La vendetta d'uno schiavo/Capitolo XIX

Da Wikisource.
Capitolo XIX

../Capitolo XVIII ../Capitolo XX IncludiIntestazione 19 febbraio 2024 75% Da definire

Capitolo XVIII Capitolo XX

Capitolo XIX

La rotta di Diepo-Nigoro

Il mare era ancora coperto di rottami e di cadaveri che seguivano confusamente le ondulazioni dell’acqua, quando i quattro prahos carichi di giavanesi, per la maggior parte feriti, fecero ritorno verso il villaggio.

I superstiti urlavano vittoria, ma quali crudeli perdite anche per loro! Un prahos era letteralmente pieno di moribondi e anche gli altri ne avevano parecchi. Quanti poi erano scomparsi sotto le onde!

– Ecco una vittoria pagata cara, – disse Giovanni a Sandiak.

– Disastrosa, signore, – rispose il giavanese. – Abbiamo perduto centoventi uomini.

– E quanti feriti?

– Centotrenta.

– Gravi perdite, Sandiak.

– È vero, signore, però ormai Diepo-Nigoro non ha da temere nessun sbarco, – disse Sandiak-Sin.

– Cosa diranno le vostre donne?

– Oh! Sono delle valorose, signore, e non piangeranno.

I prahos poco dopo approdavano al villaggio. Le donne e i vecchi, apprendendo la vittoria, salutarono i guerrieri con entusiastiche grida, quantunque quasi tutti avessero perduto figli, fratelli o mariti.

Giovanni cercò di consolare quelle eroiche donne, poi fece trasportare i feriti nelle capanne, dopo d’averli fatti curare dai vecchi del villaggio, quindi si ritirò nella sua dimora per riposarsi, mentre gli altri giavanesi, saliti nuovamente sui legni, andavano ricuperando i rottami delle tre navi affondate.

Alla sera nel villaggio regnò un cupo silenzio.

Le donne, malgrado il loro eroismo, piangevano la perdita dei loro cari.

Al mattino Giovanni fece i preparativi di partenza, onde tornare al campo di Diepo-Nigoro. Ora che la squadra era stata distrutta, desiderava ardentemente rivedere il capo dell’insurrezione, per ricevere il premio della vittoria.

Prima di abbandonare il villaggio, prese per una mano Sandiak-Sin, lo condusse dinanzi agli abitanti che si erano radunati per salutarlo e disse:

– Amici, io ho terminato l’impresa affidatami da Diepo-Nigoro, e devo ritornare da lui. D’ora innanzi il vostro capo sarà Sandiak-Sin.

I giavanesi applaudirono quella nomina, avendo grande stima del valoroso loro sotto-capo. Giovanni, salito a cavallo, si disponeva a partire con una scorta di quattro uomini, quando i giavanesi lo circondarono, dicendogli con voce supplichevole:

– Gran capo, rimanete fra noi!... Ormai qui tutti vi amano.

– Devo partire, – rispose con voce intenerita Giovanni. – Addio amici, forse un giorno mi rivedrete.

Poi, additato loro Sandiak-Sin, cacciò gli sproni nei fianchi del cavallo e partì, seguito dalla scorta.

In breve perdettero di vista il villaggio, ed entrarono nella foresta folta, che conduceva al campo di Diepo-Nigoro.

– Ah! – sospirò Giovanni. – Se avessi una banda di quei valorosi marinai, sarei certo di poter ritrovare quel dannato malese. Spero però che Nigoro, in ricompensa dei miei servigi, saprà presto vendicarmi e rendermi mio figlio.

Alla sera egli ed i suoi uomini si accamparono in mezzo ai monti.

Il secondo giorno, dopo una rapida marcia, essi giungevano in vista della bandiera di Diepo-Nigoro.

– L’accampamento! – gridarono gli uomini della scorta, con allegrezza.

Giovanni salì lentamente la collina e guadagnò il campo.

Tre o quattro sentinelle lo fermarono, ma avendolo subito riconosciuto, si lanciarono verso il campo urlando a squarciagola:

– Il Cacciator Nero! Il Cacciator Nero!

Udendo quelle grida, delle turbe d’insorti si precipitarono verso i nuovi arrivati.

Giovanni, fattosi largo con grandi stenti, poté finalmente giungere alla tenda di Diepo-Nigoro.

Il gran capo giavanese, vedendolo entrare, gli corse incontro, esclamando:

– Voi, Cacciator Nero!... Già di ritorno?

– La mia missione è finita – rispose il piantatore.

– E gl’incrociatori?

– Battuti, affondati.

– La mia riconoscenza non cesserà mai, Giovanni. E le perdite subite sono state gravi?

– Meno di quanto credevo.

– E Sandiak-Sin è vivo ancora?

– Sì, e l’ho nominato capo del villaggio.

– Bravo, Cacciator Nero.

Poi Nigoro andò ad uno scrigno, ne trasse un kriss col manico tempestato di diamanti e di zaffiri e porgendoglielo, disse:

– Serbatelo per mia memoria.

Giovanni se lo passò fra le pieghe della cintola, e stringendo la mano al gran capo giavanese, rispose:

– Grazie Nigoro! Grazie.

Nigoro, senza rispondere, suonò un campanello.

Apparvero due de’ suoi uomini della guardia.

– Dite ai guerrieri, che il Cacciator Nero ha distrutti gl’incrociatori. Questa notizia darà maggior coraggio alle mie bande.

– E la guerra, come va? – chiese Giovanni – Avete avuto altri combattimenti?

– Mi sono battuto contro mille olandesi che cercavano di sorprendere il mio campo, e li ho sconfitti costringendoli a fuggire a Samarang.

– E il vostro esercito è sempre numeroso?

– No, Cacciator Nero, non ho con me che dodicimila uomini. Gli altri hanno dovuto partire pel nord, onde combattere le schiere del generale Wan Carpellen.

– Il generale Wan Carpellen? È ancora vivo adunque?

– Non solo vivo, ma s’avanza alla testa di diecimila uomini.

– E chi comanda le vostre bande che operano a settentrione dell’isola?

– Il capo Kedir-Peng, – rispose Nigoro.

– E voi non vi decidete ad assalire Samarang?

– No, Cacciator Nero. Diecimila olandesi sono entrati in città con numerosa artiglieria, e minacciano anzi di attaccarmi da un momento all’altro.

– Li aspetteremo da forti.

– Lo spero, – disse Nigoro. – Adesso Giovanni, andate a riposarvi che ne avrete bisogno.

– Addio, – rispose il piantatore, stringendogli calorosamente la mano.

Uscì per avviarsi nella sua tenda già fatta preparare da Nigoro, nel mentre che le tenebre cominciavano a scendere.

Mentre attraversava il campo, le bande accorsero in massa dalle loro tende, e lo accompagnarono fino alla sua dimora, fra le grida di:

– Viva il Cacciator Nero!

L’indomani, Giovanni e Nigoro, andarono a visitare le fortificazioni del campo. Numerose trincee erano state rizzate all’intorno, armate di parecchi cannoni e di spingarde.

Mentre i due capi giravano pel campo, scorsero alcuni cavalieri uscire dai boschi e dirigersi a briglia sciolta verso gli avamposti.

In pochi minuti, uno di quei cavalieri giunse a poca distanza da Nigoro.

– Di dove vieni? – chiese il capo.

– Da Samarang, gran capo, – rispose il giavanese.

– Quale notizie rechi?

– Il nemico s’avvicina, gran capo!

– È assai numeroso? – domandò Nigoro, con ansietà.

– Sì gran capo; sono almeno dodicimila. Gli olandesi di Samarang si sono uniti alla colonna del generale Wan Carpellen.

La fronte di Nigoro si oscurò.

– Dunque ci aveva ingannati il generale Wan Carpellen, facendoci credere di dirigersi verso il nord.

– Lo credo, – rispose il giavanese.

– Quanti cannoni hanno gli olandesi? – domandò poi con calma forzata.

– Venti, gran capo.

– Distano molto da qui?

– Cinque miglia, non di più.

– Prima che giungano qui, passeranno due ore, e noi allora saremo a riceverli.

Ciò detto, Nigoro ritornò al campo al galoppo.

Chiamò attorno a sé i suoi quattro capi, e dopo averli avvertiti del pericolo che si correva, disse:

– Miei capi, laggiù vi è un nemico più numeroso di noi, e meglio armato, però noi teniamo una forte posizione. Mostriamo agli oppressori, come i giavanesi, sebbene uomini di colore, sanno battersi e morire per l’indipendenza del loro paese.

– Siamo pronti a guidare i nostri uomini alla pugna, – dissero i capi.

– Ai vostri posti, miei bravi! Ordinate gli uomini dietro le palizzate e resistete fino all’ultimo.

I capi si ritirarono e condussero le loro truppe dietro le palizzate, formando un vasto circolo.

I cannoni e le spingarde furono caricate, la cavalleria disposta sui lati delle fortificazioni, poi tutti attesero la comparsa del nemico.

Poco dopo l’esercito olandese usciva dai boschi, e si spiegava sul piano che circondava la collina.

Si udivano i nitriti dei cavalli, i comandi degli ufficiali e si vedevano luccicare ai raggi infuocati del sole una vera selva di moschetti e di lancie.

Giovanni, dall’alto dei terrapieni, guardava quell’esercito, contando i cavalleggieri, i cacciatori ed i cannoni.

In mezzo a quei soldati, scorse i generali Wan Carpellen ed Jeffrai Van-Dik, seguiti da un numeroso stuolo di ufficiali.

Per tutto il giorno colonne di olandesi si ammassarono di fronte alle colline occupate dai giavanesi, senza però nulla tentare. Calata la sera, Giovanni vide che mettevano numerose sentinelle, e che accendevano numerosi fuochi, come se avessero l’intenzione di riposarsi, prima di assalire gl’insorti.

Nigoro si avvicinò a Giovanni, dicendogli:

– Cacciator Nero, se attaccassimo questa notte il campo nemico, cosa direste?

– L’idea sarebbe buona, però vi è un grande inconveniente.

– E quale?

– Che scendendo in pianura, perderemmo il vantaggio delle posizioni.

– Lo so, ma nel caso che fossimo respinti, potremmo ancora riparare quassù.

– Allora tentiamo l’attacco.

Nigoro chiamò i capi, e diede gli ordini opportuni. Alle due del mattino, cioè quando il campo olandese era immerso nel sonno, l’esercito giavanese usciva tacitamente dalle trincee, e scendeva nella pianura con passo rapido e silenzioso.

Appena fuori dalle trincee si schierò in ordine di battaglia e marciò risolutamente sul nemico.

– Forse sorprenderemo gli Olandesi, – sussurrò Nigoro agli orecchi di Giovanni.

– Pure temo che questo silenzio nasconda qualche agguato.

In quel medesimo istante, i diciotto cannoni degli olandesi tuonarono, fulminando i giavanesi schierati nella pianura, mentre tutto l’esercito olandese balzava in piedi, ordinandosi in linea.

– Maledizione! – esclamò Nigoro.

– Fingevano di dormire, – disse Giovanni.

– Ma la pagheranno cara! – urlò il gran capo giavanese; e ordinò di aprire il fuoco.

Tosto i cannoni e le spingarde che erano sul colle, tuonarono rumorosamente, vomitando torrenti di palle sul campo olandese.

Bianchi e giavanesi, come si fossero inebbriati all’odor della polvere, cominciarono a fulminarsi a vicenda, coi moschetti.

Il fragor dei cannoni e della moschetteria era tale, che si sentivano i colli vicini rumoreggiare, come se scoppiassero migliaia di fulmini.

Dopo le prime scariche, Nigoro si mise alla testa dei suoi, trascinandoli all’assalto con uno slancio irresistibile. Giavanesi e olandesi si scontrarono a metà via, impegnando una lotta disperata coi coltelli e coi fucili, e respingendosi a vicenda, come le onde del mare, intanto che l’artiglieria dei primi tuonava con tiri rapidi e precisi.

In mezzo a quel tumulto si udivano imprecazioni, urla di dolore e di rabbia e detonazioni assordanti. I giavanesi si battevano come leoni, facendo pagar caro il tradimento degli olandesi; ma si trovavano dinanzi a delle vere masse di nemici.

Ad un tratto, un grosso stuolo di cavalieri armati di lunghe lancie, piombarono alle spalle dei giavanesi. Nigoro, visto il pericolo, si mise alla testa della sua guardia, caricando disperatamente il nemico.

Una nuova pugna più sanguinosa della prima s’impegnò. Le lancie si cacciavano a vicenda nel corpo dei cavalli e degli uomini, intanto che i cannoni di ambe le parti tuonavano con crescente fracasso.

I cavalleggieri di Diepo-Nigoro, malgrado la brillante loro carica, in breve furono oppressi dal numero, e dovettero ritirarsi. Il capo, volendo opporre a qualunque costo una resistenza, li fece scender dai cavalli, e formato un ampio circolo, aspettò a piè fermo l’urto dei cavalleggieri nemici. Questi, riunitisi, si avventarono addosso ai giavanesi, i quali li ricevettero con un fuoco così nutrito, che tutti diedero volta ai cavalli, lasciando una quantità di cadaveri al suolo. Tornati una seconda volta alla carica, furono ricevuti sulle punte delle lancie e costretti a ripiegarsi. Dinanzi ai cavalleggieri giavanesi si era formata una trincea di cavalli e di uomini. Nigoro volle approfittarne, e risalito a cavallo, fece a sua volta una brillante carica, rompendo nuovamente gli olandesi e disperdendoli nella pianura.

Dalla parte dei cavalleggieri la vittoria era rimasta da Nigoro, ma non fu così dalla parte dei fantaccini. I giavanesi, malgrado la loro resistenza, dopo di aver respinto dieci assalti successivi, avevano cominciato a perdere terreno.

– A me, e carichiamoli! – urlò Nigoro, avventandosi coi suoi cavalleggieri sul fianco destro del nemico.

Gli olandesi cedettero e si ritirarono in disordine.

– Tenete fermo, la vittoria è nostra! – gridò Nigoro rovesciando colla sua lancia un ufficiale.

In quel momento, le truppe olandesi si aprirono, smascherando i diciotto cannoni.

Un uragano di mitraglia si rovesciò sui giavanesi, schiacciando la cavalleria di Nigoro. Contemporaneamente i cacciatori olandesi li caricarono dai due lati, completando la rotta.

Invano Nigoro trascinò i suoi alla carica fin presso i cannoni e invano tentò di respingere i cacciatori che s’avanzavano da tutte le parti.

Tentò ancora un ultimo colpo; la mitraglia lo costrinse a battere in ritirata, lasciando metà dei suoi cavalieri sul terreno.

– Tentiamo di rompere i cacciatori! – urlò egli con voce tonante, e seguito da Giovanni, che si era sempre battuto al suo fianco, si avventò colla sua bandiera nella sinistra e una larga sciabola nella dritta, nel più folto dei nemici, trascinando i suoi uomini ad un disperato assalto. Nigoro, robusto e indomabile come era, faceva fare alla sua pesante sciabola dei giri fulminei, aprendo un varco ai suoi uomini, i quali, vedendo quell’ercole che fendeva un intero esercito, e nello scorgere quel brando che scintillava alla luce degli spari, lo seguivano in massa, come un cuneo di ferro che entra nell’albero. Parea che finalmente la fortuna arridesse ai giavanesi, quando i cavalleggieri olandesi, sempre instancabili, piombarono a tergo dei vincitori. Nigoro vide il pericolo e cercò uscire fuori da quel formicaio di nemici, i quali lo assalivano da tutte le parti con crescente vigore.

I giavanesi, stanchi e affannati, cercarono respingere i cavalleggieri, ma non vi riuscirono. I nemici, entrati nelle loro file, cominciavano a romperli. L’esercito di Diepo-Nigoro, affaticato per la lunga lotta e assalito da ogni parte, fece il primo passo indietro.

Nigoro tentò con mille uomini risoluti, di proteggere la ritirata, per lasciare ai suoi il tempo di fortificarsi sulla collina.

Per dieci minuti riuscì a tenere a freno i nemici, poi i suoi uomini abbandonarono il posto, lasciando un quinto di loro sul campo. Gli olandesi, riunitivisi per un ultimo sforzo, scavalcando i monti di cadaveri, piombarono sui giavanesi. Per alcuni istanti questi tennero ancora fermo, poi indietreggiarono rapidamente. Due minuti dopo non indietreggiavano più; volgevano a fuga precipitosa. L’esercito di Diepo-Nigoro era ormai battuto.