Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/119

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Questa speranza, di andarsene, un giorno, di staccarsi in parte da un mondo nel quale le pareva di aver sempre sofferto, rischiarava la sua infelicità immaginaria, ma non ravvivava la sua volontà. Nelle sue faccende era sempre stanca e silenziosa come una schiava sofferente, distratta in modo da non accorgersi neppure che Annalena la sorvegliava. Annalena la sorvegliava: un giorno, ai primi di aprile, la pregò di accompagnarla a fare il giro dei campi. Le giornate s’erano fatte lunghe e tiepide, gli uomini lavoravano di nuovo all’aperto, le galline già razzolavano fra le siepi e l’erba fresca: lei sola, Gina, non usciva mai dalla casa e dai suoi oscuri pensieri.

Seguì dunque svogliatamente la suocera, camminandole appresso a testa bassa.

— A giorni è Pasqua, — disse Annalena come parlando fra sè. — Pare fosse ieri Natale, con tutto quel freddo maledetto e tutte quelle preoccupazioni. I giorni sono stati duri, ma sono passati lo stesso: e adesso vengono i giorni buoni. Tutto promette bene; la vite ha già molti germogli; molti boccioli hanno le piante, molte uova