Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/184

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— io volevo appunto parlarti di questo. Anzitutto, di chi è stata la colpa?

— Mia, si capisce, sempre mia, cioè del maledetto destino che mi porta.

— Il destino ce lo facciamo noi, Urbano. Anche io sospettavo che il tracollo alla salute di tua moglie, date le sue condizioni, fosse stato causato dal tuo frequentare la nostra famiglia. Le cose si sanno, si indovinano, volano per l’aria come la polvere portata dal vento. E sarebbe bene, quindi, adesso....

Si fermò anche lei, intimidita.

Egli battè il bastone sul pavimento.

— Ho capito. Tu mi cacci via. E se io non volessi andarmene?

— Urbano, insomma, non sei un ragazzo.

— Appunto, sono i ragazzi che fanno le commedie. Io sono un uomo, e voglio vivere. Ti domando forse qualche cosa? No, non aver paura, io non voglio nulla da te; o sei tu, per caso, — domandò con una voce ambigua che la ferì più che le parole, — sei tu che hai paura?

— E può darsi. Toccando il fuoco ci si brucia.

Ella parlava spavalda; ma si pentì subito perchè vide l’uomo, già acceso negli occhi e nel viso, tendersi verso di lei: allora si