La vendetta d'uno schiavo/Capitolo XII

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Capitolo XII

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Capitolo XII

Il capo dell’insurrezione giavanese

Alcuni minuti dopo, la truppa dei giavanesi, trascinando seco i prigionieri, giungeva al campo di Diepo-Nigoro.

Esso era difeso all’ingiro da una vasta trincea, formata di pali alti un metro, poi dietro a questa, ve n’era una più alta, e fra queste due, erano stati ammucchiati grossi macigni. Su quelle trincee si vedevano qua e là alcune spingarde, e alcune racchette, senza dubbio prese agli olandesi. Appena entrati nel campo, uno spettacolo imponente e maestoso si offerse agli occhi dei prigionieri.

Giammai tanto ordine si poteva supporre di trovare in un campo d’insorti.

Al centro del vasto accampamento, che conteneva trentamila uomini, si rizzava la grande e vasta tenda di Diepo-Nigoro. Essa aveva la forma di un immenso cono alto sei metri e largo dieci, tutta in seta a diversi colori, adorna di fiocchi. Alla sommità sventolava la bandiera del sultano di Djokio-Karta.

Attorno alla vasta tenda del capo dell’insurrezione giavanese vi erano altre tende minori, ma fatte allo stesso modo e della stessa stoffa, le quali servivano d’asilo ai sottocapi.

Poi, disposte su quattordici linee, altre tende di tela grossolana, impenetrabili alla pioggia e che servivano ai guerrieri. Alle estremità di quelle immense linee, altre tende di seta si rizzavano, ornate di penne e di code di cavallo e destinate ad altri capi inferiori.

Quando la colonna giavanese entrò nel campo, un numero infinito d’insorti corsero, e appena videro che accompagnavano dei prigionieri, un immenso grido di gioia echeggiò dovunque.

– I bianchi! I prigionieri! – urlavano tutti, brandendo ferocemente le armi.

– Largo! – tuonò il capo.

– A morte! A morte! – gridavano invece tutti affollandosi attorno ai prigionieri e indirizzando loro minaccie e imprecazioni.

Giovanni, fiero e sdegnoso, marciava alla testa dei prigionieri, col sorriso sulle labbra. Quel sorriso sprezzante eccitava maggiormente il furore dei giavanesi, i quali cercavano di rompere il cerchio formato dai guerrieri del capo, urlando:

– Al palo i bianchi!

– A morte!

Il capo tentava di trattenere la moltitudine che cresceva sempre, senza però riuscirvi.

Visto che stava per esser sopraffatto, con voce tuonante gridò:

– Largo, essi devono esser condotti da Nigoro! Largo! – E unendo le minaccie alle parole, si diè a percuotere colla sua lancia i più vicini.

Udendo pronunciare il nome di Nigoro, che era l’idolo dei giavanesi, essi fecero largo; così il capo poté condurre Giovanni ed i cinque olandesi in una vasta tenda, sede di un capo, facendola circondare da centoventi dei suoi. Raccomandò loro che vegliassero attentamente, e s’incamminò verso la tenda del capo dell’insurrezione giavanese.

Mentre si allontanava, un numero enorme d’insorti aveva circondata la tenda, insultando, mostrando i loro kriss e le loro lancie ed urlando a squarciagola:

– A morte i bianchi! A morte gli olandesi!

Giovanni non perdeva però il suo sangue freddo, né la sua calma.

Gli olandesi invece sembravano atterriti e si stringevano gli uni addosso agli altri, temendo da un istante all’altro di venire fatti a pezzi da quella folla furibonda.

Di tratto in tratto si volgevano verso Giovanni, e guardandolo cogli occhi ripieni di odio, digrignavano i denti, mormorando:

– È per lui che siamo qui!

Ma Giovanni immerso nei suoi pensieri non li udiva, e guardava distrattamente i guerrieri che aumentavano sempre.

Dopo mezz’ora, il capo dalle due penne bianche ritornò. Egli intimò il silenzio a coloro che insultavano i prigionieri, e introdottosi nella tenda, disse a Giovanni e ai cinque olandesi, che lo seguissero da Diepo-Nigoro.

I sei prigionieri si levarono in silenzio, e lo seguirono, scortati sempre da centoventi giavanesi e seguiti da una folla enorme di guerrieri, i quali continuavano a imprecare e a gridare, promettendo loro i più orribili supplizi. Il capo li fece passare in mezzo a degli immensi fasci di armi, e ad un numero infinito di tende, aprendosi faticosamente il passo fra le bande degl’insorti. Dieci minuti dopo i prigionieri venivano introdotti nella vasta tenda di Diepo-Nigoro.

La dimora del capo dell’insurrezione era divisa in tre scompartimenti da tende di seta azzurra. Il mobilio consisteva in poche seggiole cinesi e giavanesi, fatte di bambù lavorato e dorate, ed un qualche tavolo.

Abbondavano invece le armi.

Giovanni vide una diecina di fucili di nuovo modello, delle splendide carabine olandesi, col calcio però incrostato d’argento, di madreperle e di pietre preziose, ed un gran numero di lancie, di sciabole e di kriss. Le une avevano le aste incrostate di madreperla, e le sciabole l’impugnatura dorata e abbellita da perle di Ceylan. I kriss, tutti bruniti, provenivano da Borneo, isola famosa per la fabbricazione di questi pugnali. Erano di una tempra finissima, di color bruno scuro, e che lasciavano vedere le vene del metallo; i loro manichi erano indorati e smaltati di perle e di pietre preziose.

Trascorsero cinque minuti e Nigoro non compariva ancora.

Giovanni che avea visitate le armi, cominciava ad impazientirsi, quando, ad un tratto, una tenda si alzò lentamente e il gran capo giavanese apparve.

Diepo-Nigoro, reggente del sultano di Djokio-Karta, poteva avere trent’anni.

Era alto di statura, ben proporzionato e dotato di forza poco comune. Era uno dei più bei tipi della razza giavanese, però la sua faccia, invece d’esser di color olivastro, era leggermente abbronzata come quella degli spagnuoli e dei portoghesi. Aveva due grandi occhi neri, dolci, quasi melanconici; il suo profilo ardito era perfetto; le labbra sottili, indizio d’un’energia e un coraggio a tutta prova.

Al pari dei suoi compatrioti portava capelli lunghi, cadenti sulle spalle, e una piccola barba gli cresceva sul mento.

Splendide e bizzarre erano le sue vesti.

Sul capo portava un ampio cappello di feltro, avvolto in un turbante di seta bianca, che gli pendeva sugli omeri. Una ricca casacca di seta azzurra, e adorna di pizzi bianchi, stretta da una cintura dorata, smaltata di diamanti, con bottoni d’argento, gli stringeva il corpo.

I pantaloni erano di velluto giallo, con pizzi e bottoni, e gli stivali altissimi, di pelle gialla, con speroni d’argento. Alla cintura poi, portava l’inseparabile kriss, un’arma superba, degna d’un re.

La lama, di acciaio brunito, che lasciava vedere le vene del metallo, era lunga un piede e mezzo, e larga dodici centimetri. Il manico era d’oro, ma cesellato con meravigliosa pazienza, e smaltato di diamanti grossi come nocciuole, di perle di Ceylan, di zaffiri e di topazi.

Diepo-Nigoro, appena entrato, diede uno sguardo ai sei prigionieri, poi si avvicinò lentamente a loro, e indirizzandosi a Giovanni, con voce dolce e lenta, chiese:

– Chi è di voi il capo?

– Io, – rispose Giovanni, facendosi innanzi.

Nigoro lo guardò con una certa curiosità, poi volgendosi verso i cinque olandesi e sforzandosi di dar alla sua voce un tono severo, chiese:

– A qual reggimento appartenete?

– A quello del generale Wan Carpellen, – rispose uno di essi.

– Ah! – fe’ Nigoro – Quello che ruppi a Kondje.

Gli olandesi non risposero, ma si morsero le labbra.

– Perché combattere contro di noi, che altro non desideriamo se non l’indipendenza della nostra isola?

– Siamo bianchi e di più olandesi, – disse uno dei cinque soldati. – Era nostro diritto soffocare la rivolta, essendo voi un popolo a noi sottomesso.

Un lampo d’ira balenò negli occhi di Nigoro. Stette per alcuni istanti silenzioso, poi continuò:

– Sapete ciò che vi aspetta?

– La morte, – dissero fieramente gli olandesi.

– E non la temete?

– Mai!

– Se voleste, potreste però salvarvi.

– In quale modo? – domandarono gli olandesi.

– Ditemi ove posso sorprendere i vostri compatriotti, ed io vi lascio liberi.

– Mai! – gridarono a una voce i cinque olandesi, con indignazione.

– Ho cercato salvarvi con una proposta, sia pure anche indegna di voi. Ora non aspettatevi che la morte.

– Noi non abbiamo paura.

– Ah! – disse Nigoro, scuotendo il capo. – Se io avessi un esercito disciplinato, e fossi certo che, salvandovi, non mi si ribellerebbe, per la vostra risposta, vi lascierei liberi. Ma che volete? I vostri uccidono i giavanesi che cadono nelle loro mani, ed io sono obbligato a fare altrettanto.

– Lo sappiamo; è diritto di guerra, – dissero gli olandesi sordamente.

– Però avete ancora qualche speranza.

– Purché non si tratti di tradimenti, – l’interruppe un olandese.

– No, – disse Nigoro. – Vi propongo di farvi tradurre nell’aloun-aloun. Sarete costretti a lottare contro una tigre o contro il toro; se riuscite a uccidere l’una o l’altro, a vostra scelta, sarete liberi di tornarvene al vostro campo.

– Accettiamo, – dissero gli olandesi.

– Ritornate nella vostra tenda, – disse Nigoro.

Chiamò con un fischio uno dei suoi ufficiali, dicendogli:

– Dì a’ miei guerrieri che domani i prigionieri combatteranno nell’aloun-aloun.

Gli olandesi furono condotti fuori, e per alcuni minuti poterono udire le grida, i fischi e le imprecazioni dei giavanesi.