La vendetta d'uno schiavo/Capitolo XXVI

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Capitolo XXVI

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Capitolo XXVI

In mare

Due minuti dopo il giavanese e Giovanni si arrestavano in mezzo ad un fitto boschetto che distava dalla caverna cinquecento passi.

– Salvi! – esclamò Giovanni appena poté parlare.

– Sì, salvi, per il momento; guardate però quelle sentinelle che vegliano attorno alla grotta.

Il piantatore si volse e vide otto malesi armati di fucili, che vegliavano intorno alla maledetta grotta.

– Bisogna fuggire più lontano, – disse Sandiak-Sin.

– Ebbene, fuggiamo; ma dove dirigersi?

– Cerchiamo per ora di guadagnare quel bosco che discende al piano, poi vi condurrò in un luogo sicuro. Conosco abbastanza bene Sambak, avendovi approdato parecchie volte e so dove dobbiamo nasconderci.

– E dove?

– Vedete voi quel picco gigantesco alto mille piedi che si rizza all’estremità di quel promontorio?

– Lo vedo.

– Colà vi sono delle fitte boscaglie che ci offriranno rifugi, impenetrabili ai nostri nemici e dove troveremo anche della selvaggina.

– Ebbene andiamoci, – disse Giovanni.

Si accertarono che i fucili erano carichi, poi si misero a correre attraverso i boschi, scendendo la china a precipizio.

La paura di venir scoperti dava le ali alle loro calcagna. Avevano percorsi circa mille passi, quando udirono tre o quattro fucilate.

– Ci hanno scoperti! – gridò Giovanni, fermandosi.

– Così è, i due malesi avranno trovato il cadavere del cuciniere e dei loro due compagni, e avranno dato l’allarme – disse Sandiak-Sin, armando il fucile.

– Affrettiamoci ad allontanarci.

Essi ripresero la loro corsa sfrenata pei boschi, temendo di vedersi piombare alle spalle i malesi, i quali ordinariamente possiedono delle buone gambe, essendo dotati di un’agilità straordinaria.

Dopo un miglio i due fuggiaschi rallentarono la loro corsa.

– Non ne posso più! – esclamò Giovanni, fermandosi.

– Cerchiamo un luogo ove riposare, – disse Sandiak-Sin.

– Dove nasconderci?

– Guardate questo grosso albero. È un bel lingoa, ed il suo fogliame abbastanza folto può darci un buon asilo.

– Sì, ma mi pare che sia troppo grosso per salirci.

– Arrampichiamoci su quell’esile gambo che giunge fino ai rami del lingoa.

Giovanni si mise ad arrampicarsi con agilità sul giovane albero, e due minuti dopo si trovava al sicuro fra il tolto fogliame del lingoa.

Sandiak-Sin, che lo seguiva da vicino, fu lesto a raggiungerlo.

Colle vivande prese nella grotta, fecero una buona colazione, e poi si diedero a cercare un luogo acconcio per riposare. Dopo non molto trovarono un luogo, ove i rami spessi e uniti e frondosi facevano come una specie d’amaca. Vi si sdraiarono sopra, coi fucili a portata di mano e in breve si assopirono. Era già da circa due ore che essi dormivano quando l’orecchio acuto del giavanese fu ferito da un fischio e si levò di botto, col fucile in mano e guardò tutto all’intorno. Vi era un’oscurità profonda all’ingiro, essendo la foresta assai fitta, tanto da impedire ai raggi solari di penetrarvi. Guardò alla base dell’albero, ma non scorse nulla.

– Eppure ho udito distintamente un fischio e deve averlo mandato un uomo, – mormorò Sandiak-Sin.

Tese gli orecchi ma non udì nulla. Tornò a sdraiarsi fra i rami e stette in ascolto. Mezz’ora dopo udì ancora il medesimo fischio.

Egli si levò di botto e lanciò uno sguardo inquisitore all’ingiro. Ma come prima, non vide ne udì nulla.

– È strano, – mormorò, armando il fucile.

Aveva appena pronunciato quelle parole, quando udì un ramo spezzarsi.

Sandiak-Sin strisciò verso Giovanni e lo svegliò.

– Cacciator Nero, siamo spiati, – disse.

Giovanni si levò col fucile in mano, ma senza far il minimo rumore.

– Hai veduto i malesi? – gli domandò sottovoce.

– Ho udito due volte un fischio. Ascoltate!

Entrambi tesero gli orecchi e udirono distintamente le voci di due uomini.

– I malesi! – mormorò Giovanni.

– Silenzio: occhio sicuro e sangue freddo.

Entrambi si stesero poi sul loro giaciglio, confondendosi col fogliame, un passo l’un dall’altro, e coi fucili spianati.

– Guardate, – mormorò Sandiak-Sin all’orecchio del piantatore.

Giovanni sporse il capo, e vide due uomini, armati di fucile, avanzarsi strisciando. Dietro a loro dopo qualche minuto, ne comparvero altri sei o sette armati di lancie e di archi.

– Due malesi e dei selvaggi, – mormorò Giovanni.

– Ci danno la caccia, – disse il giavanese.

– Cosa facciamo?

– Aspettiamo.

– Facciamo fuoco tutti e due assieme.

Sandiak-Sin fece un moto per levarsi, ma, quasi nel medesimo istante, un ramo gli si spezzò sotto e per poco non precipitò nel vuoto.

I malesi e i selvaggi, udendo quel rumore, alzarono gli occhi verso il folto fogliame del lingoa. Sandiak-Sin comprese il pericolo, e rimase immobile.

– Degli uomini forse? – chiese uno dei due malesi, cercando scrutare il folto fogliame.

– I fuggitivi forse? – chiese un altro.

Né Giovanni né Sandiak-Sin si mossero. Coi fucili fra le mani, attendevano. Ad un tratto videro uno dei malesi puntare il fucile verso il fogliame.

– Bada! – gridò Giovanni.

Il colpo del malese partì, e la palla spezzò il ramo a cui si teneva aggrappato il giavanese.

– Per poco mi colpiva, – esclamò questi, guadagnando rapidamente la sua amaca vegetale.

Il secondo malese fe’ fuoco alla sua volta. Il giavanese cacciò un gemito doloroso. La palla gli avea sfiorata la guancia, tracciandogli un solco sanguinoso.

– Attenzione, fuoco! – urlò Giovanni.

Due detonazioni rimbombarono, accompagnate da due grida di dolore.

Fu per gli assalitori una rotta generale. Un selvaggio era rimasto sul terreno, e un altro era fuggito zoppicando.

– Sei ferito? – domandò Giovanni a Sandiak-Sin.

– È nulla. Fuggiamo subito, perché fra poco ritorneranno più numerosi.

Entrambi si lasciarono scivolare giù lungo l’albero e, toccato il suolo, si diedero a fuggire con tutta la celerità possibile. Essi correvano senza saper ove si dirigessero. Dei cervi e dei gatti selvaggi fuggivano numerosi dinanzi a loro, facendo un gran rumore, ma essi non badavano a nulla. Cercavano di metter maggior spazio possibile tra loro stessi e gli inseguitori.

– Che rumore è questo? – esclamò ad un tratto Sandiak- Sin, arrestandosi.

Dieci minuti dopo giungevano sulla spiaggia, e si lasciavano cadere a pochi passi dal mare, il quale si frangeva rumorosamente sulle roccie.

– Non ne posso più, – disse Giovanni, aspirando fragorosamente l’aria marina.

– Era tempo; anch’io mi sentivo venir meno, – rispose il giavanese.

– Dobbiamo aver percorse parecchie miglia.

– Cosa faremo ora?

– Cerchiamo qualche vascello o qualche prahos e torniamo a Giava, – disse Giovanni.

– Un prahos, un vascello? Dove volete trovarli a Sambak, che non vi sono che cattive piroghe indigene.

– Cerchiamo una piroga.

– E dove?

– La ruberemo in qualche villaggio di pescatori.

Si riposarono una mezz’ora, poi tutti e due si misero in cammino lentamente, seguendo la spiaggia. Il mare, che si frangeva sul lido, veniva a bagnare i loro piedi.

Dopo un’ora di cammino, essi giunsero a poca distanza da un villaggio indigeno, composto di una dozzina di capanne, e situato a venti passi dal mare.

– Vedo tre o quattro piroghe, – esclamò Giovanni fermandosi.

– Ed io scorgo due uomini che dormono presso la spiaggia, – disse il giavanese.

– Camminiamo in silenzio, e al primo moto che fanno, scarichiamo i fucili.

Strisciando in silenzio, essi giunsero presso la prima piroga, senza che i due selvaggi, addormentati dieci passi più in là, si svegliassero.

La piroga era scavata nel tronco di un grosso albero.

Era lunga venticinque piedi e larga tre, abbastanza ben fatta, per esser stata costruita da selvaggi. Entro vi erano dei vasi d’acqua dolce, dei pesci secchi, delle frutta dell’albero del pane e dei cocchi enormi. Di più, legata con cura, eravi una gran vela, fatta di vimini intrecciati, un albero, e una mezza dozzina di pagaie lunghe nove piedi.

Giovanni e Sandiak-Sin s’imbarcarono in silenzio, indi, afferrate le pagaie, si scostarono dalla riva, ma malgrado le loro precauzioni, i due selvaggi udirono quell’insolito rumore e si svegliarono.

Rapidi come il lampo, i due fuggitivi afferrarono i fucili e fecero fuoco. Udendo quelle detonazioni, i due selvaggi fuggirono.

– Su la vela, – ordinò Giovanni.

– Il vento spira da terra, – disse Sandiak-Sin spiegando la vela. – Fileremo rapidamente.

Pochi secondi dopo, la piroga si spingeva rapidamente sulle spumanti acque, lasciandosi dietro una lunga scia fosforescente.

– Finalmente! – gridò il giavanese, lanciando in aria il suo berretto.

– Bada alla vela, – disse Giovanni, mettendo la barra del timone sottovento.

– Guardate! guardate! – esclamò Sandiak-Sin, accennando il villaggio.

Giovanni si volse e vide che la spiaggia era ingombra di selvaggi.

– Che c’inseguano, Sandiak? – chiese.

– No, non credo, e poi siamo già lontani.

In quell’istante un forte colpo di vento gonfiò la vela, raddoppiando la corsa della piroga.

– Cresce il vento, – esclamò Giovanni.

– Avanti! – gridò Sandiak.

La piroga ormai fuggiva rapida come una rondine marina, fendendo le onde bianche di spuma del mar della Sonda.