La vendetta d'uno schiavo/Capitolo XXX

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Capitolo XXX

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Capitolo XXX

Lo stratagemma

Quel primo assalto aveva costato ai giavanesi perdite rilevanti, essendo stati costretti a combattere all’aperto, però non erano rimasti scoraggiati, avendo completa fiducia nell’amico del loro capo.

Giovanni, disposti numerosi drappelli intorno al forte onde impedire l’uscita agli assediati, fece chiamare Sandiak-Sin ed i principali capi onde concertarsi con loro sul da farsi, non osando ritentare, almeno pel momento, l’attacco.

Mentre stavano discutendo, furono avvertiti che il comandante del forte aveva fatto inalberare sulle mura parecchie bandiere e che dei soldati stavano facendo dei segnali quantunque né dalla porta del mare, né da quella dei boschi si scorgesse alcun olandese muovere in aiuto degli assediati.

Non sapendo a cosa attribuire quei segnali Giovanni e Sandiak-Sin s’erano affrettati a levare la seduta ed a uscire.

– Io credo che vogliano spaventarci, – disse il giavanese.

– In quale modo? – chiese Giovanni.

– Facendoci credere che aspettano dei rinforzi.

– E se invece ne attendessero davvero? – disse Giovanni che era diventato pensieroso.

– Pure non si vedono giungere nemici da alcuna parte, signore.

– Ad ogni modo noi prenderemo delle precauzioni per non venire sorpresi. Manderai venti uomini nei boschi perché ci guardino alle spalle e noi apriremo per bene gli occhi per impedire agli assediati di sfuggirci.

Pochi minuti dopo venti guerrieri partivano per la foresta. Avevano l’incarico di accamparsi a sei miglia dal forte per sorvegliare i dintorni ed impedire un improvviso assalto.

Durante la giornata nulla di nuovo accadde e assediati e assedianti si accontentarono di guardarsi.

Verso la mezzanotte Sandiak-Sin, che vegliava attentamente, andò a svegliare Giovanni.

– Il nemico? – domandò il catalano levandosi in piedi di botto.

– No, è il comandante olandese che fa ancora dei segnali, – rispose Sandiak.

– Andiamo a vedere, – esclamò Giovanni uscendo.

– Guardate, capo.

Un fuoco era stato acceso sulla sommità del forte, e il comandante lo faceva spegnere ogni dieci minuti, per accenderlo dopo un po’ di tempo.

– È strano, – mormorò il catalano.

– Cosa pensate capo?

– Pare che attendano veramente dei rinforzi.

– Sì, però non lasceremo loro il tempo di venir sin qui, è vero gran capo?

– No, non verranno, perché domani daremo nuovamente l’assalto al forte.

Giovanni lasciò che il giavanese vegliasse, e rientrò nella sua tenda.

Al mattino, egli uscì completamente armato, ed ordinando ai suoi uomini di muovere alla presa del forte.

L’ufficiale olandese appena vide i nemici muoversi, discese dall’alto del forte ove se ne stava, schierò i suoi uomini sulle mura, e quando i giavanesi giunsero a tiro di fucile, fece alzare una bandiera bianca.

– Oh, pare che voglia venir a trattative! – esclamò Giovanni facendo un cenno ai suoi uomini di fermarsi.

Sandiak alzò pure una bandiera bianca e assieme a Giovanni si avanzò fino a dieci metri dalle mura.

– Capitolate adunque? – gridò il catalano.

– No, – rispose il comandante olandese.

– E perché allora innalzate la bandiera bianca?

– Per invitarvi a rientrare nei vostri accampamenti.

– Ritirarci? Tutt’altro. Voi volete scherzare. Noi piglieremo il forte d’assalto e vi trucideremo dal primo all’ultimo, se non vi arrenderete.

– Ebbene, – disse tranquillamente l’olandese – venite pure, ma alla prima fucilata salgo da Kedir-Peng, e gl’immergo nel petto il mio kriss.

Un grido di rabbia impotente sfuggì da tutte le bocche.

Giovanni però rimase impassibile e disse:

– Fate ciò che vi aggrada, ma vedremo se voi sfuggirete alla nostra vendetta.

Temendo però che il comandante olandese mettesse in esecuzione la minaccia, invitò i suoi uomini a rientrare negli accampamenti.

Appena i guerrieri si furono ritirati, chiamò Sandiak-Sin e gli disse:

– Pel momento nulla possiamo tentare, temendo per la vita di Kedir, però tenderemo al comandante un tranello e sarà ben bravo se lo eviterà.

– Cosa volete fare, capo?

– Egli ormai deve attendere dei rinforzi e noi approfitteremo di ciò per liberare Kedir-Peng.

– Ed in quale modo, capo? – domandò Sandiak, meravigliato.

– Appena giungeranno, noi li attaccheremo e li faremo a pezzi. Colle loro divise vestiremo i nostri uomini e, fingendoci olandesi, entreremo nel forte. Vi sono parecchie migliaia di giavanesi al servizio di Olanda, veri traditori che combattono contro l’indipendenza dei loro compatrioti; ci sarà quindi facile ingannare il comandante.

– Ah, gran capo, voglio essere anch’io della partita!

– Verrai anche tu. Un sotto capo vestito coi miei indumenti e colla faccia imbiancata farà le mie veci, un altro farà le tue.

– Bravo gran capo, – gridò Sandiak.

– Silenzio ora. Mandiamo degli altri uomini alla scoperta onde sorveglino i dintorni da ogni parte per avvisarci per tempo dell’avvicinarsi dei rinforzi, se verranno.

– Lasciate a me la cura di guardarli. Alla prima comparsa del nemico, verrò ad avvisarvi.

Dieci minuti dopo Sandiak-Sin con altri venti uomini partivano dal campo, internandosi nei boschi.

Trascorsero due giorni, durante i quali il comandante della fortezza parve assai inquieto. Raddoppiava i segnali giorno e notte, alcune volte faceva tirar delle fucilate dirigendo i colpi verso i giavanesi, ma per verità non doveva avere altro scopo che cercare di chiamare l’attenzione dei soccorsi che senza dubbio aspettava.

Il mattino del terzo giorno Giovanni fu avvisato che Sandiak-Sin con alcuni uomini arrivava di gran corsa.

Si alzò prontamente e volò incontro al capo dei giavanesi di mare.

– Il nemico, – gridò Sandiak, appena lo scorse.

– È molto numeroso? – domandò Giovanni.

– No, un centinaio d’uomini, e una buona metà sono indigeni al servizio dell’Olanda.

– Ebbene, che duecento uomini mi seguano, – comandò il piantatore.

Poco dopo i duecento giavanesi uscivano dalle tende, armati sino ai denti.

Giovanni chiamò i due sottocapi della spedizione, raccomandò loro di sorvegliar attentamente il forte, indi partì con Sandiak-Sin e i suoi guerrieri.

Dopo due miglia di cammino incontrarono i trenta giavanesi che Sandiak avea lasciato in vedetta, e da questi appresero che il nemico si avanzava a gran passi.

– In linea di battaglia, – gridò Giovanni scorgendo i fucili e le lancie della colonna nemica.

I duecentotrenta guerrieri si schierarono formando un gran semicerchio, al cui centro si trovava Giovanni.

Pochi istanti dopo la colonna nemica, formata di quaranta olandesi e settanta giavanesi armati parte di fucili, ed i più di lancie, moveva rapidamente incontro a Giovanni e ai suoi guerrieri.

Alla vista di quei settanta traditori che marciavano nella colonna olandese, un sordo mormorìo percorse le file degli insorti. Tutti i loro occhi lanciarono lampi, e le loro magre dita tormentavano i fucili e le impugnature dei kriss.

Alcuni istanti più tardi olandesi e insorti si mischiavano confusamente, battendosi con una ferocia senza pari. Si trattava di uccider tutti gli olandesi, senza che nessuno potesse fuggire, per tema che potessero correre al forte. Una rapida battaglia s’impegnò fra i due piccoli eserciti, ma una battaglia senza quartiere.

I giavanesi insorti dilaniavano con rabbia concentrata i loro connazionali traditori, immergendo nel petto di essi a più riprese i loro kriss e gridando a ogni volta che uno ne cadeva:

– Ecco il premio dei traditori.

Giovanni con Sandiak a fianco, si battevano col consueto coraggio, caricando alla testa dei giavanesi di mare.

– Avanti, un ultimo sforzo! – urlò finalmente Giovanni rizzandosi sulle staffe e afferrando una lunga lancia.

– A morte, a morte! – gridarono i giavanesi e tutti uniti si avventarono sui superstiti nemici.

Venti minuti dopo, dei centodieci che formavano la colonna di rinforzo, non rimanevano che alcuni feriti che rantolavano qua e là.

Giovanni si avvicinò a un giavanese che si trascinava al suolo, ferito da un colpo di kriss, e puntandogli il suo pugnale alla gola gli domandò:

– Da dove venite?

Il ferito lo guardò per alcuni istanti cogli occhi semispenti, poi mormorò:

– Da Samarang.

– Quali ordini aveva il tuo comandante?

Il ferito lo guardò ancora, ma questa volta non rispose.

Giovanni gli fe’ sentire la punta del pugnale la quale gli penetrò nelle carni.

– Parlo! – esclamò il ferito abbassando gli occhi.

– Sbrigati allora, – disse freddamente Giovanni.

– Aveva l’ordine di entrare nella fortezza per aiutare il comandante a resistere fino all’arrivo di un vascello.

– Fino all’arrivo di un vascello? E quando deve giungere quella nave?

– Fra pochi giorni.

– Sapeva il comandante del forte che doveva giungergli un rinforzo di uomini di colore?

– Sì, lo sapeva.

– Conosceva il tuo comandante?

– No, ma sa il suo nome.

– Come si chiamava?

– Van Dik, del reggimento di Wan Carpellen.

– Basta, – disse Giovanni – ora vattene ove vuoi, sei libero, – indi tornato presso i suoi guerrieri, disse:

– Indossate le vesti di questi uomini. Sono centodieci, un numero sufficiente per l’impresa che tenteremo.

Poi, volgendosi verso Sandiak, aggiunse:

– Vieni ad assistere alla mia toeletta.

Sandiak, che si era già vestito da sotto ufficiale olandese, lo seguì trascinandosi dietro una lunga sciabola.

Giovanni si sedé sopra un tronco d’albero, e cavò di tasca dell’olio di noce di cocco, col quale si unse la faccia per renderla più oscura. Poi con del carmino tratto da un albero comune a Giava, si dipinse i pomelli delle guancie e la fronte, e si tracciò alcune cicatrici sul mento. Col kriss si tagliò la barba e i baffi. Dopo di ciò indossò le vesti del defunto ufficiale olandese e, rivolgendosi verso Sandiak che lo guardava meravigliato:

– Credi che il comandante del forte possa riconoscermi?

– No, ne sono certo. Stento a riconoscervi io stesso. Scommetto che anche Hamat s’ingannerebbe.

Una nube passeggiera oscurò la fronte di Giovanni, ma si rimise subito e andando verso i suoi guerrieri che lo guardavano meravigliati, disse:

– Voi fingerete ora di esser ausiliari giavanesi al servizio d’Olanda e di battervi coi vostri compagni che guardano il forte, i quali sono già istruiti. Ora per voi non sono più il Cacciatore Nero, bensì il capitano Van Dik. Ad un mio segnale, quando saremo entrati nel forte, voi piomberete sul nemico e libererete Kedir-Peng. Agite ora da veri giavanesi traditori, parlate di Samarang e degli olandesi, giacché al minimo sospetto ne va della vita di Kedir-Peng.

I giavanesi batterono le mani con gioia e messi militarmente i fucili sulle spalle, a quattro a quattro, mossero verso il forte. Gli altri centotrenta uomini erano già partiti e dovevano essere anche ritornati al campo.