Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/27

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La scena era veramente grandiosa: in quello sfondo d’interno, reso più ampio dal chiaroscuro rossastro degli angoli, con le finestre ancora aperte nella notte glauca di settembre, i quattro fratelli Bilsini, intorno al vecchio barbone che pareva un tronco mezzo bruciato dal fulmine, rappresentavano la forza e la giovinezza dell’uomo.

I due più giovani, Baldo e Bardo, uno di sedici, l’altro di diciannove anni, erano i più alti di statura; il primo, coi capelli ricci e molli che ricordavano i viticci nuovi della vite, coi grandi occhi celesti attoniti e la bocca e le guancie come tinte col carminio, pareva scappasse da tutte le parti degli abiti usati, mentre l’altro vestiva con una certa ricercatezza, pallido del colore del pane, con un sorriso quasi maligno sulla bocca sottile dagli angoli tirati in su, e negli occhi di malachite.

Osca, il maggiore, seduto ridente fra i suoi bambini, e Giovanni che serviva pensieroso e taciturno il vecchio zio, rassomigliavano alla madre anche nella statura media, robusta nella sua apparente agilità.

La luce rossastra e circolare della lampada chiudeva come in un’aureola la mensa e dava toni di rame ai capelli dei giovani e dei bambini: quando Annalena sollevava gli