La vendetta d'uno schiavo/Capitolo X

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Capitolo X

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Capitolo X

Il passaggio del Solo

La notte era oscura e profonda. Giovanni, cavalcando il suo Gawev, galoppava attraverso una vasta pianura, solo, abbandonato, cercando di raggiungere qualche colonna olandese per dirigersi su qualche città amica o per ricongiungersi col generale Wan Carpellen.

A mezzanotte, essendo stanco, legò il suo cavallo a un albero, caricò il fucile, stese la sua coperta accanto all’arabo e si addormentò. La notte passò tranquilla, e al mattino riprese la via dirigendosi verso il sud.

Galoppava da due ore, quando vide in lontananza risplendere le baionette di alcuni soldati.

– In mezz’ora spero di raggiungerli – mormorò egli, cacciando gli sproni nel ventre del suo cavallo. Gawev mandò un nitrito di dolore, e raddoppiò la corsa, inoltrandosi in un’ampia vallata.

Raggiunta un’altura, di là poté distinguere il drappello che lo precedeva. Era composto di circa duecento uomini, senza ufficiali.

Spronò nuovamente Gawev e poco dopo giunse così vicino alla retroguardia, che i soldati che la componevano si volsero puntando i fucili, e gridando:

– Chi vive?

– Olanda, – gridò Giovanni, appressandosi.

– Il Cacciator Nero! – esclamarono in coro quei soldati.

– Sì, amici – rispose Giovanni.

I duecento olandesi si erano fermati. Essi fecero una festosa accoglienza a Giovanni e sapendolo valente e coraggioso, lì per lì lo nominarono loro capo.

– Dove vi recavate? – chiese ai soldati.

– Verso Samarang – risposero.

– Sarà libera la via?

– Avremo forse da combattere – disse un caporale.

– Se siete pronti ad affrontare il nemico, andiamo a Samarang – disse Giovanni. – Oggi ci riposeremo qui e domani continueremo la ritirata.

– E prepariamo dei ripari, poiché minaccia un uragano – disse un soldato. – Temo che passeremo una cattiva notte.

Infatti il cielo si oscurava a vista d’occhio e l’aria era diventata umidissima. Il vento cominciava già a ruggire nella boscaglia. Dopo cena i soldati si cacciarono sotto i ripari improvvisati con frasche e foglie, mentre che le sentinelle, avvolgendosi nei loro mantelli, si rannicchiavano sotto le sporgenze di qualche roccia. Due ore dopo alcuni bagliori rapidi e dei tuoni lontani li avvertirono che l’uragano s’avanzava rapido.

I soldati, svegliatisi, cercarono di assicurare alla meglio i loro ricoveri non ignorando che gli uragani di Giava sono di una violenza terribile. In nessun luogo come in quest’isola i lampi sono così vivi, e l’acqua cade in così tanta abbondanza.

A mezzanotte, il vento cominciò a ruggire nelle selve, mentre lampi lividi balenavano rapidamente. I cavalli addossati gli uni sugli altri nitrivano sordamente.

Poco dopo i tuoni rombavano, mentre le folgori squarciavano il cielo dall’est all’ovest, fendendo le nubi nere e orlate di frange di rame. Quasi subito un vento formidabile cominciò a soffiare, atterrando tutto ciò che trovava. Capanne, tende, uomini e cavalli furono alla rinfusa. Passarono alcuni secondi, poi i tuoni ed i fulmini ricominciarono con indescrivibile violenza. Il cielo pareva in fiamme, ed i tuoni erano così assordanti da eguagliare lo scoppio simultaneo di cento pezzi d’artiglieria.

In breve la pioggia cadde a rovesci, un vero diluvio. Gli uomini addossati ai cavalli che mandavano nitriti soffocati, si lasciavano inondare, non essendovi più i ripari, ormai schiantati dal ventaccio.

Tutta la notte gli olandesi rimasero esposti alla pioggia ed al vento, però verso le quattro del mattino l’uragano a poco a poco cessò.

L’indomani gli olandesi, divisi in tre drappelli, riprendevano il faticoso cammino inoltrandosi in un folto bosco, dove il terreno era assai paludoso. Durante tutta la giornata soldati e cavalli camminarono in mezzo a stagni fangosi, coll’acqua sino alle ginocchia. Parecchie volte i cavalleggieri dovettero pigliarsi in groppa i cacciatori, essendo l’acqua troppo alta. Alcune volte essi videro dei lunghi sauriani, enormi coccodrilli che mostravano le loro lunghe mascelle fuor dall’acqua, e le chiudevano con un rumore secco che faceva rabbrividire i più coraggiosi.

– La presenza di questi mostri indica le vicinanze d’un fiume – disse Giovanni volgendosi verso un sergente.

– Non dobbiamo essere lontani dal Solo – rispose questi scaricando il suo fucile contro un coccodrillo.

– Finché si tratta di sauriani, meno male.

– Hanno però tali denti da divorarci tutti – disse l’aiutante indicando un secondo coccodrillo.

– I giavanesi sono più da temersi.

– Per mio conto non li temo.

– I coccodrilli si possono fugare con alcune fucilate, mentre i giavanesi no.

– Peuh! Gente di colore – disse il sergente con disprezzo.

– Ah! Vi siete dimenticato della sconfitta di Kondje?

– Lasciate queste cose! – esclamò il sergente guardandolo in cagnesco.

Giovanni lasciò cadere il discorso e spronò il cavallo.

La marcia continuò fra le paludi e verso sera la colonna accampava in mezzo a vasti stagni d’acqua putrida.

Fu impossibile rizzare dei ricoveri. Per buona fortuna vi erano numerosi alberi, e i soldati fecero colle loro coperte delle amache che attaccarono ai rami. Otto uomini furono lasciati abbasso, per sorvegliare i cavalli.

Durante la notte, le sentinelle scaricarono a più riprese i fucili su alcuni coccodrilli che cercavano avvicinarsi di nascosto.

Al mattino, verso le dieci la colonna giunse sulle rive del Solo. Il fiume scorreva rapidamente fra le due rive troppo ristrette, trascinando seco un gran numero di alberi e di rami. In quel luogo non aveva che quaranta metri di larghezza.

Sulla riva opposta si estendeva una vasta prateria circondata da boschi. Giovanni fece cercare un guado, e trovatolo a poca distanza, ordinò che i cavalleggieri si prendessero in groppa i cacciatori e che si incominciasse il passaggio.

Messosi alla testa della colonna, cacciò gli sproni nel ventre di Gawev, e si slanciò nel fiume. Tutti i cavalleggieri lo seguirono nel più profondo silenzio. La corrente era assai forte, però i cavalli guidati dall’arabo fendevano arditamente le onde, le quali si frangevano sui loro fianchi. I cavalleggieri li sostenevano colla briglia e collo sprone, guidandoli verso la riva opposta. Per alcuni minuti essi lottarono contro la violenza della corrente, poi si avvicinarono lentamente a una riva e presero terra sani e salvi. I cavalleggieri misero sulla riva i cacciatori, e già stavano per prender terra alla loro volta, quando il grido di guerra dei giavanesi risuonò fra i boschi che circondavano la prateria.

Poco dopo parecchie bande d’insorti si slanciavano addosso agli olandesi stupefatti.

– Formate un quadrato e fuoco! – urlò Giovanni.

Gli olandesi obbedirono rapidamente.

I giavanesi piombarono come un uragano sui bianchi, i quali li ricevettero con un vivo fuoco. La prima colonna giavanese si disperse per la pianura cacciando alte grida; la seconda e la terza, ingrossate di altri cento, si rovesciarono sugli olandesi.

– Avanti! Avanti! – ordinò Giovanni mettendosi alla testa dei cavalleggieri e rompendo il quadrato.

Questi formarono un ampio semicerchio sostenuti dal fuoco dei cacciatori, e si slanciarono sui nemici. A dieci passi di distanza dai giavanesi fecero fuoco, poi diedero mano alle pistole e alle sciabole. I giavanesi li aspettarono a piè fermo e scaricarono i loro fucili, atterrando parecchi nemici.

I cavalleggieri, malgrado quelle perdite, ritornarono alla carica al grido di: – Olanda! Olanda!

Poco dopo però, sopraffatti dal numero degli assalitori, si ripiegarono.

– Avanti! – urlò Giovanni.

In quel mentre i cacciatori, che avevano visto i cavalleggieri a indietreggiare, caricarono i nemici colla baionetta, e in due ripetuti assalti li fugarono. Cavalleggieri e cacciatori si diedero a inseguirli furiosamente, ma quasi subito, dalle foreste circostanti, partì una viva fucilata, e altri cinquecento giavanesi si precipitarono all’assalto.

Gli olandesi, impotenti a far fronte a tanti nemici, batterono la ritirata lasciando una quarantina di cadaveri, e si ripiegarono sul fiume.

Sull’altra riva però, una seconda colonna d’insorti, spazzava il Solo con furiose scariche.

– Il quadrato! Il quadrato – gridò Giovanni.

E per la terza volta il drappello olandese, ridotto ormai a soli centocinquanta uomini, formò il quadrato.

Alcuni istanti dopo i giavanesi giungevano in massa attaccandolo da tutte le parti.

Gli spari dei fucili rimbombavano dovunque. Per ben tre volte i giavanesi furono respinti, però il quadrato si restringeva sempre, diventando più piccolo.

– Rompiamo la catena – gridò Giovanni, e mettendosi alla testa di centoventi cavalleggieri, gli unici superstiti, si slanciò sui giavanesi, ruppe le loro file, indi si slanciò nel fiume, passando sotto il fuoco incrociato dei nemici. Ogni tanto uomini e cavalli sparivano nelle onde del fiume, in mezzo a un cerchio di sangue. Giovanni però, guidando sempre i cavalleggieri, giunse pel primo sulla riva opposta e seguito da pochi. I giavanesi tornarono alla carica, ma tre salve di moschetteria bastarono per sbaragliarli.

– Siamo salvi, – gridò Giovanni.

– Non ancora – disse un sergente a Giovanni, indicando una colonna d’insorti, la quale aveva passato il fiume cento passi più sopra.

– Siamo perduti! – esclamarono gli olandesi.

– Avanti! – gridò Giovanni.

– Vi sono i nemici nascosti dietro gli argini! – gridarono i cavalleggieri.

– No, avanti! – gridò Giovanni mettendosi alla testa della colonna.

Gli olandesi in numero di sessanta lo seguirono, a malincuore però. Quando furono a dieci passi dall’argine, una terribile fucilata li accolse, gettando metà di loro a terra. Nei canneti, immersi nell’acqua fino alla cintura, si tenevano imboscati numerosi insorti.

– Indietro! – urlò Giovanni, mentre gli olandesi furenti, lo guardavano sospettosamente.

– Che cosa volete fare? – domandarono parecchi soldati coi denti stretti.

Giovanni capì che quel passo falso che gli era costato metà dei suoi uomini, aveva resi furibondi i superstiti. Però egli, senza perdersi d’animo, gridò:

– Formate un cerchio, uccidete i cavalli, e difendiamoci come meglio potremo, vendendo care le nostre vite.

Gli olandesi esitarono per alcuni istanti, guardando Giovanni sospettosamente, poi condussero i loro cavalli in giro, balzarono a terra, e li uccisero.

Ciò fatto si rannicchiarono dietro quelle barriere di carne ancora palpitante, coi fucili in mano. Due minuti dopo un drappello di giavanesi si mostrò, ma due scariche di moschetteria bastarono a metterli in fuga. Quella vittoria degli olandesi fu di breve durata. Mille giavanesi si erano riuniti e marciavano all’assalto di quella barriera.

– Per noi la è finita! – disse Giovanni scaricando il suo fucile e sguainando il kriss.

Gli olandesi scaricarono pure i loro fucili, indi riunitisi in gruppo, trassero le pistole al grido di:

– Viva l’Olanda!

– Viva la Catalogna! – tuonò Giovanni.

Udendo quel grido, gli olandesi mandarono un sordo mormorìo, poi uno di loro, volgendosi verso il Cacciator Nero, disse:

– Ah! Sei catalano! Ecco il perché ci mandi al fuoco come fossimo banditi! Ci hai condotto qui per farci assassinare!

– Io? – disse Giovanni rizzandosi fieramente.

– Traditore! – gridarono gli olandesi, non pensando al nemico che correva su di loro.

Un lampo d’ira balenò negli occhi di Giovanni.

– Ah! È così che mi trattate! – esclamò.

– Miserabile! – gridò un olandese, lanciandosi su di lui col kriss.

Giovanni fe’ un balzo indietro, mentre le palle nemiche piovevano da ogni parte.

– Ah! Olanda! È così che tratti gli stranieri accorsi in tua difesa? – esclamò, con indignazione.

Indi, terribile, colla faccia contratta, si avventò sugli olandesi. Già stavano per battersi quando i giavanesi piombarono su loro. Con una scarica atterrarono otto olandesi, poi rovesciatisi sugli altri, dopo pochi istanti di lotta li facevano tutti prigionieri.