Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/278

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ultime foglie gialle e amarantine come fiamme che volando si spengono; e sotto il sole già invernale la terra sorrideva un po’ triste, con gli ultimi fili d’erba lungo i fossi senza più ombra, dove l’acqua lattiginosa ricordava gli occhi dei bambini quando stanno per addormentarsi.

Molte coppie di piccioni bianchi e violacei volavano sopra la torre, e giù nell’aia ed intorno alla casa descrivevano un’aureola di prosperità numerose colonie di galline, di anatre coi loro allegri anatroccoli, di tacchine e di oche giganti.

Nella stalla, sul ripiano coperto di strame, la vacca pregna stava sdraiata come una pingue sultana, e ruminava senz’aver nulla in bocca, con le corte ciglia abbassate sugli occhi pensierosi: pareva ricordasse qualche cosa o facesse dei calcoli mentali: non si scompose neppure quando Tom, che accompagnava la padrona, le saltò addosso come i bambini facevano con lui.

Del resto Annalena lo mise subito a posto.

— Giù, Tom, figlio d’un cane, sfaccendata bestia che altro non sei.

Anche il maiale giaceva in un perfetto stato di nirvana: roseo, come nudo, tutto cascante di grasso, non riusciva più a muoversi, intento alla sua conca di broda: solo