La vendetta d'uno schiavo/Capitolo IX

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Capitolo IX

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Capitolo IX

La bandiera di Diepo-Nigoro

Gli olandesi si sentivano trascinati in una corsa furiosa. I cavalli impauriti, divoravano la via con celerità sorprendente.

Dietro a essi le tigri, facendo balzi di dodici piedi, li inseguivano ruggendo, con gli occhi fiammeggianti e le bocche sanguinose spalancate. Giovanni, ultimo di tutti, col fucile in mano, faceva fatica a rattenere il suo arabo che voleva sorpassare i cavalleggieri, cosa facile per un trottatore della sua forza.

Dopo dieci minuti, già le tigri avevano guadagnato sui cavalli, sicché i soldati dovettero ricominciare il fuoco per tenerle lontane, con poca fortuna però poiché le palle di rado colpivano le belve.

Giovanni, che era sempre l’ultimo, nel momento che avea scaricato il fucile, sentì a breve distanza un alito ardente.

Si volse rapidamente e vide una tigre enorme che stava già per piombare su Gawev. Afferrò rapidamente la pistola, e la scaricò a bruciapelo addosso alla belva, la quale cadde mandando un urlo feroce. Spronò allora il suo arabo, e raggiunse gli olandesi i quali, sempre sparando, continuavano a fuggire.

– Se i cavalli cadono, la è finita per noi – gridò ad un tratto un soldato sentendo il suo destriero tremargli sotto.

– Un ultimo sforzo e giungeremo all’accampamento del generale! – gridò Kabaut.

Disgraziatamente i cavalli, stanchi per la lunga marcia fatta durante il giorno, cominciavano ad ansimare fortemente, mandando dei nitriti soffocati. Solo Gawev pareva appena uscito dalle scuderie.

– Coraggio! – disse Giovanni sparando le sue pistole.

– I cavalli cadono! Non possono resistere! – gridarono i cavalleggieri.

– Cercate di sorreggerli per pochi minuti ancora!

– Coraggio, ancora un ultimo sforzo – gridò Giovanni dominando i ruggiti delle tigri.

I cavalli facevano sforzi disperati, ma erano gli ultimi.

Ad un tratto due della prima fila caddero, facendo pure stramazzare quelli che venivano dietro. Urla di terrore si alzarono fra i soldati che erano caduti in massa.

– A noi! A noi! – gridò Giovanni frenando Gawev per far fronte alle tigri.

Quasi nel medesimo istante, come se la Provvidenza avesse udito quel grido di soccorso, due drappelli di uomini uscirono da un vicino boschetto e accolsero le tigri con una scarica micidiale. Giovanni sentì le palle fischiarsi agli orecchi, e vide le tigri arrestarsi, quindi disperdersi per la prateria.

Volse uno sguardo ai salvatori, e mandò un grido di gioia.

Una colonna composta di cinquanta cacciatori olandesi, muoveva loro incontro. I cavalleggieri che si erano rialzati sani e salvi, mossero assieme a Giovanni verso i loro compatrioti. Quando furono a venti passi, un grido d’allegria sfuggì ai cacciatori:

– Il Cacciator Nero! Il Cacciator Nero!

– Sì, siamo noi – disse Giovanni balzando a terra e stringendo la mano all’ufficiale che comandava la colonna.

– Evviva i cavalleggieri! – gridarono i cacciatori abbracciando i camerati.

Poi tutti uniti, ripresero la via del campo. Mentre si allontanavano da quella pericolosa prateria, Giovanni domandava all’ufficiale notizie del generale, dell’accampamento, e per quale fortunata combinazione i cacciatori si erano trovati colà. Apprese con piacere che Wan Carpellen aveva abbandonato il primo accampamento dopo una vittoria riportata sugl’insorti e che si preparava a marciare contro Diepo-Nigoro alla testa di sei mila uomini.

In quanto ai cacciatori si erano trovati colà per puro caso essendo stati mandati in esplorazione.

Poco dopo essi entrarono nel campo. Alla vista del Cacciator Nero e dei suoi quindici cavalleggieri, numerosi soldati andarono loro incontro mandando grida di gioia.

Udendo quegli evviva fragorosi e non sapendo a cosa attribuirli, il generale uscì dalla tenda e fatti pochi passi si trovò in presenza del Cacciator Nero e de’ suoi quindici cavalleggieri.

– Voi!... – esclamò, stringendo la mano a Giovanni. – Vi credevo già morto o prigioniero.

– No, ma se non siamo morti tutti, abbiamo perduti parecchi camerati, generale – disse Giovanni.

– Dalla guerra non tutti ritornano, – rispose il generale, e lo fece entrare nella tenda, e si fece raccontare tutte le peripezie e tutte le avventure toccate alla piccola colonna.

Quando Giovanni ebbe finito, gli strinse una seconda volta la mano, dicendogli:

– Voi siete un valoroso ed ho piacere che voi siate ritornato, poiché fra poco andremo ad assalire gl’insorti sulle montagne di Kondje, a tre leghe da qui, dove Diepo-Nigoro con ventimila giavanesi ha il suo quartier generale.

– Soli! Eppure si diceva che Diepo-Nigoro aveva quarantamila combattenti.

– Ed è vero, però ha dovuto dividere il suo esercito, per combatter gli altri tre eserciti olandesi che muovono da Samarang, da Tjieribon e da Surabaja – rispose il generale.

– Partiremo questa mattina? – domandò Giovanni levandosi.

– Fra quattro ore; approfittate per riposarvi un po’ – soggiunse il generale salutandolo colla mano. Giovanni uscì, si diresse verso l’estremità occidentale dell’accampamento ove Kabaut e Lu-Ciang avevano rizzata una tenda, e si sdraiò su una coperta, essendo completamente sfinito.

Quattro ore dopo, cioè verso le sei del mattino, le trombe davano il segnale della partenza. Poco dopo i seimila uomini che componevano l’esercito olandese si mettevano in marcia. Giovanni coi suoi quindici cavalleggieri che Wan Carpellen aveva posti sotto i suoi comandi, chiudeva la marcia, seguendo quattro pezzi d’artiglieria che componevano il nerbo dell’esercito. A mezzogiorno, dopo una lunga marcia, gli olandesi giungevano nelle vicinanze delle montagne di Kondje.

Più che montagne erano colline, ma assai dirupate e fiancheggiate da fitti boschi i quali s’arrampicavano fino sulle cime.

Fatto accampare l’esercito fra le piante, il generale con Giovanni ed alcuni ufficiali si recò a spiare le posizioni del nemico.

Gl’insorti si erano accampati su di un vasto altipiano che si trovava fra le montagne.

Di fronte al bosco occupato dagli olandesi, vi erano alcune bande di giavanesi, trincerate dietro alcune palizzate, ma esse non dovevano dare molto fastidio, non costituendo che un posto avanzato pronto a batter la ritirata alle prime fucilate.

Il grosso invece si trovava sull’altipiano, difeso pure da numerose trincee formate di terra battuta, da palizzate e da parecchie spingarde e racchette.

Il generale indicò a Giovanni un picco, o meglio una roccia alquanto elevata, che distava duecento metri dal campo giavanese, dicendogli:

– Voi, coi vostri cavalleggieri salirete su quel poggio e di là aprirete un nutrito fuoco sui giavanesi, fingendo di minacciarli alle spalle.

– E se il nemico ci attacca? – domandò Giovanni.

– Resisterete finché potrete.

– Vi obbedisco – rispose Giovanni.

Tornati al campo, il generale fece dividere l’esercito in tre colonne, prendendo il comando di quella di mezzo, affidando le due ali a due bravi capitani, poi diede il comando dell’attacco.

Non erano ancora usciti dal bosco, quando si udirono i sardoug giavanesi.

– Ci hanno scorti – disse il generale. – Avanti.

Gli olandesi proseguirono la marcia, e poco dopo sbucarono a duecento metri dai primi trinceramenti.

I giavanesi si erano preparati a riceverli.

I mille uomini che formavano il corpo avanzato, si erano schierati dietro le trincee, mentre nell’accampamento di Nigoro gl’insorti, ordinatisi in linea di battaglia e divisi in sette colonne, si tenevano pronti a ribattere l’attacco.

Il generale Wan Carpellen abbracciò d’un sol colpo d’occhio quei preparativi e ordinò di procedere senz’altro all’assalto del posto avanzato. Gli olandesi giunti a duecento passi dalle trincee aprirono un fuoco vivissimo.

I mille giavanesi scaricarono le loro armi al grido di viva Nigoro, poi, come lo aveva previsto il generale, si diedero alla fuga su per le montagne, raggiungendo il grosso dell’esercito.

Gli olandesi, entrati nella trincea, sostarono alcuni minuti, poi riordinatisi mossero arditamente all’assalto dell’accampamento.

Mentre si arrampicavano su per la montagna, i giavanesi si spiegavano dietro le trincee e sulle vette, occupandole tutte.

A metà via, Giovanni si staccò dal corpo principale e seguito dai quindici cavalleggieri, da Kabaut e dal cinese, andò a occupare il picco.

Gli olandesi erano già giunti a mezza via, quando la montagna si coronò di un’immensa striscia di fuoco, ed un uragano di palle si rovesciò sugli olandesi, uccidendone parecchi.

Gli assalitori subito risposero vigorosamente e si slanciarono su pei pendii mandando formidabili urràh.

La pugna era cominciata. D’ambe le parti, le fucilate rimbombavano con gran fracasso, portando ovunque la morte.

Il fuoco dei giavanesi era così vivo, che mieteva colonne intere di olandesi. Giovanni, guadagnato il picco, aveva preso subito posizione aprendo il fuoco, però ben presto un centinaio di giavanesi diressero colà i loro colpi, decimando rapidamente il piccolo drappello.

In quel momento le truppe di Wan Carpellen giungevano ai piedi delle trincee. S’impegnò una lotta terribile all’arma bianca, mentre l’artiglieria vomitava torrenti di mitraglia. Malgrado il loro valore, i bianchi furono respinti con grandi perdite. Diepo-Nigoro comandava in persona, e la sua presenza bastava per rendere coraggiosi i suoi uomini.

Nel mentre che gli olandesi venivano respinti, alcune migliaia di giavanesi uscirono dalle trincee tentando d’inseguirli, però poche scariche dell’artiglieria bastarono a sbaragliarli.

Il generale Wan Carpellen fece suonare l’attacco e, alla testa delle sue truppe, assalì nuovamente le trincee al grido di: – Viva l’Olanda!

L’assalto fu vigoroso, ma la posizione sfavorevole degli olandesi fu la causa principale della loro perdita. Nel momento che salivano sulle trincee, una scarica terribile, sparata a bruciapelo, li accolse, disorganizzando le loro colonne.

Quasi nel medesimo istante, enormi massi furono precipitati su loro, facendo ampia strage. Invano il generale cercò condurre nuovamente all’attacco le sue truppe.

Respinti, schiacciati da quelle masse e dal fuoco dei nemici, e già decimati, gli olandesi discesero la montagna dandosi a disperata fuga. Giovanni, rimasto solo, avendo perduto tutti i suoi uomini, vedendo che ormai la giornata era perduta, abbandonò il picco e scese in un vallone dove aveva lasciato Gawev.

I giavanesi pur seguitando a tempestare i nemici, erano già scesi dalle montagne, ed avevano cominciato l’inseguimento, era quindi necessario prendere il largo per non cadere nelle loro mani.

I bianchi, divisisi in vari drappelli, si erano dispersi per le foreste, fuggendo a precipizio.

Giovanni, giunto al piano, lanciò il suo cavallo al galoppo, senza sapere ove andasse.

Prima però di cacciarsi nella foresta, si volse e guardò la montagna seminata di cadaveri.

Sul picco ove erano rimasti i quindici olandesi con Kabaut e Lu-Ciang, vide sventolare una bandiera bianca fregiata in oro. Quel vessillo che ondeggiava sui cadaveri dei suoi compagni, era la bandiera di Diepo-Nigoro!