Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/88

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Quest’ultimo particolare interessò più che tutto il resto della storia. Annalena e lo zio Dionisio domandarono:

— Come? Come?

— Sì, ho picchiato da Urbano e, senza dirgli con chi ero, gli ho domandato la carrozza ed il cavallo. E lui me li ha prestati fino a domani.

— Tu non sei entrato da lui?

— Sono entrato fino alla rimessa. Lui veramente m’invitava in casa, perchè là dentro la festa si faceva, sì, e tutto era illuminato, sebbene la moglie di lui sia ammalata davvero: io però non ho accettato. Isabella mi aspettava nella strada.

— Non ti disse come sta la moglie?

— La moglie sta sempre lo stesso: ha cento malanni, ma è lei che crede di averli: il suo vero male è al cervello.

— E la figlia?

Le domande non finivano mai; poichè questo Urbano Giannini era per la famiglia Bilsini un personaggio importantissimo: era il ricco fabbricante di scope che aveva loro affittato la casa e la terra; il padrone, insomma.