Lo scita

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Luciano di Samosata Antichità 1862 Luigi Settembrini Indice:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu racconti Letteratura Lo scita Intestazione 29 aprile 2023 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini


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XXIV.

LO SCITA,

o

IL PROTETTOR DEL FORESTIERE.



Non fu Anacarsi il primo che venne di Scizia in Atene per desiderio della gentilezza greca; ma prima di lui fu Tossari, savio uomo e vago di conoscere le belle cose, e le buone istituzioni; non di stirpe reale, nè di nobili incappellati,1 ma popolano scita, e di quelli che sono chiamati ottopiè, cioè padrone di due buoi e d’un solo carro. Questo Tossari non tornò più in Scizia, ma si morì in Atene: e non guari dopo gli Ateniesi lo tennero come eroe, ed ora offrono sacrifizi al Medico forestiero: che, divenuto eroe, s’acquistò quest’altro titolo. Perchè lo chiamarono così, perchè lo annoverarono tra gli eroi e tra i figliuoli di Esculapio, forse non è soverchio raccontare; affinchè sappiate che non solo gli Sciti a casa loro usano d’immortalare gli uomini e mandarli dal loro Zamolchi, ma anche gli Ateniesi possono indiare gli Sciti in Grecia.

Al tempo della peste grande la moglie di Architele l’areopagita sognò che le compari questo Scita, e le comandò di dire agli Ateniesi che per far cessare la peste dovevano spruzzar molto vino per le vie della città. Fatto questo molte volte (gli Ateniesi che udiron la cosa non la trascurarono), non ci fu peste più: sia perchè l’odore del vino purificò l’aria infetta, sia per altra cagione conosciuta da Tossari, che come dottore in medicina prescrisse quel rimedio. Oggi ei riceve ancora il premio di quella guarigione, gli è sacrificato un cavallo bianco sul monumento, dove Demeneta additò che egli era uscito e le aveva fatta quella prescrizione del vino. Fu [p. 62 modifica]trovato che quivi era sepolto Tossari, e fu riconosciuto ad una iscrizione che pur non appariva tutta intera; e più perchè su la colonna era scolpito uno Scita che nella destra mano teneva un arco teso, e nella sinistra una cosa, come un libro. Anche oggi se ne vede più che mezzo, tutto l’arco, ed il libro; ma la parte superiore della colonna e la faccia è rotta e guasta dal tempo. Sta non lungi dal Dipilo, a sinistra quando si va all’Academia è un tumolo non molto grande, e la colonna è rovesciata, ma sempre coronata di fiori: e dicono che egli ha risanati molti dalla febbre, ed io lo credo bene perchè egli una volta risanò la città tuttaquanta.

Ora questo Tossari viveva ancora quando Anacarsi sbarcato di fresco, saliva dal Pireo, e come forestiero e barbaro tutto turbato alla nuova vista, ed intronato a tanti rumori, non sapeva che si fare. S’accorgeva che la gente che lo guardava lo deridevano per le vesti che ei portava, non trovava uno che conoscesse la sua lingua, onde era pentito di aver fatto quel viaggio, e s’era determinato di pur vedere Atene, e subito tornarsi, rimbarcarsi, e rifar vela pel Bosforo, donde non gli era lungo il cammino per casa sua tra gli Sciti. Stando così Anacarsi, gli viene incontro, proprio come un buon genio, Tossari appunto nel Ceramico. Egli riconobbe la veste del suo paese; ed anche poteva conoscere facilmente Anacarsi, che era di nobilissimo legnaggio, e dei primi tra gli Sciti: ma Anacarsi come avria potuto riconoscer lui vestito alla greca, con la barba rasa, senza scimitarra a cintola, che al parlare ed alle maniere pareva nato nell’Attica? Tanto egli era mutato dal tempo. Tossari adunque parlandogli scita: Non sei tu, disse, Anacarsi di Deuceto? Pianse di gioia Anacarsi a trovare uno che parlava la sua lingua, e conosceva chi egli era tra gli Sciti; onde rispose: E tu come mi conosci, o forestiero? E quegli: Sono anch’io del tuo paese, e mi chiamo Tossari: non son nobile, però forse non mi puoi conoscere. — Oh, se’ tu quel Tossari del quale ho udito parlare; come un Tossari per amore della Grecia, lasciando la moglie in Scizia e i figliuoletti, se n’andò in Atene, e quivi ora vive onorato dai più valenti uomini? — Son io, rispose; se tra voi si parla ancora di me. — Or sappi, disse Anacarsi, che io sono tuo [p. 63 modifica]discepolo, e tuo rivale nell’amore che t’innamorò di vedere la Grecia. Questo è il negozio che m’ha fatto partire, e venir qui, e sostener mille fatiche fra tante genti. Pure se non mi fossi scontrato in te, ero già deciso, prima di cadere il sole, di rimbarcarmi: tanto m’ero turbato vedendomi in un mondo tutto nuovo e sconosciuto. Ma deh, per la Scimitarra e per Zamolchi nostri iddii, siimi tu guida, o Tossari, e mostrami quanto di bello è in Atene prima, e poi in tutta Grecia, le migliori leggi, gli uomini più valenti, i costumi, le solennità, la vita che qui si mena, il governo, e tutte le altre cose, per le quali tu, ed io dopo di te, facemmo tanta via; e non volere che io me ne torni senza averle vedute. — Cotesto non è parlare da innamorato, rispose Tossari: venir sino alla porta, e tornarsene indietro. Ma fa’ cuore: tu non te ne anderai, come dicevi, nè questa città te ne farebbe andar facilmente: ella ha tante attrattive pei forestieri da non farti ricordar più nè di moglie nè di figliuoli, se n’hai. Ora per veder subito tutta Atene, anzi tutta Grecia ed il fior fiore dei Greci, ti suggerirò io un mezzo. È qui un sapiente uomo, paesano sì, ma che ha viaggiato assai in Asia ed in Egitto, e conosciuto molti savi uomini: ei non è ricco, anzi è poverissimo: vedrai un vecchio così vestito alla buona, ma per la sapienza e le altre virtù sue lo tengono in sì grande onore, che lo hanno fatto legislatore ed ordinatore della città, e vivono secondo le sue leggi. Se costui ti acquisterai per amico, e conoscerai che uomo egli è, fa’ conto che in lui tu avrai tutta la Grecia, e saprai il meglio che qui può sapersi. Onde io non potrei farti un dono maggiore che presentarti a lui. — Dunque non indugiamo, o Tossari, rispose Anacarsi; conducimi a lui. Ma io temo che egli sia di difficile accesso, e tenga poco conto della tua raccomandazione per me. — Oh altro, disse quegli: io so di fargli un gran dono a porgergli l’occasione di beneficare un forestiero. Vieni con me, e vedrai quanto rispetto egli ha pe’ forestieri, quanta cortesia e bontà. Ma eccolo; un buon genio lo mena a noi: è quegli che va pensoso e parlando tra sè. — Ed avvicinandosi a Solone gli disse: Vengo a farti un dono grandissimo, a condurti questo forestiero che ha bisogno di amicizia. Egli è scita, e della nostra prima nobiltà: eppure lasciando [p. 64 modifica]lì ogni cosa è venuto per istarsene con voi, e vedere ciò che v’è di più bello in Grecia. Io gli ho trovata una scorciatoia per imparar tutto facilmente ed esser conosciuto dai migliori; e questa è di presentarlo a te. Se io dunque ben conosco Solone, tu lo farai tuo ospite, e vero cittadino greco. E tu, o Anacarsi, come ti dicevo testè, hai veduto già ogni cosa vedendo Solone: questi è Atene, questi la Grecia: tu non sei più forestiero: ora tutti ti sanno, tutti ti amano. Tanto vale questo vecchio! Conversando con lui ti smenticherai di tutto ciò che è in Scizia. Hai già il premio del tuo viaggio, il fine del tuo amore. Eccoti l’esempio della Grecia, lo specchio della filosofia ateniese. Tienti adunque beatissimo che converserai con Solone, e lo avrai per amico.

Saria lungo a dire quanto Solone si rallegrò del dono, che parole rispose, e come da allora in poi vissero sempre insieme, Solone ammaestrandolo ed insegnandogli cose bellissime, facendolo amico a tutti, presentandolo ai più ragguardevoli tra i Greci, e studiandosi con ogni modo di rendergli piacevole la dimora in Grecia; ed Anacarsi ammirando la sapienza di Solone, e non volendo mai scostare il piede da lui. Come gli aveva promesso Tossari, per un solo uomo, pel solo Solone, ei conobbe tutto in un momento, fu conosciuto da tutti e fu onorato per lui: che la lode di Solone non era di poco peso: gli ubbidivano anche in questo come a legislatore, e quelli che erano lodati da lui erano amati da tutti, e tenuti egregi uomini. Infine il solo Anacarsi fra i barbari fu iniziato, e fatto cittadino, se si deve credere a Teosseno, che scrisse questo intorno a lui: e forse non saria più tornato in Scizia, se non fosse morto Solone.

Volete ora sapere dove va a parare questa lunga filastrocca che v’ho contata? Ed io vi voglio dir la cagione per la quale Anacarsi e Tossari sono venuti dalla Scizia in Macedonia, e ci han menato anche il vecchio Solone da Atene. A me dunque intervenne come ad Anacarsi. Ma deh, per le Grazie, non mi fate il viso dell’arme per questo paragone, che io mi metta a pari con uno di sangue reale: era barbaro anch’egli come me, e voi non potete dire che noi Siri siamo da meno degli Sciti: nè io me gli paragono per nobiltà, ma per tutt’altro. [p. 65 modifica]Quando la prima volta io entrai nella vostra città, restai sorpreso riguardandone la grandezza e la bellezza, la folla dei cittadini, e la ricchezza, e la magnificenza: ond’io era pieno di stupore, ed era fuori di me per la maraviglia, come avvenne a quel giovanetto isolano nella casa di Menelao. E così naturalmente dovevo sentire nell’animo mio, vedendo una città alzata a tanta altezza, e che, come dice il poeta,

          Fìoria di tutti i beni onde fiorisce
          Una cittade.

Stando io così, consideravo che mi dovessi fare: e da prima pensai di darvi qualche saggio di eloquenza; che e dove altro l’avrei potuto dare, se fossi rimasto muto in tale città? Cercai (non vo’ nascondere il vero) di sapere chi fossero i principali cittadini, ai quali avvicinandomi, farmeli protettori ed aiutatori. E qui non un solo, come ad Anacarsi, nè un barbaro, qual era Tossari, ma moltissimi, anzi tutti, mi dissero le stesse cose con diverse parole: forestiere, molti e molti buoni e bravi uomini sono nella città nostra, nè in altra ne troveresti tanti: ma gli ottimi son due, i quali per nobiltà di lignaggio e per autorità vanno innanzi a tutti gli altri, e per dottrina ed eloquenza stanno a pari con la decade ateniese.2 Il favore che essi hanno dal popolo è vero amore: onde si fa ciò che essi vogliono; ed essi vogliono ciò che è il meglio per la città. La loro cortesia, l’amorevolezza che hanno pe’ forestieri, l’essere in tanta grandezza non invidiati affatto, il farsi con tanto amore rispettare da tutti, l’essere così benigni a tutti ed affabili, son cose che tu stesso vedrai tra poco, e conterai ad altri. E ciò che più ti farà maraviglia è che sono della stessa casa, padre e figliuolo: quello figurati di vedere un Solone, un Pericle, un Aristide: il figliuolo, se lo vedi, t’innamora: alto della persona, e bello d’una certa virile formosità: se pur ti parla, ti lega per gli orecchi, e ti mena dove ei vuole: tanta grazia ha sulla lingua il giovanetto. La città lo ascolta a bocca aperta quando ei presentasi a parlamentare, come si dice che interveniva agli Ateniesi pel figliuolo di Clinia: se [p. 66 modifica]non che dopo non molto tempo gli Ateniesi si pentirono di aver tanto amato Alcibiade; e la città nostra, non solo ama questo giovane, ma già lo crede degno di reverenza: insomma il solo amore del popolo, il gran presidio di tutti è questo giovane. Se egli e suo padre ti accoglieranno, e ti faranno loro amico, tu avrai tutta la città: ti facciano un cenno con mano, un cenno basta, e non dubitar più dei fatti tuoi.

Tutti mi dicevano così, tutti, giuro a Giove, se pure sta bene giurare in un discorso. Ed ora che n’ho le pruove, quanto meno del vero vedo che mi dicevano! Convien dunque spoltrirsi e levarsi, come dice il poeta di Ceo,3 muovere tutte le sarte, fare e dire ogni cosa per acquistarci tali amici. E se questo ci verrà fatto, il cielo sarà sereno, il vento favorevole, il mare leggermente increspato, il porto vicino.


Note

  1. Il portar cappello era segno di nobiltà fra gli Sciti.
  2. I dieci più celebri oratori di Atene.
  3. Bacchillide.