Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/161

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accarezzarlo e parlargli in segreto; — non abbaiare, eh? È un amico, lo conosci. È un amico, — ripetè; e voleva, più che il cane, convincere sè stessa.

L’uomo fumava. Quando ella gli fu vicina si tolse di bocca l’avanzo del sigaro, lo buttò per terra e lo spense col piede: poi senza sollevare la testa, disse sottovoce:

— Annalena, ti ringrazio di esser venuta. Ho proprio bisogno di te, stanotte. Non ne posso più: sono fuggito di casa come un pazzo e scoppio.

Sbuffò, col petto ed il viso gonfi, poi si fece vento con le mani. E la pungente domanda di lei: — come sta tua moglie? — finì d’esasperarlo.

— Non parliamo di lei, una buona volta. Giornata d’inferno, oggi, è stata, Annalena: ho fatto venire anche il dottore, e lei lo ha morsicato. Egli disse: qui ci vuole il veterinario, qui. Tu ridi, donna? C’è poco da ridere.

Ella non rideva, no, anzi il cuore le tremava di pianto. Domandò timida!

— E la bambina?

— È lei che mi ha detto: papà, va fuori, va a prendere un po’ d’aria e porta questa busta a Baldino Bilsini.

L’immagine di Baldo, col viso di vergine