Macbeth (Shakespeare-Rusconi)/Atto quarto

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Atto quarto

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William Shakespeare - Macbeth (1605-1608)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1858)
Atto quarto
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ATTO QUARTO




SCENA I
Un’oscura caverna; nel mezzo una caldaia che bolle. Tuores.
Entrano le tre Streghe.

1a Strega. Tre volte il gatto-tigre ha miagolato.

2a Strega. Tre volte ha gemuto la nottola dei sepolcri

3a Strega. Una musica surge dalle viscere della terra, e ci dice: È tempo, è tempo.

1a Strega. Giriamo intorno alla caldaia, e gittiamo i sortilegii.

(al suono d’una musica strana cominciano a danzare intorno alla caldaia, e vi mettono gl’ingredienti necessari all’incantesimo che vogliono compiere).

1a Strega. Rospo, che per un mese stridesti ai ghiacci e al sole, e turgido ti facesti d’un veleno mortale, vanne ora primo nella misteriosa caldaia.

Tutte. Raddoppiamo, raddoppiamo cure e travagli; brilli il fuoco, e la caldaia bolla.

2a Strega. Aggiungiamo anche il tronco d’un serpe di palude, e l’occhio d’una lucertola, e il piede d’una rana, e l’ala d’un pipistrello, e il pelo d’una nottola, e il dardo d’una vipera: e da tutto ciò si distilli quel veleno infernale, che n’occorre onde gettare il sortilegio più potente.

Tutte. Raddoppiamo, raddoppiamo cure e travagli; e brilli il fuoco, e la caldaia bolla.

3a Strega. Con iscaglie di drago e con denti di lupo, con radiche di cicuta e col fegato di un empio Ebreo, col fele d’un becco e colle foglie d’un tasso sfrondato mentre la luna s’intenebrava in un’eclissi, col naso d’un Turco e colle labbra d’un Tartaro, col dito d’un bambino nato di meretrice e da lei soffocato nel primo vagito dell’esistenza, condensiamo il veleno e congeliamolo, e visceri di tigre ne afforzino la efficacia.

Tutte. Raddoppiamo, raddoppiamo cure e travagli; brilli il fuoco, e la caldaia bolla.

2a Strega. Ora rinfreschiamo la caldaia col sangue d’una scimmia, e l’incanto è perfetto, e irresistibile ad ogni uomo.

(entra Ecate con tre altre Streghe)


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Ecate. Oh a maraviglia! vi lodo della vostra opera e ognuna di voi avrà parte ai profitti. Danzate ora e cantate intorno alla caldaia, per affascinarvi gl’ingredienti che il fuoco vi stempera. (le Streghe eseguiscono il comando d’Ecate, cantando ciò che segue)

Streghe. Spiriti neri e bianchi, spiriti azzurri e grigi, fondete, fondete, fondete, voi che mescolar sapete.

3a Strega. Al prurito che mi sento sulle dita, giurerei che s’appressa un profano: schiudete le porte a chiunque verrà.

(entra Macbeth)

Macbeth. Ebbene, nere e misteriose Streghe, che vi piacete nell’ombre dei sepolcri e della notte, che state facendo?

Tutte. Un’opera senza nome.

Macbeth. Io vi scongiuro per quell’arte che professate, di rispondermi; e sia qual si voglia il mezzo per cui potrete arrivare a conoscere i segreti del mio destino: doveste, a ciò fare, sprigionare tutti i nembi, e avventarli in guerra contro i più augusti templi; dovessero le onde spumanti, commosse fin dall’abisso, inghiottire ogni nave che ad esse s’affida; dovessero gli uragani disperdere sulla superficie della terra tutte le spiche delle messi, e sradicare ogni albero delle selve; dovessero i castelli, i palagi, le città e le piramidi crollare fin dalle basi; dovesse il tesoro dei germi di natura andar confuso, e far ritornare la natura al primo caos; sia tutto ciò; ma rispondete alle mie domande.

1a Strega. Parla.

2a Strega. Chiedi.

3a Strega. Risponderemo.

1a Strega. Dinne se meglio ami intendere la risposta per bocca nostra, o per quella dei nostri sovrani.

Macbeth. Evocateli, ne son lieto; mi fia grato il rimirarli.

1a Strega. Spandiamo il sangue d’una troia che divorò nascenti i piccoli suoi figli, e misto col grasso spremuto dalle carni d’un assassino che impostemì sul giubbetto, gettiamolo nella fiamma.

(la caverna si fa del tutto oscura; è solo al chiarore dei lampi che continuano a discernersi gli oggetti).

Tutte. Avanti, avanti, spiriti dall’alte e ime regioni; apparite, apparite, e riempite con amore i vostri ufficii.

(scroscia una saetta, e s’alza da terra una testa armata d’elmo)

Macbeth. Ignoto spirito, dimmi...

1a Strega. Ei conosce i tuoi pensieri; odilo, e ristatti dalle dimande.

(La Visione con voce di tuono) Macbeth! Macbeth! Macbeth! guardati da Macduff! guardati dal Thane di Fife. — Congedami, ne dissi assai.

(ricade in terra)


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Macbeth. Chiunque tu sia, o spirito, ti so buon grado del consiglio; tu toccasti la fibra che mette in vibrazione il mio cuore; ma anche un istante odimi...

1a Strega. Desisti dall’inchiesta, o rivolgila a più potente visione.

(un colpo di tuono, e con esso l’apparizione d’un fanciullo insanguinato)

Apparinone. Macbeth! Macbeth! Macbeth!

Macbeth. Parla! con tutta l’anima t’ascolto.

Apparizione. Sii sanguinario, intrepido, inconcusso; disprezza l’uomo, e irridilo pel suo potere; niun mortale partorito di donna può nuocere a Macbeth.

(scompare)

Macbeth. Vivi dunque, Macduff: a che ti temerei io? Ma no; mi sia la tua morte duplice guarentigia di sicurezza, e da essa poss’io attignere quella virtù che mi manca per vincere il terrore e dormir sicuro le notti.

(tuono e lampi; l’immagine d’un fanciullo coronato, con un albero in mano, si mostra)

Macbeth. Qual nuovo fantasima è questo, che sorge come figlio di re, e cinge la tenera fronte col diadema di chi impera alle nazioni?

Tutte. Odilo; non fiatare.

Fantasma. Sii intrepido e feroce come un lione, Macbeth, nè curarti di chi cospira contro di te; tu non sarai vinto che quando la vasta selva di Birnam ti si farà incontro.

(svanisce)

Macbeth. Oh! ciò non mai accadrà: chi potrebbe far muovere una foresta, e forzar gli alberi a staccarsi dalle radici sepolte nella terra? Dolce predizione! ineffabile felicità! Ah! possa la ribellione non mai mostrarsi ne’ miei Stati infino che il bosco di Birnam sfiderà la forza dei venti. Ma v’è ancora un desiderio che fa battere il mio cuore; appagatelo, se potete; ditemi se la stirpe di Banquo regnerà un dì in questo regno.

Tutte. Non ricercarne di più.

Macbeth. Rispondetemi; lo esigo: se sdegnate appagarmi, una maledizione eterna ve ne punisca! (la caldaia magica viene inghiottita dalla terra). Ma perchè è scomparsa quella caldaia? e che è quel ch’io sento? (un suono lontano di cornamuse)

1a Strega. Guarda!

2a Strega. Guarda!

3a Strega. Guarda!

Tutte. Veggano i suoi occhi, e il cuore gliene gema; e voi, ombre, apparite, e come ombre dileguatevi. (otto re [p. 73 modifica]'compariscono in fila, e passano un dietro l’altro; l’ultimo d’essi, Banquo, ha uno specchio magico in mano).

Macbeth (al primo dei re). Tu rassomigli troppo all’ombra di Banquo; dileguati: la corona che cingi m’intenebra la vista, (al secondo) E tu che parimente t’abbellì dell’aureo serto, t’abborro perchè del primo veggo in te ripetuta la somiglianza, (agli altri) Ma un terzo, un quarto, un quinto..... oh riga fatale! andrai tu prolungata fino agli estremi spazi del mondo? Nefande streghe, a che mostrarmi tali oggetti? allontanateli, toglieteli a’miei occhi; già troppi n’ho mirati. Ma nello specchio di colui io ne scerno a migliaia; e alcun fra essi che porta due globi e un doppio diadema (1). Orrenda vista......! Sì, sì, ora lo riconosco è Banquo coperto di ferite, che mi sorrìde, e mi addita i suoi discendenti. — Inìque streghe, intend'gli a cosa vera?

1a Strega. Sì, Macbeth, tutto è vero quello che qui vedesti. (Macbeth, colpito d’orrore, cade privo di sensi). Ma perchè a tale annunzio è tramortito? Animo, sorelle; scuotiamo i suoi sensi assopiti, e chiamiamolo a parte delle più liete voluttà. Mentre che farò uscir dall’aere i soavi concenti, danzategli intorno, e ritornategli la smarrita energia.

(una musica deliziosa incomincia, al suono di cui le Streghe danzano intorno a Macbeth, e poscia scompaiono).

Macbeth. Ove son esse? che fu? tutto svanì? Oh! possa quest’ora funesta esser maledetta per tutta l’eternità! Lenox, correte, venite dal vostro re.

(entra Lenox)


Lenox. Che desidera Vostra Maestà?

Macbeth. Vedeste le nere sorelle?

Lenox. No, milord.

Macbeth. Non vi passarono davanti, al di fuori di questa caverna?

Lenox. No, in verità, signore.

Macbeth. Possa l’aria infettarsi per tutto ove andranno; e maledetto sia chiunque si fiderà ai loro oracoli! Intesi uno scalpito di cavalli: chi dunque arrivò?

Lenox. Due o tre messaggeri, milord, che arrecano la mala nuova della fuga di Macduff in Albione.

Macbeth. È dunque salvo?

Lenox. Sì, nobile sovrano.

Macbeth. O tempo, tu incessante trascorri; e mentre oziosamente io delibero, mi frustri nell’esecuzione d’ogni disegno. Fine [p. 74 modifica]alle pause; ingagliardiamoci omai alle azioni. Si corra per primo a impadronirsi di Fife, ad assalire il castello di Macduff, per passarvi a fil di spada consorte e figli, e quanti gli appartengono. Ora della vendetta, rimbomba per l’universo, come assordante m’introni ogni fibra del cuore..... Vendetta, vendetta!.... ma bando alle visioni; bando alle frodi delle malnate femmine! (a Lenox) Ove dimorano quei messaggeri? Vieni; guidami a loro.

(escono)

SCENA II.
Fife. — Una camera del castello di Macduff.
Entrano Lady Macduff, suo figlio, e Rosse.

Lady Macd. Ma che aveva egli fatto per dover fuggire il suo paese?

Rosse. Siatene sofferente, buona signora.

Lady Macd. Nol fu però egli; e la sua fuga lo incolpa. Quando le nostre opere sono innocenti, non v’è motivo per paventare.

Rosse. Ma voi ignorate se questa derivasse da un consiglio di saggezza o di timore.

Lady Macd. Di saggezza dite? Oh! sì in vero, abbandonare e moglie e figli e casa e titoli in luogo ch’ei può credere a sè pernicioso, questa sarà saviezza, e fiore di magnanimità. Ei non ne ama (ecco la sua difesa); non sente per noi quell’ardore da cui il gracile augelletto è fatto possente a difendere gl’implumi suoi dal rapace avoltoio. In questa condotta io non veggo che timore scevro d’ogni affetto; e solo potrei compianger l’uomo che irrise sì vilmente ad ogni sentimento d’onestà.

Rosse. Nobile cugina, sommettetevi alla ragione, e pensate che il vostro sposo è savio, magnanimo, generoso. Siamo in tempi assai tristi, e in cui ad ognuno può incorrer taccia di traditore: di più non posso dirvi. Ma forse per alleggiare questi tempi fatali, forse per sottrarne tutti al naufragio che il tempestoso mare in cui navighiamo ci minaccia, il vostro sposo è partito. Non glie ne vogliate adunque dar carico, e imparate a meglio pensare di lui. Per ora permettete che m’allontani, sicuro di rivedervi fra poco. Quando le sventure hanno toccata la loro ultima meta, o ivi finiscono, o ne danno agio di rimontare al pristino stato. Amabile cugina, il Cielo vegli su di voi.

Lady Macd. (additando suo figlio) Ebbe egli pure un padre, e ora più padre non ha!

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Rosse. Potrei cagionare sventure ad entrambi, se di più mi fermassi. Anche una volta, addio.

(esce)

Lady Macd. (a suo figlio) Povero fanciullo, tu non hai più padre! Oh! come vivrai tu?

Fanciullo. Come vivono gli uccelletti, madre mia.

Lady Macd. Oh! ma qual pasto avrà il banchetto della natura per te?

Fanciullo. Delizioso, madre mia; credetelo al canto degli uccelli.

Lady Macd. Amabile animaletto, nè mai temerai le reti o l’arco del cacciatore?

Fanciullo. Perchè li temerò io? Non è ai piccoli augelli che s’insidia la vita. Poi il padre mio, checchè ne diciate, non è morto.

Lady Macd. Morto, sì, è morto! Ah! come troverai un altro padre in questo mondo? (2).

Fanciullo. E quello che perdei era un traditore?

Lady Macd. Sì, infelice, un traditore!

Fanciullo. Qual uomo è dunque un traditore?

Lady Macd. Quello che giura, e mente.

Fanciullo. E ognuno che giura e mente, è traditore?

Lady Macd. Sì, e merita il patibolo.

Fanciullo. E debbonsi punire di morte tutti quelli che giurano e mentono?

Lady Macd. Così si debbe.

Fanciullo. E a chi spetta la cura?

Lady Macd. Alle persone dabbene.

Fanciullo. Ma allora quelli che giurano e mentono son folli, perchè componendo la maggiorità, dovrebbero ribellarsi, e appiccare le persone dabbene.

Lady Macd. Dio abbia misericordia di te e del tuo troppo giudizio! Ma come rinverrai un nuovo padre?

Fanciullo. S’ei fosse morto, lo piangereste, e noi piangendo, mi sembra ciò sicuro augurio d’avere in breve un nuovo padre.

Lady Macd. Povero insensatello, come ardito già discorri!

(entra un Corriere)

Corriere. Il Cielo vi benedica, bella signora, e vi dia forza per [p. 76 modifica]udire quanto vengo a narrarvi. Sebbene a voi ignoto, io vi conosco assai, e temo che qualche gran pericolo ora ti minacci. Se volete seguire il consiglio d’un uomo rozzo, ma sincero, fuggite, fuggite tosto da questi luoghi, e portate con voi i piccoli vostri figli. Il Cielo vi protegga! Non ardisco fermarmi di più!

(esce)

Lady Macd. Perchè dovrei fuggire? Io non offesi mai alcuno. Ah! in questo basso mondo, in cui scorro la vita, il nuocere è spesso lodevole; il far bene, o il non nuocere, sconsigliata follia. Perchè dunque ora, oime! debbo io tener pronta quella femminea difesa: Non ho fatto nulla? — Ma chi sono costoro?

(entrano vari assassini)

Assassino. Dov’è vostro marito?

Lady Macd. Spero in parte non tanto maladetta da andargli incontro un uomo come sei tu.

Assassino. È un traditore!

Fanciullo. Menti per la gola, infame scellerato.

Assassino (dando alcune pugnalate al fanciullo). Che ardisci tu dire, stirpe di traditore?

Fanciullo. Egli mi ha ucciso... oh madre mia!... salvatevi, ve ne scongiuro...

(Lady Macd. esce gridando, e inseguita dagli assassini).

SCENA II.
Inghilterra. — Una stanza del regio palazzo.
Entrano Malcolm e Macduff.

Malcolm. Corriamo a nasconderci in qualche ospizio solitario, ed ivi solleviamo col pianto le nostre anime addolorate.

Macduff. No; imbrandiamo piuttosto la spada vendicatrice, e da valorosi esoriamo le ombre di mille vittime innocenti. Ogni mattino nuovi orfani e nuove vedove empiano l’aere de’ loro gridi; ogni giorno nuovi gemiti feriscono il cielo, che dalle echeggianti sue volte ne risponde, come se avesse pietà dei mali della Scozia, o volesse diffonder per l’universo gli accenti del suo dolore.

Malcolm. Deplorerò in silenzio i mali del mio paese, aspettando l’occasione in cui mi sia concesso di vendicarli. Tutto ciò che voi raccontato mi avete potrebb’esser vero; nondimeno il tiranno, di cui oggi il solo nome contamina la lingua di colui che lo pronunzia, fu un tempo creduto virtuoso; e voi lo avete [p. 77 modifica]teneramente amato, ed egli non vi ha fatto ancora verun oltraggio. Or perchè, di me tanto giovine abusando, non potreste voi rendergli un servigio di massima importanza? Riputereste voi forse atto infame lo sgozzare l’innocente agnello al Nume irritato?

Macduff. Non sono un traditore, o giovine...

Malcolm. Ma Macbeth lo è; e l’impero di un malvagio si fa sentire talvolta anche nei cuori più miti e virtuosi. Vi chieggo perdono d’un dubbio che non varrà ad intorbidare l’essenza dell’anima vostra. Gli angeli del cielo brillano ancora dello stesso splendore, quantunque il più lucido di loro sia stato precipitato nell’abisso; e se il caso effigiasse sulla fronte di un iniquo le armoniose grazie della purità, queste non perderebbero della loro freschezza, benchè facessero velo ai pensieri d’un ribaldo.

Macduff. Ora ho perduto ogni speranza.

Malcolm. Forse le vostre speranze stesse furon quelle che risvegliarono i miei sospetti. Perchè sì improvvisamente abbandonaste e sposa e figli, legami sì teneri e potenti d’amore, senza tampoco congedarvi da essi? — Ve ne scongiuro, non vogliate vedere ne’ miei sospetti alcun insulto, ma solo certe cautele per la mia sicurezza.

Macduff. Perisci, perisci sciagurata patria; e tu, o tirannia, raffermati sulle tue fondamenta, e la virtù non osi reprimere i tuoi furori — Addio, principe; soffrite senza lagnarvi i rigori della fortuna; e siate convinto ch’io non vorrei essere il vile che immaginate, fosse anche pel possesso di tutte le terre che gemono sotto la mano del tiranno, e vi si arrogessero eziandio tutti i tesori dell’Oriente.

Malcolm. Non vi offendete de’ miei timori; che, vel ripeto, non provengono da diffidenza di voi. — Bene io credo che l’infelice patria nostra soccomba sotto il giogo che con sangue e pianto le gravita sul collo, e che ogni giorno aggiunga nuovi dolori ai dolori antichi. Ma quand’anche io m’armassi, e forte dello sdegno delle migliaia che vivono malcontenti in Iscozia, e vieppiù forte per le schiere de’ valorosi che m’offre la nobile Inghilterra, arrivassi a calpestare il tiranno, ed inalberare la testa di lui sulla punta della mia daga, l’infelice mia terra non per questo si troverebbe più alleggiata di prima, od avrebbe meno a temere dall’uomo che succedesse all’estinto re.

Macduff. Ma chi sarebbe costui?

Malcolm. Io stesso. Stanno in me radicati e sì profondamente i neri germi d’ogni più atro vizio, che, quando essi avessero a fruttificare, il sanguinoso Macbeth apparirebbe terso, puro come la [p. 78 modifica]neve in mio confronto, e gl’infelici suoi sudditi, venuti in mio potere, non più il ricorderebbero che come un agnello di tutta dolcezza.

Macduff. Non mai dalle legioni d’abisso potrà uscir demone più esecrabile di Macbeth, e che con più perversità lo sorpassi in malizia.

Malcolm. Convengo ch’è sanguinario, impuro, avaro, falso, ingannatore, perfido, empio, lordo infine d’ogni vizio che ha nome; ma la mia inappagabile voluttà è un precipizio senza fondo: vergini, fanciulle, spose, matrone indarno riempir potrebbero il vuoto della mia incontinenza; e la furiosa mia passione abbatterebbe ogni ostacolo, che a’ miei desiderii opponesse la virtù. Macbeth val meglio d’un tal re.

Macduff. Una sfrenata intemperanza è tal tirannia da spopolare mille regni fortunati, e precipitare dal soglio migliaia di re. Ma non per questo temiate di cignervi la corona che vi appartiene. Potrete, abbandonandovi alla vostra passione, raccogliere una vasta messe d’amorose dolcezze, e non perciò apparire inverecondo. Non è penuria nei nostri regni di donne proclivi a secondare i regii appetiti, e che non ostante non cesseranno dall’encomiare la reale castità.

Malcolm. Ma insieme a questo vizio germinò nella mia sgraziata natura un’avarizia sì insaziabile, che, se re divenissi, farei mozzar la testa a tutti i grandi del mio regno per insignorirmi delle loro terre; e coll’accrescersi delle ricchezze non sentirei che vieppiù stimolata la rapace mia fame dell’oro.

Macduff. L’avarizia getta radici più profonde e tenaci di quelle dell’incontinenza, la quale almeno non dura che l’estate della vita; e l’avarizia fu la spada che sgozzò molti dei nostri monarchi. Non v’invilite però ancora; la Scozia ha terre abbastanza per satollare i vostri desiderii, che tollerabili ci renderete riscattandoli con altre virtù.

Malcolm. Virtù, dite? Io non ne conosco alcuna; e tutte quelle che come altrettante grazie adornano un re, giustizia, fermezza, temperanza, modestia, pietà, pazienza, valore, sono bandite dal mio seno, che solo ricetta i vizi ad esse opposti. Sì, se nelle mie mani stesse il poter supremo, io spanderei nell’abisso tutto il latte della concordia umana; turberei la pace del mondo, e renderei impossibile la bontà sulla terra.

Macduff. Oh Scozia! Scozia!

Malcolm. Se ora credete che un tal uomo sia degno di regnare, parlate: io son l’uomo che vi ho dipinto.

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Macduff. Degno di regnare? Oh! ei non è degno neppure di vivere. O nazione sciagurata, posta sotto il giogo di un tiranno, che dopo averti usurpata, con sanguinoso scettro ti preme, quando vedrai tu rinascere i tuoi bei dì? Vostro padre, o giovine, fu un pio e virtuoso re; e la regina che vi portò nel suo seno visse più spesso di preghiera che di pane, e campò ogni giorno come se l’ultimo de’ suoi fosse stato. Oh! addio; io vi lascio, e con voi perdo la mia ultima speranza.

Malcolm. Macduff, questo nobile sdegno ha cancellato dall’anima mia ogni sospetto, e riconciliati i miei pensieri coll’opinione del tuo onore. L’infernale Macbeth con mille artificii consimili tentò già sedurmi, e la prudenza m’imponeva le maggiori oculatezze. Ma il sommo Iddio sia ora giudice fra noi! Da quest’istante io m’abbandono a’ tuoi consigli; da quest’istante ritratto le calunnie che proferii contro di me, e abiuro tutte le taccie di cui volli bruttarmi. Ora sia in te e nell’afflitta mia patria il diritto di comandarmi, e voglia il Cielo secondare lo zelo con cui a questo magnanimo riscatto già intendo. — Perchè taci, Macduff?

Macduff. Tanto e sì impensato mutamento m’ha ripieno di tal gioia, che m’è impossibile per ora di favellare.

(entra un Medico)

Malcolm. Ne parleremo a miglior agio, (al Medico) Viene dunque il re?

Medico. Sì, o signore; e il suo palagio è pieno d’una folla d’infelici che aspettano da lui la loro guarigione. La malattia più ribelle ai farmachi della scienza scompare al primo tocco della mano regale; di tanta virtù dotò il Cielo quella mano benefica.

Malcolm. Vi son grato della notizia. (il Medico esce)

Macduff. Di qual malattia intende egli parlare?

Malcolm. Di quella che volgarmente chiamasi malattia del re, a cagione della miracolosa guarigione che ne fa questo buon principe. Come ciò accada, il Cielo solo lo sa; ma quello che può da ognuno vedersi è, come il re sani una folla di travagliati, tutti luridi di piaghe, appendendo soltanto al loro collo una medaglia d’oro, e invocando in pari tempo sopra di essi le benedizioni del Cielo. Oltre a questo prodigio, l’Eterno gli ha accordato il dono della profezia; e il suo trono benedetto con mille voti e preghiere dice abbastanza di quanta grazia in faccia all’Essere supremo goda quegli che n’è possessore.

(entra Rosse)

Macduff. Chi viene?

Malcolm. Un mio compaesano; ma e’ non mi sembra di riconoscerlo.

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Macduff (a Rosse). Nobile cugino, siate il benvenuto.

Malcolm. Ora il ravviso. Oh! voglia il benefico Iddio distruggere in breve le cause che ne rendono così l’uno all’altro stranieri.

Rosse. Lo voglia Iddio!

Macduff. Quali novelle di Scozia?

Rosse. Oime! sciagurato paese! stenterebbesi omai a riconoscerlo! Patria infelice! che male ora ti chiameremmo madre, dacchè fatta sei solo tomba de’ figli tuoi, ogni riso, ogni gioia è dal tuo seno sbandita! Sospiri, gemiti e pianti empiono inutilmente quell’aure; e gli accessi del più violento dolore non trovano che irrisione e disprezzo. La squilla funebre annunzia ad ogn’istante le esequie d’un estinto, senza che uomo osi chiedere perchè morì; e la vita degli uomini è fatta più breve della vita dei fiori.

Macduff. Oh racconto funesto, e pur troppo vero!

Malcolm. Qual’è l’ultima sciagura colà avvenuta?

Rosse. Ogni minuto ne porta con sè una nuova.

Macduff. Come sta la mia sposa?

Rosse. Oh!... bene.

Macduff. E i figli miei?

Rosse. Ugualmente bene.

Macduff. L’iniquo tiranno non tentò turbare la pace loro?

Rosse. Erano in pace quand’io li lasciai.

Macduff. Non siate avaro di parole: in quale stato sono le cose?

Rosse. Allorchè io partii di Scozia per arrecare le novelle che con dolore ho annunziate, correva voce che una mano di generosi si fosse armata, e avesse bandito il segnale della rivolta. È mestieri secondare la nobile impresa; è tempo che corriate in Caledonia, dove la vostra presenza susciterà ovunque soldati, e farà combattere sin le femmine in vostro favore.

Malcolm. Si racconsolino; fra poco li sovverremo. La generosa Inghilterra, insieme col prode Siward, ne concede a ciò diecimila eroi, fiore d’ogni milizia.

Rosse. Volesse Iddio che ricambiarvi potessi la lieta novella con altra più lieta! Ma le parole ch’io debbo dire non dovrebbero proferirsi che nel deserto, ove da niun orecchio fossero ascoltate.

Macduff. A cui si riferiscono? È cosa generale o privata sventura, che volete annunziarne?

Rosse. Non v’è anima dabbene che non partecipi a questo dolore; ma la mole maggiore di esso ricade su di voi solo.

Macduff. Allora parlate, e tosto.

Rosse. Datemi fede che non vorrete abbonir quindi [p. 81 modifica]eternamente l’infausto messaggiero che sta per istraziarvi gli orecchi col suono più aspro che mai abbiano inteso.

Macduff. Oh!... ti prevengo.

Rosse. Il vostro castello è preso; la vostra donna e i figliuoletti vostri sono stati barbaramente macellati. Narrarvene i particolari sarebbe un voler aggiungere la vostra morte alla morte di quelle care ed innocenti vittime.

Malcolm. Pietoso Iddio! (a Macduff) O sventurato, riscuotetevi; abbandonatevi a un operoso dolore; esalate gemiti, lamenti; il cruccio che resta muto ribolle nell’infiammato core, e poi lo strozza.

Macduff. Oh! i figli ancora?

Rosse. E moglie, e figli, e servi, e quanti abitavano l’infortunato ostello.

Macduff. Ed io n’era lontano! Oh la mia sposa!... i figli miei!

Malcolm. Soffrite con coraggio, e apprestatevi ad una grande vendetta, che sola potrà esser balsamo a quest’affanno mortale.

Macduff. Ah! ei non ha figli....! Ed io....? Oh figli! E tutti, diceste, tutti? Oh mostro d’inferno! Pargoli innocenti! sventuratissima madre...!

Malcolm. Lottate da eroe contro l’avversa fortuna.

Macduff. Lo farò, sì, lo farò; ma astenermi per ora non posso dai sentimenti dell’uomo, e in tutta la sua forza sento in questo istante la mia sventura. Oh come il cielo non intervenne a difesa di quei miseri? Sconsigliato Macduff, tu fosti la cagione della loro morte; l’improvviso tuo bando segnò la loro sentenza.

Malcolm. Possa una tanta sventura arrotare gli ardimenti vostri, e convertire in atroce disdegno tutto il vostro dolore.

Macduff. Ah sapessi versar torrenti di lagrime, ed esalare l’immenso affanno con concitate parole! Ma, o giusto Cielo, abbrevia ogni dimora, e pommi di fronte al mio abbonito nemico; pommi alla distanza della mia spada dal suo cuore; e s’ei mi sfugge, tu pure allora gli perdona.

Malcolm. Ora degnamente favellate. Venite adunque a congedarvi dal re, che tien pronto l’esercito ai nostri comandi. Macbeth ha già maturata la sua rovina, e le potenze del Cielo apparecchiano la gran vendetta. — Venite; raccogliete tutto il raggio consolatore che può brillarvi nel petto, e pensate che non v’è notte più lunga di quella che sdegna riconoscere in ogni parte il sole.

(escono)


Note

  1. Giacomo I riunì sul suo capo le due corone d’Inghilterra e di Scozia.
  2. Occorrerebbero qui nel testo le due seguenti dimande e risposte, che chiunque intenda un po’ di lingua inglese conoscerà, perchè non abbiamo tradotte. Son. Nay, how will you do for a husband? Lady. Why, I can buy me twenty at any marketh. Son. Then you’ll buy’em to sell again. Lady. Thow speak’st with all thy wit, and yet in faith, — With wit enough for thee.