel libro delle spese fatte dall’Arcivescovo Orsini5.

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La cimasa, formata di gola rovescia molto rigonfia, da scambiarsi per un ovolo, e di pianetto, gira per tre lati di ciascun ambone; però la porzione liscia 4-6 alle spalle dell’ambone destro è moderna. L’ornato, con molto rilievo, sulle porzioni antiche è formato avvicendatamente di doppia foglia e di palmetta trilobate con ligamenti fra loro. Solo sul fronte principale 13-15 dell’ambone sinistro si nota di particolare che al posto della palmetta trilobate avvicendatamente con essa vi è scolpito un animale: a partire da 15 vi sono un gallo, un cane, una vacca lattante col suo vitellino, un’upupa, un maiale, un uccelletto beccante, un cigno con testa bassa, quasi bevesse, ed una capra, tutti rivolti verso 15. Agli estremi, sul fronte della rivolta vi è scolpita una faccia umana. È a considerare che, sebbene questa cimasa presenti le descritte sculture di animali, a differenza delle altre, pur tuttavia è della stessa epoca, imperocchè sul laterale 15-16, che è costituito in parte dallo stesso pezzo di pietra che forma l’arcotrave 13-15, non si vedono più questi animali, ma bensì vi è riprodotto lo stesso disegno che nelle altre. Per la qual cosa è a ritenersi che questo sia stato un semplice capriccio dell’artista.

Parapetti — Questi circondano solo tre lati di ciascun ambone, essendovi nel quarto la scala di ascesa ad essi e il riparo dell’ultima colonna della nave. Essi, come si disse, son formati di tre statue sul fronte principale, in corrispondenza delle colonne, e di due fondati; di due statue, in corrispondenza delle colonne d’angolo, e di due fondati sulla faccia apposta; di due fondati sul laterale dell’ambone destro e di un sol fondato sul laterale di quello sinistro.

La base dei parapetti, girante pure sotto le statuette, con cinque facce di un prisma ottagonale, è formata di zoccolo, gola diritta e ovolo. Il primo ha un musaico a elica in un cassettone bislungo circondato di fusarolo liscio. Il quale musaico si riproduce pure in tutti i cassettoni o formelle delle facce dei prismi sotto le statuette. La gola e l’ovolo sono intagliati nello stile romano.

La cimasa è formata di fusarolo intagliato, di piccolo listello liscio, di gola rovescia poco aggettante intagliata con palmette a foglioline quasi filiformi, e di pianetto liscio. Come la base, essa gira anche sulle statuette secondo lo stesso prisma; ma con questa particolarità, che al di sotto presenta un archetto trilobate [p. 455 modifica]

Tav. LXIV.


Fronte principale del parapetto dell’ambone destro nella Cattedrale di Benevento

[p. 457 modifica]a sesto accuto per ogni faccia del prisma con piccolo musaico nel breve timpano. Questi archetti con la superiore cimasa formano una specie di baldacchino di finimento alla statuetta. A ridossoFig. 20. della quale, meno le eccezioni che rileverò a parte, i due bordi estremi verticari sono decorati di una gola diritta ornata nello stile romano.

I fondati, d’ordinario, hanno una fascia liscia in giro, poi una gola e un fusarolo intagliati nello stile romano, poi un’altra fascia liscia nel piano più rientrante, indi una fascia in quadrato o in rettangolo di musaico, e in mezzo di esso per lo più una scultura. Le particolarità di ciascun fondato vedremo separatamente per ognuno.

Fondati dei parapetti — 7 e 12, Questi due fondati (Tav. LXII) hanno qualche cosa di speciale, per cui bisogna occuparsene pria degli altri. Il fondato 7 (Tav. LXIV), oltre alle generalità già fatte conoscere per tutti gli altri, presenta, scolpito in alto rilievo, Cristo in croce, inchiodato con quattro chiodi, uno per ciascun dei piedi e delle mani. Alla testa della croce vi è la solita cartella con le iniziali I. N. R. I, e ai piedi una testa di morto rovescia sulla faccia destra. Un musaico circonda la croce. A fianco, sulla destra, scolpito pure in alto rilievo vedesi [p. 458 modifica]inginocchiato un uomo in abito da frate con chioma lunga inanellata alla base; egli è con le mani giunte in atto di preghiera. Dall’angolo superiore della seconda fascia sin sopra il campo di mezzo della scultura vedesi incisa la seguente iscrizione, in caratteri franco-galli, che do, però, in mancanza di essi, in caratteri latini:

H′. OP′. SCVLPTV. STRX.
SIC. ORDIE
NITV. D′ MO
TEFOTE
NICOL′ H′
GENVFL
EX′.

La quale si traduce:

«Hoc opus sculptum struxit sic ordine coniunctum de Monteforte Nicolaus hic genuflexus».

Donde appare che l’uomo orante, vestito da frate, rappresenti l’autore del monumento. Nè ciò bastando, egli ha scolpito in rilievo sul quadro di sinistra, 12, quest’altra iscrizione, che do pure in caratteri latini:

HOC OP′ EGREGIV
NICOLAV′ GELTE
CECIDIT
VIRGINI′ AD LAVDE
CVI′ TVTAMINE
FIDIT. ANNO.
D. M. CCC. XI.
INDICTOE. X.

Che si legge:

«Hoc opus egregium Nicolaus celte cecidit Virginis ad laudem cuius tutamine fidit. Anno D. M. CCC. XI. Indictione X6».

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Da questa sappiamo anche la data del monumento.

8. Questo fondato invece del musaico ha un facsimile dipinto.

11. Fondato liscio senza riquadri a musaico; invece vi sono delle fasce o bande di musaico messe a caso, senza ordine, e per breve tratto, anzi che per tutta la lunghezza del fondato.

9. Riquadratura di musaico, diritta nei tratti orizzontali, e nei verticali formata di due tratti rettilinei agli estremi e di due a cerchi tangenti nel mezzo. Nel campo vi è un grosso acanto scolpito in alto rilievo con fiori.

10. Riquadratura di musaico formato di fascia semplice nei tratti orizzontali, e di doppia fascia nei verticali; in quest’ultima vi son due cerchi staccati per banda. Campo liscio; che però lascia scorgere esserne stata mandata via la scultura.

19. (Tav. LXIII e LXV). Riquadratura con larga fascia di musaico; nel campo un rosone quadrato in alto rilievo.

20. (Tav. LXIII e LXV). Riquadratura rettangolare di musaico, e nel campo una giarra in alto rilievo con un giglio sbocciato, e un altro giglio rovescio dall’alto non per anco sbucciato. Nella fascia tra il musaico e la scorniciatura vi sono incise queste parole:

AVE. AM. AG. PLEN. DO′. TECV.

che sono l’annunzio che rivolge l’Angelo Gabriele alla Vergine.

21. Riquadratura dipinta riproducente l’antico musaico; nel campo un rosone quadrato in alto rilievo.

22. Riquadratura con fascia di musaico girante a guisa di meandro; rosone tondo ad alto rilievo nel campo.

23 e 24. Una sola lastra di marmo, per eccezione, forma tutto il fondato di un sol piano. Una sola fascia di musaico, divisa verticalmente nel mezzo, forma i due riquadri; nel campo di essi son due rosoni tondi ad alto rilievo.

È a notare che, meno l’ultimo descritto (22-23), tutti gli altri fondati, delle facce laterali 11 e 12 e delle facce postiche 9 e 10, 21 e 22, son formati di due pezzi completi di scorniciatura. Però tra le due scorniciature contigue verticali evvi un sol listello, ossia una fasciolina semplice, vedendosi tagliata quella che si apparteneva ad uno dei due pezzi.

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Statuette — 1. (Tav. LXII e LXIV) S. Bartolomeo Apostolo, come si legge pure sul fronte dell’abaco del baldacchino. Ha nella destra il solito coltello. Questa statuetta è alquanto tozza e di una tecnica alquanto rozza. Le due gole verticali ai lembi della spalliera che fa da nicchio son lisce. I fusaroli intagliati del baldacchino sono più grossi e meno ovali che non sieno in generale gli altri.

2. (Tav. LXII e LXIV). La Madonna col bambino, di stile affatto identica alla precedente. La Madonna tiene nella destra una specie di pomo che offre al bambino, il quale con viso sorridente e chioma inanellata ha nella sinistra un rollo e con la destra scherza con la corona che ha in testa la Madre.

3. (Tav. LXII e LXIV). S. Gennaro. È di stile molto diverso dalle due già descritte. È assai più snella delle due prime statuette, con la testa più piccola, più proporzionata al corpo. Il plinto della base è per i due terzi inferiori più antico, mentre l’altro terzo è ricavato dalla pietra della statuetta.

Saliti al pulpito, alle spalle di questa statuetta vedesi un pilastrino, formato di una pietra a parte. Esso ha base e cimasa decorati identicamente a quelle dei parapetti. Su due fronti presenta le tracce dell’incavo che conteneva il musaico. Sul cantonale che formano queste due facce vedesi incassata una colonnina ad elica, intagliata, come le descritte colonne di sostegno dei pulpiti. È sormontata da una statuetta appena accennata, di cui però ben distinguonsi le vesti e i piedi. È certo che questo pilastrino faceva da cantonale presso la scaletta di ascesa all’ambone, e dove ora trovasi è messo con evidente ripiego.

4. S. Giovanni Evangelista. Di stile identico al S. Bartolomeo e alla Madonna già descritti, 1 e 2.

6. S. Matteo Evangelista. Sebbene un tantino meno tozza, è dello stesso stile di S. Giovanni e di S. Bartolomeo; e, come questo, ha le gole verticali dei bordi della spalliera lisce. Alle spalle di questa statua, a sinistra, evvi una sfettatura, alquanto sporgente (0m.12) dal vivo del fondato 11, la quale fa vedere che un tempo l’attacco doveva esser differente dall’attacco attuale di queste statuette con i fondati del parapetto. Anche il fusarolo e la gola intagliata accennano a questo diverso attacco.

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13. (Tav. LXIII e LXV). S. Pietro. È dello stesso stile di S. Gennaro. Il plinto di questa statuetta (Tav. LXV) manca dellaFig. 21. solita formella con musaico, essendo formato invece di due pezzi soprapposti, dei quali il superiore soltanto è ricavato dalla stessa pietra della statuetta. Egli ha nella destra le solite chiavi.

14. (Tav. LXIII e LXV). L’Angelo Gabriele, rivolto sul fianco sinistro, in atto di fare alla Vergine, che è a sinistra, l’Annunciazione solenne, espressa con le lettere incise sul quadro che li separa. Esso con la sinistra trattiene le vesti e con la destra, ora rotta, accennava alla Vergine.

15. La Vergine. Ella con la destra risponde sorpresa all’annunzio inaspettato, e con la sinistra trattiene un libro, fermato con borchie.

Tanto Ella che l’Angelo sono disegnati, modellati e scolpiti con rara eleganza di stile, per cui appariscono di scalpello diverso da quello che scolpì il S. Gennaro e il S. Pietro. La prima spira dal volto un’aura di verginità e di pudicizia sorprendente; e con le proporzioni e l’atteggiamento della persona e con la fattura e il panneggiamento delle vesti dimostra una grazia tutta particolare. La gola del bordo sinistro della spalliera è liscio.

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16. S. Barbato. È di stile identico alle statue 1, 2, 4, 6. È tozzo; ha sul capo la mitria conica; è vestito alla greca; regge con la sinistra il pastorale sormontato da croce sopra una palla; e benedice alla maniera greca. Le gole dei bordi verticali della spalliera sono lisci.

18. S. Paolo Apostolo. È dello stesso stile della precedente.

Una osservazione ancora per tutte queste statuette. È a notare che nella base delle sei statuette più antiche l’ovolo e intagliato di forma più arrotondata, e la freccia è appena accennata; mentre in quelle delle altre meno antiche l’ovolo termina quasi a punta, e la freccia è spiccatamente lavorata, con gli attacchi al guscio dell’ovolo.

Queste statuette adunque devonsi dividere in tre gruppi, sei nel primo, le 1, 2, 4, 6, 16, 18, due nel secondo, le 3 e 13, e due nel terzo, le 14 e 15.

Abbiamo pur visto che i sostegni delle colonne sono di diversa natura e di diverso stile: i leoni e le lionesse 1, 2 e 3 son di uno stile, i leoni 14 e 17 di un altro, quelli 16 e 18 alquanto differenti ancora, i grifi 13 e 15 diversi tra loro, e di stile differente dai cennati leoni; i piedistalli 4, 5 e 6 son moderni; che delle colonne cinque sono di uno stile, le 2, 14, 16, 17 e 18, quattro son di granito, le 1, 3, 13 e 15, e tre sono moderne, le 4, 5 e 6; che dei capitelli otto sono di uno stile, 1, 2, 3, 14, 15, 16, 17 e 18, uno, il 13, è di stile più antico, tre sono moderni, 4, 5 e 6.

Questa diversità di stili in due amboni, che a prima giunta sembrano di una composizione di getto, lascia già intravedere che questi abbiano avute varie vicende.

Innanzi tutto l’artista che li compose prese del materiale da monumenti simiglianti di epoca anteriore, per lo meno i due grifi e i leoni 14, 16, 17 e 18. Poi sembra abbia prese le sei statuette del primo gruppo 1, 2, 4, 6, 16 e 18 e il capitello 13. Egli, dopo ciò, compose l’opera con i sudetti materiali e con i suoi elementi, dei quali avanzano: tre leoni, 1, 2 e 3; cinque colonne, 2, 14, 16, 17 e 18; otto capitelli, 1, 2, 3, 14, 15, 16, 17 e 18; e quasi tutti parapetti, meno le statuette 3, 13, 14 e 15, e meno pochi pezzi di cornice.

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Tav. LXV.


Fronte principale del parapetto dell’ambone sinistro nella Cattedrale di Benevento

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E che l’autore non abbia fatta l’opera di getto, parmi derivare, oltre che dalla tecnica e dallo stile differenti delle varieFig. 22. membra, anche dal suo dire: «Hoc opus sculptum struxit sic ordine coniunctum de Monteforte Nicolaus hic genuflexus. Dunque egli, paragonando quasi l’opera sua ad altra anteriore, e per volerci tramandare che egli fosse stato, più che un restauratore, il compositore, ma non mai l’autore di tutte le parti di essa, ci ha lasciato inciso sul marmo averla egli composta con quest’ordine.

Ma egli compose due amboni, o un solo, più grande di ciascuno degli altri?

Pria di tutto riflettasi che egli in tutte e due le iscrizioni ci parla di una sola opera in numero singolare: Hoc opus sculptum, ed Hoc opus egregium. Se fossero state due le opere, si sarebbe espresso in plurale. Nè può intendersi che abbia messe quelle iscrizioni una per parte ai due amboni, e che poi in processo di tempo sieno state riunite in un solo; imperocchè esse non sono identiche, nè possono attribuirsi a due amboni isolati, essendovi notizie in una, che mancano nell’altra, essendo, oltre al nome dell’autore, indicata la patria di lui in una, e nell’altra la data dell’opera.

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Sappiamo, di più, che nel 1577 esisteva un solo ambone nella nave maggiore, a sinistra del coro.

Rohault de Fleury7 avvertì che Nicola da Monteforte al 1311 rimaneggiò l’opera, notando solo che vi fosse qualche elemento romanzo, ma non andò oltre. E non vi sarebbe potuto andare, giacchè egli ha scritto forse su di una fotografia, e tenendo presente il Salazaro8.

Tanto è vero ciò che ritiene si tratti di un solo ambone, quello sinistro; e scrive: «celui da Bénévent qui fut rimanié à la fin du XIII (è il XIV invece) siécle, mais dout les lions et les parties inférieures som de l’epoque romane9; e più appresso: Nous avons déja parlé de l’ambon de Bénévent, dout les parties inférieures nous paraissent romanes, mais qui fut restauré plus tard. Les ornaments des parapets, les statuettes qui les décorent, les colonnes ornées de mosaiques, appartiennent à cette seconde époque, on y lit ces inscriptions10», che son quelle da me già descritte. Egli, come vedesi, ha creduto che vi fosse un solo ambone attualmente, e non ha potuto distinguere con molta esattezza come ho distinte io anche le parti dei parapetti non spettanti a Nicola da Monteforte. Tanto meno poi egli, il Rohault de Fleury, ha potuto accorgersi che i due amboni di oggi abbiano un tempo formato un solo, per opera sempre di Nicola da Monteforte. Chi li divise in due non sappiamo; ma con molta probabilità dovette questo avvenire sotto l’Arcivescovato di Arigonio, avendo egli tolto il coro da mezzo alla nave maggiore, come vedemmo, e quindi ritenuto che un solo ambone là in mezzo non fosse cosa più armonizzante. Certamente, se ciò accadde, non fu opera saggia.

Chi fu questo Nicola da Monteforte? Non mi è riuscito sapere. Probabilmente, a giudicar dalla tonaca che veste, fu un frate artista, come se ne ebbero meravigliosi esempii in quel periodo, e più nei secoli anteriori. La patria di lui fu Monteforte; [p. 467 modifica]probabilmente Monteforte Irpino, paese a pochi chilometri da Benevento, e della scuola, se non discepolo, di Nicola da Foggia, autore del pulpito del Duomo di Ravello, anno 127211, che è dello stesso tipo di questi di Benevento.

È degno di nota che nell’anno 1311, cui rimonta l’opera di questo Nicola da Monteforte, era quì Arcivescovo Monaldo Monaldeschi da Orvieto, Minorita12. Ora è facile che egli abbia commessa l’opera a qualche monaco del suo ordine. Questo Arcivescovo è ricordato pure tra quelli che intervennero alla solenne funzione della posa della prima pietra della basilica di S. Maria del Fiore in Firenze13. Si deve giudicare da questo fatto e dall’aver mostrato grande interesse per la cattedrale e per la basilica di S. Bartolomeo in questa città che egli sia stato un uomo molto intendente di arte, e di essa appassionato, poichè il gusto delle opere rivela quasi sempre quello del committente.

Abbiamo visto che al centro del fronte principale dell’ambone sinistro (Tav. LXIV) vi sia una Madonna col bambino, e che questi con la destra scherzi con la corona che è sul capo della Madre. Ora è a sapersi che esiste stretta analogia tra questa Madonna e quella della Cappella della Cintola a Prato, opera di Giovanni da Pisa, figlio di Nicola da Pisa14. La composizione generale del gruppo delle due statue è talmente simigliante, che non si può fare a meno di soffermarvisi un poco; in entrambe il bambino è nello identico atteggiamento, di toccare con la destra la corona in testa alla Madre, e di trattenere nella sinistra un cilindretto. Persino il velo che scende a Lei dalla testa di sotto la corona ha grande analogìa nelle due statue. Soltanto dove in quella di Prato, di Giovanni da Pisa, la mano destra della Madonna è alquanto impacciata e la sua posa un pochetto sforzata15, in questa dell’ambone di Benevento la posa è assai più naturale [p. 468 modifica]e la mano destra meglio disimpegnata. Di fatti la Madonna in quest’ultima, traendo il braccio destro naturalmente di sotto il manto, regge nella mano un pomo, in atto di offerirlo in maniera dolce e vaga al bambino.

Ma non è stato per notare queste diversità di pregi che ho richiamata qui l’attenzione del lettore su queste due statuette, bensì per fargli trarre dal raffronto altre considerazioni di ordine superiore. Questa stretta analogìa tra le due statue deve obbligarci assolutamente a pensare che o l’una sia stata copia dell’altra, o che entrambe sieno state tratte da un altro modello. Ma, nell’un caso o nell’altro, è indubitato che la statuetta dell’ambone di Benevento abbia preceduta quella di Prato. Ho dichiarato estimare che questa statuetta della Madonna dell’ambone sinistro di Benevento sia anteriore a Nicola da Monteforte, sembrandomi che la tecnica di essa sia differente da quella con cui è scolpito il bassorilievo ove è effigiato l’autore. Supponendo però che sia anche opera di lui, sappiamo che sarebbe stata scolpita nell’anno 1311. Ora la Cappella della Cintola a Prato, secondo fa intendere Vasari16, sarebbe stata costruita dopo l’anno 1312, in cui avvenne il furto della Cintola di Nostra Donna, furto che ispirò i Pratesi di far costruire da Giovanni quella Cappella per tenervela più al sicuro.

Essendo dunque la statuetta del nostro ambone anteriore a quella di Prato di Giovanni da Pisa, devesi pensare che o tutti e due gli autori abbiano copiato, o quegli abbia copiato dal nostro Nicola da Monteforte.

Ma in tutti e due i casi è a por mente che vi sia stata stretta relazione tra gli artisti così detti della Scuola Pisana e i nostri, quella relazione che finora mi sembra sia stata troppo trascurata dagli scrittori di cose d’arte. Secondo me la storia dell’arte nostra dai secoli barbari a dopo il mille, fino all’alba del rinascimento, non è stata scritta con molta fedeltà, perchè si son trascurati gli elementi più essenziali, quali furono i prodotti artistici di queste nostre regioni meridionali d’Italia, dove le tradizioni dell’arte (checchè se ne pensi da altri) non si perderono [p. 469 modifica]mai, e dove esiste un corredo di materiali preziosissimi per la storia dell’arte. Se si approfondisse la critica senza preconcetti, si proverebbe che di qua si diffuse il primo albore del risveglio artistico per opera di molti scultori. Basti un Nicola da Foggia, tanto dimenticato dagli scrittori passati, mentre coetaneo di Nicola da Pisa e autore di opere pregevolissime. E Nicola da Pisa fu proprio di Pisa, o non fu, per contrario, della Puglia? Egli che, al dire di Vasari, aveva appresa l’arte dai Greci, non si partì dal litorale Adriatico con i Pisani che vi facevano commercio? La moderna critica ha sollevata vivacemente questa quistione, la quale si collega a tutto un periodo dell’arte. Ma, anche indipendentemente da essa, puossi disconoscere che i prodotti artistici nostri dell’epoca di Nicola e di Giovanni da Pisa sieno indipendenti da essi? Perchè ritenere che solo Nicola da Pisa sia stato il restauratore dell’arte? Credo siasi camminato troppo sulla falsariga, ripetendo centomila volte le affermazioni degli altri. Se questo è un sistema molto comodo, non è quello che si dee seguire da chi vuole scrivere la storia per la verità. Ma vi ha avuto colpa eziandio la mancanza di buone monografie illustrative dei singoli monumenti locali, mancanza che da noi quaggiù sino a poco tempo fa è stata quasi assoluta. Ora sono le monografie locali quelle che forniscono il materiale utile alla storia generale e alla critica. Senza di esse non si fa che della poesia, perchè la storia dell’arte è una catena di cui non deve mancare nessun anello per poter essere tale. E questa Italia sconosciuta, come ben disse Lenormant, costituisce la discontinuità di quella catena. Allorquando essa sarà bene studiata, e la critica ne avrà tenuti presenti i materiali artistici, si dovrà scrivere da capo la storia dell’arte dal secolo VIII° al XIV°.

Non trasando di dire che mi son domandato se alcune parti di questi amboni non sieno state l’opera di artefice non meridionale, stante pure la coincidenza che furono composte sotto l’Arcivescovato di Monaldo dei Monaldeschi di Orvieto, intervenuto, come dissi, alla inaugurazione dell’inizio del tempio di S. Maria del Fiore in Firenze; ma sono stato persuaso del contrario, oltre che da tutte le ragioni di sopra espresse nel corso di questo capo, dal considerare che il tipo di questi due amboni sia [p. 470 modifica]troppo simigliante a quello dell’ambone del Duomo di Ravello, opera di Nicola da Foggia; e che i capitelli che vedonsi in essi abbiano riscontro in altri che vedonsi da noi. Conservo un capitello, regalatomi dall’egregio amico Marchese Onofrio De Simone, che nella parte superiore è identico al capitello della figura 17. Ho voluto aggiungere questo fatto ai tanti altri per provare sempre più che qui da noi valenti artisti sieno stati in quell’epoca, capaci di darci sculture così brave come queste dei due amboni. I cui capitelli, oltre ad una eleganza straordinaria di disegno, sono lavorati con una tecnica perfetta. E il largo panneggiare delle statuette non dimostra un’arte di molto progredita?

A proposito di esse, sento il debito di aggiungere ancora altre osservazioni. Io le distinguei in tre gruppi, mettendone nel primo più antico sei, S. Bartolomeo, la Madonna col bambino, S. Giovanni, S. Matteo, S. Barbato e S. Paolo, due nel secondo, la Vergine della SS. Annunziazione e l’Arcangelo Gabriele e due nel terzo, S. Pietro e S. Gennaro. Le sei prime io penso sieno anteriori a Nicola da Monteforte, notando che il disegno e la tecnica con cui sono condotte sieno differenti dalle sculture del fondato dove è Cristo in croce e l’autore istesso in ginocchio. Per contrario mi sembrano dello stesso stile di quest’ultime la Vergine Annunziata e l’Arcangelo Gabriele. Le ultime due statue sarebbero state scolpite, secondo me, allorquando l’unico ambone della nave maggiore fu scisso in due, perchè altrimenti sarebbero mancate le due statue a completare il numero di dieci bisognevole per l’esatta euritmia.

Mi sono ingegnato di poter intendere quale sia stata la forma dell’unico ambone primitivo e quale quella dell’ambone composto da Nicola da Monteforte, e mi è sembrato poter intuire che la forma primitiva sia stata rettangolare con sei colonne e con le sei statuette più vetuste, e la forma data da Nicola da Monteforte sia stata probabilmente ottagonale, con quattro lati più lunghi e quattro più corti, al quale oggetto sarebbero servite le altre due statuette aggiunte dell’Annunciazione.

Note

  1. Archivio Metropolitano, vol. 13. degli atti della S. Visita di Monsignor Palombara, pag. 19.
  2. Vedi pag. 398 di quest’opera.
  3. Manos. cit. pag. 55.
  4. Vol. I. pag. 34.
  5. Archivio Metropolitano.
  6. Pare che l’indizione sia errata, giacchè in quell’anno si avea la indizione 9, sia facendo io il calcolo, sia tenendo presente il calcolo delle indizioni di Ughelli (Italia Sacra, Tom. X. pag. 671).
  7. Ch. Rohault de Fleury, La Messe, étudus archèologiques sur les Monumentes, Paris V. A. Moret et C. parte , pag. 41 e 55 e Tav. CXCVIII.
  8. Op. cit. del Salazaro, pag. 69, parte I.
  9. Op. cit. pag. 41.
  10. Op. cit. pag. 55.
  11. Salazaro, op. cit. parte I.a pag. 23, Tav. XX.
  12. Sarnelli, Mem. Cronol. ecc. op. cit. pag. 120.
  13. Illustrazione Italiana, Edit. Fratelli Treves, Milano 1887, fascic. 19 pag. 326.
  14. Vedi: Melani Alf. Scultura Italiana, Manuali Hoepli, Milano 1885, pag. 108, fig. 15.
  15. Melani, id. id.
  16. Nella vita di Nicola e di Giovanni da Pisa.