La vendetta d'uno schiavo/Capitolo XXXI

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Capitolo XXXI

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Capitolo XXX Capitolo XXXII

Capitolo XXXI

La nave olandese

Giovanni e Sandiak-Sin, l’uno accanto all’altro, marciavano in testa alla colonna. Essi discorrevano vivamente sull’astuzia che avevano inventata e che dovea ben riuscire.

Erano già giunti a un miglio dal forte, quando udirono un colpo di cannone.

– Oh! Cosa vuol dir ciò? – chiese Giovanni fermandosi di botto.

– Un colpo di cannone! – esclamò Sandiak.

– Dei nuovi rinforzi forse?

Un secondo colpo di cannone rimbombò.

– È venuto dalla parte del mare, – osservò Sandiak.

– Che sia il vascello olandese? – mormorò Giovanni, aggrottando la fronte.

– Bisogna accertarsene, capo. Il mare è a poca distanza da qui.

Giovanni fe’ fermare la colonna e spronati i cavalli, si diressero, assieme al giavanese, verso la spiaggia che distava un miglio appena. Quando vi giunsero, scorsero subito un vascello con bandiera olandese il quale correva a bordate, dirigendosi verso il forte.

– Ah! La nave che deve portare Kedir-Peng a Batavia! – esclamò Giovanni.

– È un vascello di forte tonnellaggio, e bene armato, – affermò Sandiak-Sin.

– Non fa nulla, ho già il mio piano. Torniamo al forte, – disse Giovanni.

Il giavanese lo imitò e dopo dieci minuti arrivavano presso i loro guerrieri. Il primo diede il segnale della partenza e la colonna si mise in marcia.

Mentre attraversavano la foresta, il piantatore che pochi minuti prima pareva così tranquillo, dava frequenti segni d’inquietudine, come fosse tormentato da qualche grave pensiero. Sandiak se ne accorse poiché gli chiese:

– Che cosa avete, capo?

– Quel vascello mi fa pensare.

– E perché, capo? Se sarà necessario c’imbarcheremo assieme alla guarnigione.

– Penso che se quel vascello è partito da Samarang invece che da Batavia, il capitano saprà certamente chi era Van-Dik, forse lo conoscerà e non ignora che la colonna si componeva di quaranta bianchi e settanta ausiliari invece di cento giavanesi e d’un bianco.

– Eh via, con un po’ d’audacia ce la caveremo.

– Lo so, ma temo per Kedir-Peng.

– Forse il capitano di quel vascello non ha mai conosciuto il comandante della colonia, capo. E poi inventeremo qualche frottola, diremo che Van Dik e i suoi quaranta uomini bianchi sono stati assassinati e che voi siete un suo parente.

– Hai ragione, Sandiak.

In quel mentre essi giungevano a cinquecento passi dal forte.

– Fingete di battervi e bruciate solamente polvere, – disse Giovanni volgendosi ai guerrieri.

Questi ubbidirono, caricarono i fucili a polvere e mossero rapidamente verso il forte.

D’un tratto un immenso clamore si levò dal campo degli assedianti, e in trecento corsero su la colonna di Giovanni, scaricando i loro fucili e gettandosi sui pretesi nemici con ardore senza pari.

La colonna di Giovanni rispose a fucilate, e accelerò il passo battendosi a oltranza.

Gli olandesi del forte, vista quella colonna di ausiliari giavanesi che veniva in loro aiuto, non tardarono ad aprire il fuoco contro il nemico, che vi rispose non già coi fucili carichi a polvere ma carichi di palle di piombo.

La colonna battendosi sempre, si avvicinava al forte in mezzo a un nuvolo di polvere, respingendo vigorosamente i supposti nemici che l’attaccavano da tutte le parti.

Gli olandesi del forte temendo che venisse sopraffatta uscirono in cinquanta o sessanta, cacciando i nemici. Giovanni trascinando i suoi alla carica, si congiunse agli olandesi, e poco dopo la sua colonna entrava nel forte lasciando nelle mani dei giavanesi otto o dieci dei suoi uomini, onde colorire meglio l’inganno.

In quanto ai cinquanta olandesi usciti in loro aiuto, ne avevano lasciati più della metà al suolo. Sbarrata la porta del forte e abbassato il ponte, Giovanni e i suoi uomini furono ricevuti con grandi evviva dalla guarnigione del forte.

Il comandante gli venne incontro e stringendogli la mano senza diffidenza alcuna: – Capitano, siate il benvenuto, – gli disse.

Giovanni s’inchinò dicendo:

– Sono lieto, signore, di essere riuscito nell’impresa.

Il comandante lo invitò a sedere e guardandolo fisso gli domandò:

– Capitano, come vi chiamate? Mi scuserete se vi faccio questa domanda, ma la sicurezza del forte lo esige.

– Van-Dik, – rispose francamente Giovanni.

– Da dove venite?

– Da Samarang; sono stato mandato dal generale Wan Carpellen in vostro aiuto.

– Lo sapevo e v’aspettavo, – disse il comandante.

Giovanni sorrise impercettibilmente, mentre un lampo di gioia gli balenava negli occhi.

Il comandante lo condusse dopo dalla parte della muraglia che dominava il mare, e indicandogli il vascello che aveva gettato l’ancora a cento metri dalla spiaggia disse:

– Quel vascello viene da Batavia per prender Kedir-Peng e condurlo colà, ove sarà mostrato alla popolazione entro una gabbia, come una bestia feroce, prima di venire relegato in qualche isola della Malesia.

– E perché non lo uccidono? – domandò Giovanni.

– Non lo so; credo che si tema d’inasprire troppo gl’insorti.

– E quando l’imbarcherete?

– Domani mattina, ai primi raggi del sole. Fra poco un centinaio di marinai sbarcheranno a terra, e verranno ad aiutarci per respinger gli assedianti.

Giovanni non rispose, ma si morse le labbra.

– Volete veder ora Kedir-Peng? – continuò il comandante.

– Sì, vorrei vedere questo famoso guerriero.

– Seguitemi, capitano.

Giovanni venne condotto nell’interno del forte, e dopo aver salito una cinquantina di gradini, fu fatto fermare dinanzi a una porta guardata da due sentinelle.

Il comandante si volse verso Giovanni e disse:

– Vedete se Kedir-Peng è ben guardato. D’altronde avevo incaricato queste due sentinelle di ucciderlo nel caso che i giavanesi fossero riusciti ad impadronirsi del forte.

– Siete prudente, – rispose Giovanni.

Il comandante fece aprire la porta ed entrarono tutti e due, accompagnati da una sentinella.

La camera ove stava il prigioniero era vasta e ben rischiarata. Kedir-Peng, sdraiato tranquillamente su un pagliericcio, fischiava fra i denti una canzone giavanese dell’eroe Pandji. Alla vista dei tre uomini ei si levò a sedere, e nello scorgere Giovanni, che avea riconosciuto malgrado le sue tinte e le sue cicatrici, trasalì. Però, vedendo gli occhi del catalano socchiudersi parecchie volte, capì che dovea tacere.

Il comandante si avvicinò a Kedir-Peng e gli domandò:

– Come state gran capo?

– Bene, – rispose ironicamente il giavanese.

– Conoscete il capitano Van Dik?

– Mi pare di averlo visto in una battaglia. Anzi gli piantai, se non mi sbaglio, il mio kriss nel petto.

Giovanni finse di arrossire di collera e aprendosi la giubba e scoprendo il petto lasciò vedere una vecchia cicatrice, esclamando:

– Furfante, è in questo luogo che mi hai colpito. Fortuna per te che non avevo le mie pistole.

Kedir-Peng si strinse nelle spalle.

– Avete un segno che vi rammenterà l’insurrezione di questi banditi, – disse il comandante.

– Purtroppo, – mormorò Giovanni.

– Discendiamo, capitano, fra poco i marinai del vascello sbarcheranno.

Giovanni fe’ rapido cenno a Kedir-Peng che voleva dire «state pronto a tutto» e uscì dietro al comandante.

A metà della scala il cannone del vascello rombò sordamente.

– I marinai, – esclamò il capitano.

Uscirono dal fabbricato centrale e salirono sui terrapieni della cinta. In quel momento quattro lancie cariche di uomini, e armate di quattro grosse spingarde, si avvicinavano rapidamente.

I giavanesi che assediavano il forte, fecero alcune scariche per impedire lo sbarco, ma alla prima cannonata che il vascello inviò loro, si ritirarono precipitosamente lasciando che i cento marinai olandesi sbarcassero tranquillamente, tali essendo le istruzioni ricevute già prima dal loro capo.

Sarebbe stato meglio per Giovanni impedire che quei rinforzi sbarcassero, ma aveva giudicato inutile esporre i suoi uomini ai dodici cannoni del vascello ed ai fucili degli assediati.

I cento marinai, sbarcati così felicemente, quasi senza perdite, ebbero le più entusiastiche accoglienze da parte della guarnigione, la quale ormai si vedeva salva dagli attacchi degli assedianti, essendo protetta dai cannoni del vascello.

Per festeggiare il lieto avvenimento, il comandante quella sera offrì un lauto banchetto ai marinai ed agli ufficiali, a cui prese anche parte Giovanni, quantunque fosse stato più lieto di rinunciarvi, avendo già troppe preoccupazioni.

L’inatteso arrivo di quel legno, aveva scombussolato i suoi piani, rendendo ormai estremamente difficile la liberazione del capo giavanese.

Ormai non rimaneva che una speranza. Imbarcarsi sul vascello assieme alla guarnigione e tentare un colpo disperato durante il viaggio, approfittando di qualche circostanza fortunata.

Tale progetto, il solo forse attuabile, quella istessa notte, mentre la guarnigione faceva i preparativi per la partenza, veniva discusso a lungo fra Giovanni e Sandiak e da entrambi accettato.

– L’impresa non sarà facile, ma non ne possiamo scegliere una migliore, – disse Giovanni. – D’altronde possiamo contare su cento uomini risoluti, pronti a farsi anche uccidere pur di liberare il loro capo. Quando saremo a bordo del vascello, vedremo cosa ci converrà fare e come dovremo regolarci.

All’alba, mentre il legno da guerra faceva tuonare i cannoni contro gli accampamenti giavanesi onde impedire da parte degli assedianti un nuovo attacco, la guarnigione lasciava il forte conducendo con sé Kedir-Peng solidamente legato.

Otto scialuppe erano state mandate sulla spiaggia, sicché l’imbarco fu rapido.

I giavanesi però non li lasciarono tranquilli e finsero gran furore, tentando di impedire l’imbarco, non ostante l’incessante tuonare dei cannoni.

Quando Giovanni giunse a bordo, il forte fiammeggiava su tutti i punti ed i suoi guerrieri danzavano attorno alle crollanti muraglie come una legione di demoni.