La vendetta d'uno schiavo/Capitolo XVIII

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Capitolo XVIII

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Capitolo XVIII

Battaglia sul mare

Il primo moto degli insorti, dopo di aver avvisato quelli di terra della vittoria, fu quello di saccheggiare il vascello. Le cabine del quadro, la dispensa dei viveri e la camera comune dell’equipaggio furono invasi e ammassi di roba furono accumulati in coperta.

Giovanni lasciò fare, ma impedì assolutamente ai suoi uomini di toccare la provvista dei liquori temendo che si ubriacassero.

Quando i vincitori si ebbero diviso quel grosso bottino, Giovanni ordinò agli equipaggi di ritornare nei prahos e di rimorchiare il vascello verso terra, avendo ormai perduto gran parte delle sue vele.

Delle gomene furono legate a prora della nave ed i prahos si misero in moto, rimorchiandola lentamente verso la costa.

Giovanni era rimasto a bordo del vascello assieme a Sandiak-Sin, il quale pareva occupatissimo a numerare delle piastre spagnuole e dei risdallieri toccatigli nel saccheggio.

– Oeh! Sandiak-Sin, grosso bottino? – gli domandò Giovanni ridendo.

– Non mi aspettavo tanto.

– Hai trovato un buon numero di piastre?

– Sessanta, belle e fiammanti e duecento risdallieri.

– E uomini, quanti ne abbiamo perduti?

– Quaranta, capo, e tutti buoni marinai.

– Credevo di aver subìto perdite più gravi.

– Ditemi, capo, cosa farete di questo vascello?

– Lo adopereremo contro gli altri incrociatori. È una solida nave e porta otto cannoni.

– Volete dare la caccia anche agli altri due legni?

– Non ho intenzione di fermarmi a mezza via. Non tornerò da Nigoro se non avrò sbarazzata la costa da quei pericolosi avversari. Finché vi saranno quegli incrociatori, Nigoro nulla potrà tentare contro le città della costa.

In quell’istante alcune scariche di moschetteria scoppiarono verso il villaggio. Erano i giavanesi del villaggio che festeggiavano i vincitori.

A quelle grida ed a quegli spari, i prahos volarono più rapidamente, e un’ora dopo il vascello veniva ancorato nel piccolo porto.

Le donne del villaggio avevano preparato intanto un lauto banchetto ai vincitori, banchetto che fu copiosamente innaffiato coi liquori del vascello olandese.

Giovanni non mancò di prendervi parte e alla fine i suoi uomini vollero conferirgli il titolo di gran senapato, ciò che voleva dire, il più gran signore della guerra e dei mari.

All’indomani, i giavanesi, sotto la direzione di Giovanni si mettevano al lavoro per aggiustare le parti offese del brick. Parecchi pennoni erano stati spezzati, diverse alzane dei bracci e dei manti erano stati lacerati dalle palle di fucile e di spingarda.

Una parte della murata di babordo e di tribordo era stata rovinata, e così pure una parte del cassero.

I giavanesi, che sono abili operai, accomodarono ogni cosa, sostituendo funi di rotang a quelle di canape e riparando le murate con legno di tek.

Due giorni dopo il brick era pronto a correre il mare.

Trascorsero una decina di giorni senza che nessuna nave apparisse sull’orizzonte. Giovanni mandava spesso dei velieri in mare, a visitare le coste vicine, però senza successo.

In attesa che gl’incrociatori si mostrassero, Giovanni fece intanto fortificare il villaggio, temendo uno sbarco da parte dei nemici.

Dinanzi alle capanne che guardavano il mare, fece innalzare robuste palizzate e numerosi terrapieni che armò con alcune spingarde e con due cannoni sbarcati dalla nave predata.

Anche dalla parte del bosco fece piantare delle palizzate e scavare profondi fossati che poi fece riempire di rami spinosi. Sui due isolotti che sorgevano all’entrata della baia, eresse poi una batteria, armata di due grosse spingarde tolte al prahos ammiraglio.

Il villaggio, così fortificato, poteva resistere validamente ad un bombardamento e respingere un attacco anche da parte di terra.

Quei lavori erano già stati ultimati, quando un mattino Giovanni e Sandiak furono svegliati da un gridìo assordante.

– Delle vele!... Delle vele! – urlavano gli abitanti del villaggio.

– Che siano i due incrociatori? – chiese Sandiak, precipitandosi fuori dalla capanna.

Giovanni era già sulla spiaggia e guardava attentamente due punti bianchi che apparivano sull’orizzonte, a dieci o dodici miglia dalla costa.

– Sì, sono due vascelli olandesi, – disse a Sandiak.

– Andiamo ad attaccarli, signore, – gridarono i giavanesi, brandendo le armi.

– Andiamo, – disse Giovanni, preparandosi ad imbarcarsi.

I giavanesi lo seguirono in massa, gettando grida di guerra e di morte.

In quel mentre i due vascelli olandesi si erano avvicinati alla costa, come se avessero intenzione di tentare uno sbarco.

Giunti ad un miglio dalla spiaggia, avevano puntati i loro diciotto cannoni in direzione del villaggio.

– Imbarchiamoci, signore, – disse Sandiak-Sin a Giovanni.

– La cosa non è così facile quanto credi, – rispose il piantatore.

– Volete attendere che gli equipaggi sbarchino?

– No, – disse Giovanni. – Domanda ai nostri marinai, se sono pronti a sacrificare le loro vite.

– Sì! Sì! – gridarono i giavanesi.

– Allora i due vascelli, se non saranno nostri, li caleremo almeno a fondo.

– Che cosa volete fare? – domandò Sandiak-Sin.

– Investirli disperatamente e speronarli.

– Andremo a fondo anche noi, signore.

– I prahos verranno presso di noi, e ci raccoglieranno in mare.

– Imbarchiamoci, signore! – gridarono i giavanesi che gli si erano affollati d’intorno.

– Chi non ha paura mi segua, – disse Giovanni salendo a bordo del brick.

Duecentocinquanta giavanesi con Sandiak-Sin lo seguirono, armati tutti sino ai denti, e pronti a tentare la tremenda lotta.

– Nei prahos voialtri, – gridò Giovanni ai settanta giavanesi che erano rimasti a terra.

– Il vento viene da terra, e investiremo con grande impeto, – disse Sandiak-Sin.

– Sì, l’urto sarà violento, e badate, poiché gli alberi cadranno sul ponte, – disse Giovanni.

– E pronti a lanciarvi all’arrembaggio, – aggiunse il sotto-capo giavanese.

In quel mentre il brick uscì dal porto e si lanciò in mare.

Allora le vele si tesero fortemente, e fendette rapidamente le onde, filando dieci nodi all’ora.

– Tutto va a meraviglia, – disse Giovanni guardando i prahos che lo seguivano.

Quando il brick fu a mezzo miglio dai due vascelli olandesi, questi aprirono contro di lui il fuoco.

Giovanni ordinò di rispondere coi sette cannoni del brick, e fra le tre navi cominciò un vivo scambio di palle, con grande strage d’uomini e di attrezzi. La peggio toccava ai giavanesi, ma Giovanni, sempre al timone, dirigeva la sua nave sulle due olandesi, le quali, ignare dell’ardito disegno di lui, non si prendevano la cura di virare a bordo.

A cinquanta passi da loro, il brick ricevette una fiancata tremenda, ma non rallentò la corsa, e si avventò sui due vascelli in mezzo al denso fumo delle artiglierie.

Un istante dopo delle grida terribili si alzarono dalla parte degli olandesi. Essi si erano accorti del disegno di Giovanni, e si lanciavano ai bracci delle manovre. Era troppo tardi. Il brick apparve ad alcuni metri da loro, semi-nascosto nel fumo.

D’un tratto avvenne un urto formidabile.

Si udì un forte scricchiolìo, che si cambiò in cupo rimbombo, e le alberature delle tre navi rovinarono con fracasso sui ponti ingombrandoli di pennoni, di sartie e di vele. Quasi subito il brick s’inclinò a prora, dove l’acqua entrava col fragore del tuono, trascinandolo nell’abisso. Le due navi olandesi, coi fianchi spezzati, s’inclinarono l’una a babordo e l’altra a tribordo, urtandosi nuovamente.

Allora i giavanesi abbandonarono il loro vascello affondante, e si lanciarono sulle due navi, mandando acute grida di guerra, intanto che le spingarde dei prahos spazzavano i ponti.

Una lotta accanita, sanguinosa, s’impegnò allora a bordo dei vascelli olandesi.

I giavanesi, ebbri di furore, lottavano coi calci dei fucili e coi kriss, mandando rauche imprecazioni.

Si udivano i colpi di pistola, grida di feriti, ed il cupo rimbombo delle spingarde.

Il sangue scorreva a fiotti pel ponte, mentre le due navi sprofondavano lentamente, trascinando i combattenti in fondo al mare. Ma tanta era la rabbia, tanto l’odio di quegli uomini, che dimenticavano il pericolo. Nessuno badava all’acqua che montava; tutti erano affaccendati a vibrare ed a parare i colpi degli avversari.

In breve l’acqua giunse alle cannoniere, e inondò i ponti, rovesciando parecchi combattenti, però nessuna cosa avrebbe potuto far lasciare quelle coppie, che si battevano scannandosi a vicenda. Giovanni, in mezzo a tutti, lottava come un leone.

In quell’istante il brick sparve sott’acqua ed i due vascelli non tardarono a seguirlo sotto le onde, fra un formidabile risucchio.

Olandesi e giavanesi furono trascinati in mezzo a quel gigantesco gorgo.

Giovanni, abbandonato il fucile, con due vigorosi colpi di tallone risalì alla superficie in mezzo alle onde ancora agitate.

Allora vide una scena orribile. In mezzo all’acqua, alcuni drappelli di olandesi si battevano ancora nuotando, mentre intorno, oltre duecento giavanesi cercavano di finirli a colpi di kriss. L’acqua era insanguinata intorno ai combattenti. Alcune volte dei giavanesi e degli olandesi si afferravano e sparivano per sempre nelle onde. Gl’insorti dei prahos si affrettarono ad accorrere in aiuto dei loro compatrioti.

– Basta! Basta! – gridò allora Giovanni, vedendo che la feroce lotta continuava.

Non fu udito. Affranto, cessò macchinalmente di nuotare; un’onda lo afferrò e lo rovesciò.

Risalì ancora alla superficie e gridò con voce più robusta di prima:

– A me! A me! Basta, – e fece una nuova bracciata.

Gli uomini di un prahos lo udirono, lo videro e corsero vicino e lo raccolsero.

– Là! Là! – disse egli indicando il luogo della pugna.

Il prahos si diresse tosto verso i combattenti.

– Basta! – gridò Giovanni lanciandosi a prora.

Fu inteso, ma era troppo tardi. In quel medesimo istante, l’ultimo degli olandesi spariva sotto le onde, colpito dal pugnale di Sandiak-Sin.