Le Selve Ardenti/VIII

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Capitolo VIII
L’assedio

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VII IX
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Capitolo VIII.


L’assedio.


L’indian-agent ed il signor Devandel avevano ritirata sollecitamente la lunghissima corda, chiedendosi reciprocamente ansiosi chi poteva essere stato a far fuoco per ben due volte sul bandito, fortunatamente senza colpirlo.

— Non cercate tanto, signore, — disse il vecchio scorridore di prateria dopo aver arrotolata la corda e averla gettata in un angolo. È stato qualche guerriero di Minehaha o di Nube Rossa vigilante sulle rive del fiume.

— L’avrò preso?

— No, no, di questo son certo. È scappato di sotto l’acqua più vivo di prima. Che corpo d’acciaio ha quell’uomo! Nessun altro avrebbe tentato, con un freddo così intenso, una simile prova.

— Riuscirà a toccare la riva?

— Quell’accidente lì? Scommetterei che sarebbe capace, con la sua pelle di bisonte grondante d’acqua, di scendere fino alle montagne dei Laramie, se non a quelle della grande catena dei Monti Pietrosi. I birbanti di quella fatta sono più corazzati dei coccodrilli.

— Sicchè tu speri di vederlo?

— Quanto prima, signor Devandel, — rispose l’indian-agent, il quale continuava a snodare non senza fatica lo corde che lo acque avevano ristrettite assai.

— E gl’indiani?

— Ecco il gran pericolo! Se si sono accorti che noi siamo qui, non mancheranno di farci una visita. Prima distruggeranno le bestie feroci, ma dopo saranno più spietate quelle pelli-rosse dei coguari, dei giaguari o degli orsi. Dei lupi non mi occupo nemmeno.

Alcuni spari rimbombarono in quel momento. Nella grande sala i rifles facevano udire la loro voce.

[p. 79 modifica]— Che siano tornate le bestie? — chiese l’indian-agent afferrando la carabina. — Come sono noiose!

Si direbbe che hanno giurato di banchettare colle nostre carni piuttosto che con quelle dei bisonti, dei mooses e dei wapiti.

Signor Devandel, andiamo a bruciare altri sakems. —

Tornarono lestamente nella gran sala, sempre illuminata dalla misteriosa lampada, portando con loro anche il rifle del bandito, e videro l’inglese, Harry e Giorgio in posizione di sparare a cinque passi dalla porta.

Dinanzi a loro, altre quattro o cinque mummie ardevano, sventrandosi con dei colpi secchi come se avessero messi dentro i loro corpi delle castagnole.

— E dunque, Harry? — chiese il signor Devandel caricando precipitosamente la carabina.

— Che cosa volete, capitano, — rispose lo scorridore facendo un gesto di scoraggiamento. — Io non ho mai veduto bestie più ostinate di queste.

Vogliono assolutamente forzare il passaggio e gettarsi su di noi. Si direbbe che Minehaha c’entra un po’ in tutta questa faccenda.

— O meglio che c’entrerà più tardi, — disse l’indian-agent.

— Perchè dici questo, John?

— Perchè gli Sioux ormai sanno che noi ci troviamo qui.

— E come?

— Che ne so io, Harry? Il fatto sta che hanno fatto fuoco per due volte contro Sandy-Hook, mentre quel valoroso si calava attraverso la rapida.

— È già andato?

— Non ha paura del freddo quel diavolo d’uomo.

— E l’hanno ucciso?

— Tu sai che gl’indiani non hanno mai imparato a sparar bene — rispose l’indian-agent.

Due spari interruppero il dialogo.

Un gigantesco orso grigio, niente spaventato dal fuoco, erasi mostrato attraverso le vampe, e lord Wylmore ed il signor Devandel lo avevano abbattuto, piantandogli nel cranio un paio di palle coniche di buon peso.

La caduta del colosso era stata accolta dalle altre belve con un urlìo spaventevole, il quale si era ripercosso sinistramente dentro la vasta sala.

— Montano all’assalto — disse John. — La faccenda minaccia di diventare molto seria.

Che siamo proprio destinati a morire spolpati? Fortunatamente delle mummie ve ne sono ancora in buon numero.

[p. 80 modifica]Cerchiamo per altro di economizzare. —

Un odore nauseante saliva di dietro la pietra. Un pezzo di mummia era caduta sull’orso ed il grasso animale folto di peli arrostiva allegramente, mandando vampe vivissime.

La cotenna si struggeva rapidamente facendo scorrere giù pei gradini dei veri rivoletti di grascia ardente.

Le belve, capitanate specialmente dai lupi che si mostravano i più accaniti, si erano precipitosamente ritirate, urlando ed ululando più forte che mai.

— Per centomila corna di bisonte! — esclamò l’indian-agent. — Anche gli orsi qualche volta servono a qualche cosa dopo morti.

— Se non altro ad aiutare le nostre mummie che bruciano troppo presto — disse Harry. — Ah, se si potesse prendergli uno zampone per la nostra cena!... Dimmi, John, ne hai trovati dei viveri tu nella rotonda?

― Un po’ di granturco e del tasaio che deve aver veduto mille soli.

Io credo che l’ultimo degli Atabask fosse anche all’ultimo delle sue provviste.

— Allora lascia fare a me. Una cena ci vuole. —

Col calcio del fucile gettò via gli avanzi delle mummie che ancora ardevano, poi con un gran salto, prima che John ed il signor Devandel avessero pensato a trattenerlo, varcò la pietra che serviva di barriera.

Andò a cadere sul terzo gradino colante di grasso e fu un vero miracolo se potè mantenersi in piedi.

— Harry! — urlò John, puntando il rifle. — Che cosa fai? Sei pazzo?

— Cerco la cena. —

Lo scorridore di prateria, niente impaurito dalla presenza dei numerosissimi animali che urlavano all’estremità della scala, estrasse la navaja e con pochi colpi staccò all’orso una delle zampe posteriori.

Il pelame non ardeva più, quindi poteva tagliare senza pericolo; ma il grasso sotto la cotenna continuava a struggersi.

Si era già guadagnata la cena e stava per porgere a John lo zampone, più o meno arrostito, quando un coguaro con un coraggio straordinario per un animale tanto inferiore ai giaguari, spiccò un gran salto e gli si avventò addosso.

Lo scorridore robustissimo sostenne l’urto senza cadere, e fu una grande fortuna per lui, poichè la grascia del grizly fiammeggiava ancora; così si volse impugnando colla destra la navaja e colla sinistra lo zampone, del quale si serviva come di scudo contro i colpi d’unghia.

L’indian-agent ed i suoi compagni, che già si aspettavano qualche brutta sorpresa, vegliavano con molta attenzione su di lui.

[p. 83 modifica]Rimbombarono due spari, poi altri due a brevissima distanza, ed il coguaro cadde fulminato, e rotolò giù per la gradinata che fiammeggiava.

― Grazie, amici, ― disse lo scorridore saltando la pietra. ― Voi mi avete salvato la vita ed io in contraccambio vi offro una cena squisita.

Sapete bene che gli zamponi d’orso sono migliori della groppa dei bisonti.

― Non commettere altre di queste imprudenze ― suggerì John. ― Non scherzare con quelle bestiacce. Se l’assalitore fosse state un giaguaro, tu non avresti potuto reggere all’attacco, ed ora friggeresti poco allegramente nella grascia del grizly.

― Non credevo che osassero tanto! Si direbbe che quelle belve dopo aver divorata la loro domatrice, sono diventate idrofobe.

― E ciò mi da molto a pensare, camerata. Quasi quasi preferirei gli Sioux.

― Non tarderemo a vederli, John, ― disse il signor Devandel.

― Lo credete?

― Vorranno sapere chi abita questa penisola, e, quando meno ce lo aspettiamo, li vedremo approdare.

— Con quali barche?

— Si fabbricheranno delle zattere.

― È vero, signor Devandel, non ci avevo pensato.

Ecco un pericolo che io, fino a poco fa, non sospettavo.

— Credi tu che vengano?

— Ne ho il presentimento, signor Devandel. Gli Sioux sono furiosi contro gli uomini bianchi dopo la loro grande emigrazione che li ha privati, e ormai per sempre, dei ricchi pascoli della bassa prateria e del passaggio dei numerosi branchi di bisonti. —

In quel momento l’indian-agent si sentì tirare abbastanza vivamente per una manica. Si volse e si trovò dinanzi a lord Wylmore.

― Che cosa desiderate, signore? — gli chiese.

― Voi prima di tutto chiamare me milord.

— Sia pure.

— Io voler sapere ove essere andato mio maestro di boxe. Essere l’ora della seconda lezione.

— Intendete di parlare di Sandy-Hook?

Yes.

— È lontano.

— Come? Me avere abbandonato! Io pagarlo.

— Ritornerà, milord.

― E mia lezione di boxe?

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— Noi siamo maestri di rifle e non di pugni, milord, — rispose l’indian-agent.

— Io volere mia lezione! — gridò irato l’inglese. — Io essere un lord!

— Me n’infischio.

— Voi infischiare di me?

— Certo. Noi non abbiamo tempo di occuparci dei vostri divertimenti.

— Io essere venuto in America per uccidere bisonti e imparare la boxe.

— Dovevate restarvene in Inghilterra. —

Ciò detto John gli volse le spalle per riprendere il discorso col signor Devandel, quando un pugno formidabile lo colpì dietro il dorso.

Lord Wylmore gli aveva fatto quel grazioso regalo colla segreta speranza forse di provocarlo e deciderlo a fare una partita di boxe.

L’indian-agent, che era robusto come un bisonte, non aveva nemmeno oscillato sui suoi larghi mocassini, ma non aveva potuto trattenere una smorfia, poichè il pugno era stato poderoso.

— Che cosa fate, briccone? — gridò il signor Devandel gettandosi addosso all’inglese.

Anche questa volta i due scorridori, Giorgio ed Harry, lo prevennero. Con due salti erano piombati sul testardo e l’avevano afferrato strettamente ai polsi, per impedirgli di raccogliere la carabina e di servirsene.

— Gettiamolo nella rapida! — gridò Giorgio. — Quest’uomo è pazzo e finirà col commettere delle sciocchezze!

— Sì sì, nella rapida e prima che le belve ritornino all’attacco! — approvò Harry, il quale l’aveva a morte con quel testardo.

Lord Wylmore fece i maggiori sforzi per liberarsi da quelle strette, ma senza riuscirvi, poichè i due scorridori avevano dei muscoli d’acciaio.

— Fermate! — disse il signor Devandel, vedendo che anche John pareva disposto ad aiutarli. — Noi non abbiamo il diritto di ammazzare quest’uomo, amici.

— Può diventare pericoloso come un giaguaro o come un vecchio orso grigio — osservò l’indian-agent. — Abbiamo ben altro da fare che occuparci di costui, mentre le belve forse stanno nuovamente raccogliendosi.

— Vediamo, milord, — disse il capitano puntando la canna della carabina contro di lui. — Che cosa volete da noi?

— Io volere rivedere brigante maestro di boxe — rispose l’inglese. — Voi, birbanti, averlo ucciso e io non potere fare mia lezione.

[p. 85 modifica]— Vi dico che è andato in cerca di aiuti.

— Io non averlo veduto passare di qui.

— Sfido io! Se n’è andato dalla parte della cascata.

— Cascata!

— Sì, milord.

— Io andare raggiungerlo.

— Se così vi piace noi non ci opporremo, milord, ― disse John. — Vi è ancora la fune di cui si è servito quel bravo Sandy-Hook per discendere nella riviera oltre la rapida.

— Aho! Giunto a riva?

— Benissimo! — esclamò John.

— Allora il brigante trovarsi nella capanna.

— Può darsi. —

L’inglese riflettè un momento, poi soggiunse:

— Preferisco andarmene.

— Vi avverto che farà freddo nella rapida ― disse il signor Devandel.

Lord Wylmore alzò le spalle.

— Io non temere freddo e nuotare come lord Byron. Voi non sapere chi essere stato lord Byron?

— Un famoso poeta, se non m’inganno.

— Morto dove?

— Io non lo so.

— In Grecia.

— Bene, e poi?

— Nuotava come un pesce.

— E voi, milord, nuotate pure come un pesce? — chiese l’indian-agent, il quale cominciava ad impazientirsi.

In quell’istante si udirono Harry e Giorgio gridare:

— Accorrete, camerati! Le belve! —

John ed il capitano lasciarono precipitosamente la rotonda, senza più occuparsi dell’inglese, il quale era rimasto fermo dinanzi alla finestra, cogli occhi febbricitanti fissi sulle acque tumultuose della cascata.

Quando giunsero per la seconda volta nell’ampia sala, videro Harry o Giorgio occupati a far raccolta di mummie, che subito ammonticchiavano sopra la costa della pietra, aspettando il buon momento di darle alle fiamme.

— Ancora le belve? — chiese l’indian-agent facendo un gesto di furore.

— Si preparano a tornare alla carica — rispose Harry. — Ma io temo che ora delle persone, non certamente nostre amiche, le spingano verso di noi.

[p. 86 modifica]— Perchè dici ciò?

— Abbiamo udito due colpi di fucile rimbombare all’estremità della penisoletta.

— Di carabina o di wynchester?

Wynchester piuttosto; è vero, Giorgio?

— I rifles avrebbero fatto maggior fracasso — rispose il secondo scorridore di prateria.

John guardò il capitano Devandel con una viva ansietà.

— Che cosa dite voi, signore? — gli chiese.

— Che questa sorpresa da parte degli Sioux era da aspettarsela — rispose il capitano. — Io non ho dimenticato i due colpi di fucile sparati contro Sandy-Hook, mentre scendeva la rapida.

— Nemmeno io, tuttavia non credevo che le tigri rosse giungessero così presto.

Come ce la caveremo noi?

— Quando le belve, prese fra due fuochi, saranno distrutte, terremo testa alle pelli-rosse finchè giungerà Sandy-Hook.

— Potremo resistere?

— Questo si vedrà. Intanto diamo fuoco alle mummie, prima che i giaguari, i coguari ed i lupi, se non gli orsi, irrompano nella sala. —

Vi erano accumulate fra sedia e sedia dei sakems indiani, numerose torce d’ocote le quali, come già abbiamo detto altre volte, ardono forse meglio d’una candela di sego o di resina.

Harry ne accese una e diede fuoco ad una mezza dozzina di mummie, mentre l’indian-agent piantava fra i due occhi d’un giaguaro, giunto già sulla cima della gradinata, una palla, e lo abbatteva di colpo.

Come le altre volte le belve furono costrette ad indietreggiare, mentre le vampe si alzavano impetuosissime scoppiettando.

John, per altro, notò subito che le belve non si erano affatto allontanate in direzione della penisoletta, sulla quale supponeva fossero sbarcati gl’indiani.

— Uhm! — brontolò. — A noi ora non converrebbe distruggere troppo presto le bestie feroci.

Quando non ve ne saranno più, avremo dinanzi gl’indiani e la nostra condizione sarà piuttosto peggiorata.

Se gli americani tardano a giungere, la mia parrucca e le capigliature dei miei compagni passeranno nelle mani di Minehaha e di Nube Rossa.

— Brontoli, john? — disse il signor Devandel.

— Credo di avere i miei buoni motivi.... Là!... Udite? Due, quattro, sei colpi di wynchester.

[p. 87 modifica]Gli Sioux si avanzano attraverso la penisoletta, respingendo le belve contro di noi.

Fra poche ore subiremo un formidabile assalto.

— Abbiamo ancora un centinaio e mezzo di mummie da bruciare.

— Queste non impediranno alle palle dei wynchester di giungere fino a noi, signor Devandel. Queste carcasse non offrono alcuna resistenza.

— Lo so.

— Bruciamo alcune cartucce, signore. Le belve, che si sentono assalite anche alle spalle, faranno uno sforzo supremo per rifugiarsi qui dentro.

— Io sono pronto alla grande battaglia.... To’!... E lord Wylmore?

— Corpo di un bisonte fracassato e poi arrostito intero! — esclamò l’indian-agent. — Non mi ricordavo più affatto di quel pazzo.... Harry, Giorgio, tenete testa voi soli per qualche minuto. Torniamo subito.

— Andate pure — risposero i due scorridori di prateria, gettando sul bracere altre mummie.

Il capitano e l’indian-agent si slanciarono a gran corsa verso la rotonda e non seppero frenare un grido di stupore.

L’inglese era scomparso, lasciando sotto la finestra una parte dei suoi indumenti.

— Si è calato nella rapida! — esclamò John, curvandosi sul davanzale e gettando un lungo sguardo sull’abisso rumoreggiante.

— Che si sia annegato? — chiese il capitano. — Mi dispiacerebbe.

— A me niente affatto, signore. Ci ha dato abbastanza noie quell’originale.

La corda pende ancora, e pare che l’altro capo sia stato fissato alla punta di qualche roccia.

— Che egli fosse veramente un nuotatore famoso?

— Credete ai pazzi, voi, signore?

— Che cosa fare?

— Abbandoniamolo al suo destino! — rispose John. — Per il male che gli voglio gli auguro di raggiungere ben presto Sandy-Hook e di riprendere le sue partite di boxe. —

Nel salone, gli spari succedevano agli spari, poichè i due scorridori si servivano anche della magnifica carabina a due colpi del lord.

— Guerra! Guerra! — gridò l’indian-agent, il quale si era armato anche d’un tomahawk, che forse aveva appartenuto al padre dell’ultima degli Atabask.

— Con poche speranze di spuntarla a nostro vantaggio — disse il capitano scotendo il capo. — Fra poco, qui, farà un bel caldo!... —

Harry e Giorgio, ritti dietro al bracere formato da un’altra dozzina [p. 88 modifica]di mummie, sparavano rabbiosamente sopra un’orda di belve feroci, le quali si sforzavano di conquistare il rifugio.

Dalla parte della penisola, numerosi colpi di fuoco rimbombavano, e divenivano sempre più distinti.

Molti wynchesters dovevano essere in giuoco, maneggiati da un buon numero di Sioux.

Forse Minehaha in persona, o il vecchio Nube Rossa, guidavano i guerrieri, eccitandoli alla distruzione delle belve, le quali formavano una barriera troppo pericolosa ad attraversarsi.

Urli spaventevoli, muggiti, ruggiti, ululati si alzavano di quando in quando, coprendo perfino il fracasso delle armi da fuoco.

La sorte di quelle povere bestie ormai decisa, poichè non potendo esse rifugiarsi nella gran caverna, la cui porta sembrava tramutata nella bocca d’un vero vulcano, e bersagliate senza posa dai guerrieri rossi, che s’avanzavano attraverso i canneti scaricando le loro armi a ripetizione dovevano infallantemente cadere in massa sulla gradinata della caverna misteriosa.

— Mummie! mummie! — gridava John. — Bisogna risparmiare le munizioni.

Lasciate agl’indiani l’incarico di spazzare via, orsi, giaguari, coguari e lupi. —

Le disgraziate carcasse dei sakems degli Atabask e delle loro mogli, strappate dagli sgabelli, venivano senza posa scaraventate in quella specie di forno, e facevano dei veri capitomboli quando scoppiavano.

Non vi era da temere che le belve tentassero di attraversare quella puzzolente barriera di fuoco, che tuonava come se dentro quelle carcasse ci avessero messo dei pedardi.

I due scorridori si erano ritirati dietro lo stipite di destra, formato da una rozza e massiccia colonna grossolanamente scolpita; il capitano e l’indian-agent si erano messi al sicuro dietro a quello di sinistra, poichè più di una palla aveva attraversata la barriera di fuoco sibilando nel salone.

Nessuno più sparava: tutti ascoltavano in preda ad una estrema angoscia.

Una spaventosa battaglia doveva essersi impegnata fra le ultime belve ed i guerrieri indiani, a giudicarlo dagli urli, dagli spari, dai rantoli.

I wynchesters non dovevano tardare ad avere ragione contro il gruppo ormai tanto assottigliato e terrorizzato dai fumo o dalle scintille, che irrompevano con estrema violenza attraverso la porta a cagione della grande corrente che entrava dalla finestra aperta sulla rapida.

[p. 89 modifica]Quel fuoco, un vero fuoco di fila, durò una buona mezz’ora; poi i fremiti degli orsi cessarono, le urla rauche dei coguari e dei giaguari si spensero, gli ululati dei lupi si strozzarono dentro le gole lacerate dalle palle.

Vi fa una breve sosta, poi una voce ancora poderosa attraversò la barriera di fuoco, gridando:

— Gli uomini bianchi depongano le armi nelle mani di Nube Rossa e dei suoi Corvi: Minehaha li aspetta. —

L’indian-agent lanciò un’imprecazione.

— Crepa, vecchio cane! — esclamò poi con voce furente. — Le nostre capigliature non hanno ancora provato il coltello della sakem.

— La tua, sì! — rispose il vecchio guerriero. — Tu sei John, il famoso indian-agent che ha scotennato la grande Yalla, mia moglie; ma mia figlia Minehaha a suo tempo ti ha pure scotennato. La tua capigliatura, adorna lo scudo di guerra della sakem.

— Crepa! — rispose per la seconda volta l’indian-agent, sparando a casaccio un colpo di rifle, attraverso la cortina di fuoco e di fumo.

Una gran risata fu la risposta.

Nube Rossa aveva sempre avuto fortuna.