Martirio de' Santi Padri del Monte Sinai e dell'eremo di Raitu/L'editore a chi legge

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L'editore a chi legge

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Martirio de' Santi Padri del Monte Sinai e dell'eremo di Raitu Incominciasi il Martirio de' Santi Padri
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L’EDITORE A CHI LEGGE

Ho tratto questo Volgarizzamento da un codice a penna in cartapecora, che si conserva nel monastero di Farfa, e mostra essere scritto circa il trecentocinquanta, di molto buona lettera, contenente, oltre a questa, parecchie altre leggende di santi in lingua toscana, tutte divulgate, ma che in molte parti, se io non m’inganno, si potrebbero col riscontro del detto codice ridurre a miglior lettura che la stampata. Primo autore di questa presente Relazione fu, come si legge nel titolo e nel fine della medesima, un Ammonio monaco, il quale la scrisse in lingua egiziana, cioè copta: e non sarebbe alieno dal verisimile che questo primo testo, tra le molte leggende di santi che serbansi manoscritte in quella lingua, durasse anche oggi. Trovo questa leggenda in greco nel libro pubblicato a Parigi dal Combefis l’anno milleseicentosessanta col titolo Illustrium Christi Martirum lecti triumphi, vetustis graecorum monumentis consignati; la qual versione greca è di non so qual Giovanni prete, che si nomina esso medesimo nel fine, e dice averla fatta dal copto. Trovo anche nella tavola degli autori greci manoscritti senza nome adoperati dal Ducange nel Glossario greco, il titolo di un frammento o sunto di un Sermone sopra la strage dei santi Padri morti in Raitu. Un’altra relazione del caso dei solitari uccisi in Raitu e nel Sinai, scritta da Nilo monaco, si legge in latino nelle raccolte del Surio e dei Bollandisti, e in greco e latino fu pubblicata dal Poussines a Parigi del milleseicentotrentanove. Il nostro volgarizzamento debb’essere fatto da qualche versione latina antica del testo greco divulgato dal Combefis, che sará ita attorno a quei tempi; della quale io non ho altra notizia, e non so anche dire se ella oggi si trovi, o in istampa o pure scritta a mano. Mi è paruto degno questo volgarizzamento della luce pubblica, non solo [p. 222 modifica]per la puritá e la candidezza della lingua, ma eziandio per la qualitá delle cose narrate, i costumi dei solitari di Arabia del quarto secolo rappresentati al vivo, e medesimamente quelli dei blemmi (popolo poco noto, del quale in questi anni addietro ha scritto con molta dottrina il signor Niebuhr negli Atti dell’Accademia romana di Archeologia), gli effetti del timore e dell’estremo pericolo in animi da altra parte infervorati dalle credenze religiose, descritti con sinceritá ed efficacia grande; in fine lo stile schietto, sano, insigne per naturalezza e semplicitá; il quale considerando io nel greco del Combefis, mi maravigliava di trovare in una etá quasi barbara una forma di dire che, salvo quanto appartiene alla lingua molto diversa da quella dei buoni tempi, tiene assai della foggia di Senofonte. Nel manoscritto non è distinzione alcuna di capitoli: io n’ho voluto fare una per piú comoditá.