Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/213

Da Wikisource.

— 203 —


Baldo si turò le orecchie con le dita, mentre un baleno quasi di odio contro i fratelli bestemmiatori gli rifulgeva negli occhi rivolti al cielo; e fu per andarsene davvero e mettersi a pregare: non restava altra salvezza: pregare per loro; ma poichè l’istinto lo avvertiva che il nome di Lia non era stato pronunziato invano, e che forse qualche cosa si tramava contro di lei, andò a sdraiarsi nell’ombra sotto la tettoia del portone, e finse di sonnecchiare.

Bardo però, che lo teneva d’occhio, riprese a parlare ad alta voce, quasi sfidandolo.

— È lui che è cotto, della piccola scimmia. Ma va là, chi te la tocca?

Pietro gli strinse il braccio, per farlo tacere: poi si piegò coi gomiti sulle ginocchia e disse sottovoce:

— Ti ricordi, Bardo, quella sera di Natale, quando tu mi hai raccontato le tue tribolazioni d’amore? Adesso ti voglio raccontare le mie. Se Baldo ascolta e vuol riferirle alla mamma mi fa un sommo piacere. Io non voglio sposare Isabella. Non mi piace; non le voglio bene, nè lei ne vuole a me. È una penitenza che mi trascino dal giorno in cui m’è saltata in mente la disgraziata idea di questo matrimonio: e solo per questo, mentre prima la ragazza