La vendetta d'uno schiavo/Capitolo XXVII

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Capitolo XXVII

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Capitolo XXVII

Bali

Il buon vento non cessava, spingendo la piroga con una velocità di sette nodi all’ora. Sandiak-Sin se ne stava a prora sorvegliando la vela, mentre che Giovanni, seduto a poppa, teneva la barra del timone, costrutto secondo l’usanza indigena, cioè fatto di un lungo e largo remo che serviva benissimo.

Il vento sollevava delle grosse ondate; ma la piroga si comportava bene quantunque fosse sprovveduta di chiglia. Talune volte si sprofondava pesantemente sotto lo sforzo del vento esercitato sulla vela, e la sua prora s’inabissava nell’onda. Giovanni però con un vigoroso colpo di timone la rialzava tosto.

Tutta la giornata essi veleggiarono continuamente, sbattuti dalle onde.

– A momenti sarà notte, – disse Giovanni raddrizzando la piroga che si era sbandata.

– Sì, ma fra qualche ora la luna si leverà, – rispose il giavanese.

– Su quale isola ci dirigeremo? – chiese il piantatore.

– Su Bali, che è la più vicina.

– Se le provvigioni ci bastassero, dovremmo tirar diritti fino a Giava.

Il giavanese stava per rispondere, quando si alzò bruscamente, dicendo:

– Una vela!

– Che sia un prahos malese?

– Lo temo, signore.

– C’insegue?

– Pare di sì, e guadagna anche su noi.

Infatti un prahos, colla sua ampia vela, era comparso dietro una punta rocciosa e si avanzava guadagnando sulla piroga fuggitiva.

– Che cosa fare, Sandiak? – chiese Giovanni inquieto.

– Continuare a fuggire.

In quell’istante una fiamma brillò nelle tenebre, e una detonazione giunse fino ai fuggitivi.

– Ohe! Ci invitano a fermarci! – disse Giovanni, armando il fucile.

– Non rispondete. Le tenebre divengono più fitte, e ci perderanno di vista.

Infatti poco dopo l’oscurità divenne così profonda da non poter quasi più distinguere il prahos.

La piroga doveva essere diventata invisibile ai malesi, stante la sua poca elevazione sulle onde.

Alle dieci, quando la luna si levò, dissipando le tenebre, Giovanni e Sandiak-Sin non videro più il prahos malese.

– È sparito, – disse il primo.

– Siamo decisamente fortunati.

– Non ancora, guardate! – esclamò il giavanese con accento di profondo terrore.

Giovanni girò intorno gli sguardi e rabbrividì.

Una mezza dozzina di mostruosi pesci-cani seguivano la scia della piroga, balzando sulle onde.

– Che brutto seguito! – esclamò.

– Brutto davvero, perché se un’onda ci rovescia l’imbarcazione, siamo perduti.

Gli squali, accortisi della presenza della piroga, s’erano messi ad inseguirla, aprendo le loro formidabili mascelle, e lasciando vedere la loro triplice dentatura.

Alcune volte si avvicinavano all’imbarcazione e la sfioravano colle loro enormi pinne.

Sandiak-Sin approfittava per lasciar cadere sulle loro teste qualche colpo di remo, ma gli squali tornavano presto a galla dall’altra parte della piroga.

– Per buona fortuna la nostra scialuppa è pesante; se fosse leggiera, non darei un soldo della nostra pelle – disse Giovanni.

– Ma non sentite come la urtano? – disse il giavanese.

– Non vi è pericolo, Sandiak.

– Sarebbe meglio liberarsi da questi pericolosi compagni di viaggio.

– Proviamo a prenderli a fucilate, – disse Giovanni armando il fucile. Sandiak-Sin l’imitò, e un fuoco vivissimo fu aperto contro quei feroci squali. Dieci minuti dopo, essi scomparivano, liberando i due naviganti della loro pericolosa compagnia.

L’indomani, poco prima del tramonto, i naviganti intravidero una terra a otto miglia, la quale si delineava nettamente sul limpido orizzonte.

– È Bali, senza dubbio, – disse il giavanese.

– Fra un’ora ci saremo, – disse Giovanni mettendo il timone all’orza per dirigere la piroga verso terra.

– Siete mai stato in quell’isola?

– No, e vorrei vederla.

– Sì, è una bella terra lunga settanta miglia e larga trentacinque, traversata da una vasta catena di monti, irta di splendide foreste.

– Vi sei già stato?

– Sì, vi sono sbarcato parecchie volte.

– Mi hanno detto che gli abitanti di Bali sanno scrivere.

– Sì, si servono di certe foglie di palmizio che adoperano come la carta. Ah! Ecco laggiù, presso la spiaggia, una grossa borgata.

– Dirigiamoci colà?

– Andiamo, signore; vedremo come ci accolgono.

– Mi hanno però detto che gl’indigeni, specialmente quelli che compongono la tribù di Chandala, sono cattivi.

– In generale sono tutti poco ospitalieri. Sono, per lo più, pirati che fanno ciò che possono per depredare gli stranieri. Credo tuttavia che non avremo a lamentarci di loro.

– Scorgo laggiù molta gente radunata sulla spiaggia, – disse Giovanni dopo qualche minuto di silenzio.

– Ci hanno scorti e ci aspettano, – disse Sandiak.

Giovanni diresse la piroga verso terra tracciando una diagonale allungata, e mezz’ora dopo essi sbarcavano a cento metri dal villaggio.

Appena toccarono terra, tre o quattrocento indigeni fra uomini e donne, si avvicinarono a loro, guardandoli con curiosità, ma senza dimostrare intenzioni ostili. Alcuni erano completamente nudi, altri portavano dei calzoncini corti, quasi tutti erano armati di lande, di archi e di freccie.

Sandiak-Sin si avvicinò a uno di loro, più alto e più ben vestito degli altri, certamente il capo del villaggio, e toccandolo sul petto gli disse in lingua giavanese:

– Siamo vostri amici.

– Da dove venite? – chiese l’isolano.

– Da Giava.

– Chi siete?

– Messi di Diepo-Nigoro; lo conosci?

– Sì.

– Sai nulla della rivolta?

– Sì, alcuni giavanesi naufragati sulla costa pochi giorni or sono mi dissero che Nigoro era insorto.

– Vuoi abbracciare la sua causa?

– Non sono amico degli olandesi, ma non voglio nemmeno essere loro nemico, onde non esporre la mia tribù alle loro vendette.

– Spero che non ci tratterai come nemici.

– No, ma desidererei vedervi partire presto.

– Non ci arresteremo che fino a domani per riposare, poi continueremo il nostro viaggio, – disse Sandiak.

– La tua capanna sino a domani, – disse l’isolano, indicandogli, con un gesto brusco, una catapecchia.

Sandiak-Sin lo ringraziò, ma gli parve vedere un lampo sinistro passare negli occhi del selvaggio. Fece cenno a Giovanni di seguirlo, e si ritirarono nella dimora assegnata loro, mentre gl’indigeni si radunavano sulla spiaggia.

– Temo che si macchini qualche cosa contro di noi, – disse Sandiak-Sin a Giovanni, appena furono soli.

– Lo temo anch’io. Ho sorpreso degli sguardi sinistri scambiarsi fra gli indigeni.

– Cosa facciamo?

– Vegliare attentamente. Per fortuna abbiamo i nostri fucili e i nostri kriss.

– Io preferirei prendere il largo. Aspettiamo questa sera, poi guadagniamo in silenzio la nostra piroga e abbandoniamo l’isola.

Il sole era appena tramontato, quando un uomo si presentò improvvisamente sulla soglia della capanna.

Era vestito come i giavanesi di mare, e ne avea anche il tipo. Era però disarmato, e la sua faccia appariva inquieta.

– Chi siete? – domandò Sandiak-Sin.

– Una domanda, prima, – disse lo sconosciuto. – È vero che siete messi di Nigoro, il gran capo giavanese?

– Sì, – dissero Giovanni e Sandiak.

– Voi siete minacciati da un grave pericolo: venite!

Li prese per una mano e li condusse fuori dalla capanna, mostrando loro il mare.

Un prahos confuso fra le ombre della notte, si avanzava lentamente verso la spiaggia, facendo dei segnali con dei lumi, a cui gli indigeni rispondevano.

– Che sia il prahos dei malesi? – chiese Sandiak.

– Sì, è montato da malesi, – rispose lo sconosciuto.

– Allora siamo stati traditi, – disse Giovanni.

Poi, rivolgendosi verso lo sconosciuto, gli chiese:

– Ma chi siete voi che vi interessate di noi?

– Un giavanese, fedele suddito di Nigoro.

– Come vi trovate a Bali?

– Mi ero imbarcato su una piroga con sei compagni, per recarmi a sollevare i distretti di Gratti e di Madoma; trascinati da una furiosa burrasca, su queste coste naufragammo. I miei compagni annegarono, io fui salvato da questi indigeni e fatto prigioniero. Da quel giorno sospiro per tornare in patria, senza che mai si è presentata una occasione propizia. Quando vi vidi, sperai in voi, poi seppi che si tramava contro la vostra libertà, per darvi in mano ad alcuni malesi, e venni ad avvisarvi.

– Grazie, – mormorò Giovanni, stringendogli la mano.

– Non ringraziatemi; partiamo invece, finché ci rimane il tempo.

– Siamo pronti a seguirvi, – dissero Giovanni e Sandiak, armando i loro fucili.

Il naufrago uscì seguito da loro, e invece di dirigersi verso la spiaggia per guadagnar la piroga, si diresse verso i boschi.

– Dove andiamo? – domandò Sandiak-Sin.

– Facciamo il giro del villaggio, e andremo a imbarcarci in un luogo quasi deserto, ma dove troveremo una piroga in buon stato, con dei viveri, una vela e delle pagaie. L’ho nascosta io, avendo deciso di fuggire, sebben solo.

– Affrettiamoci, poiché odo delle grida, – disse Giovanni.

Il naufrago raddoppiò il passo, e dieci minuti dopo essi giungevano sulla riva del mare. Colà, nascosta in mezzo agli scogli, trovarono una piroga, simile a quella che avevano rubata a Sambak, però più corta e più leggiera.

Il naufrago vi balzò dentro. Giovanni e Sandiak lo seguirono.

Allora il primo tagliò la corda che la teneva legata, e la spinse al largo. Il piantatore si mise al timone, i due giavanesi presero le pagaie e si allontanarono rapidamente dalla spiaggia. Poco dopo essi alzarono la vela, abbandonando quell’isola inospitale.