Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/338

Da Wikisource.
290 robinson crusoe

d’un albero, avendo ancora le membra infiammate e dolenti per la ruvida pastoia da cui erano state legate. Quando vidi che all’avvicinarsi di Venerdì ei si era seduto e che avendo bevuto dell’acqua cominciava a mangiar la focaccia, andai a lui per offrirgli un pugno di uva passa. Egli mi guardò, ed il suo sguardo espresse la più viva riconoscenza che può dipingersi in aspetto umano. Intanto egli era così spossato, che non ostante i coraggiosi suoi sforzi, non reggevasi in piedi, quantunque vi si provasse per due o tre volte; ma ciò gli riusciva veramente impossibile per l’enfiagione delle sue gambe. Io l’esortai a starsene riposato, ed ingiunsi a Venerdì di stropicciarlo col rum, nella stessa guisa che avea fatto a suo padre.

In questo mezzo che Venerdì fu inteso a tale ufficio, non potea tenersi di volgere a quando a quando la testa, e più spesso che potea, verso suo padre, che era sempre nello stesso luogo ove egli lo avea lasciato. E una volta, nol vedendo, si alzò e senza profferire parola corse a lui in gran fretta, tanto che i suoi piedi parea non toccassero terra. Giunto al luogo ove il vecchio era rimasto seduto, e trovatolo che si era unicamente steso con tutto il corpo sulla barca per dar qualche sollievo alle stanche membra, tornò subito presso di noi. Allora dissi allo Spagnuolo di lasciare a Venerdì che lo aiutasse alla meglio per accompagnarlo al canotto, donde lo avrebbe traghettato sino alla mia abitazione ov’io sarei stato il suo infermiere. E tosto Venerdì, da gagliardo giovinotto qual era, se lo prese su le spalle e condottolo alla barca lo posò dilicatamente su la sponda del canotto coi piedi volti verso la parte interna e, portatolo di peso, lo adagiò presso suo padre. Allora uscito di nuovo del canotto staccò questo dalla riva, poi tornatovi entro remò rasente la spiaggia con più prestezza di quanta ne poteva mettere io nel camminare. Così li condusse salvi entrambi nella nostra casetta, ove lasciatili tornò addietro per pigliare l’altro canotto. Passandomi davanti gli chiesi ove corresse. Mi rispose:

— «A far più nostre barche.»

Correa come il vento, chè certo non ho mai veduto uomo o cavallo a galoppare più di lui; e l’altra barchetta fu nella darsena quasi prima ch’io giugnessi alla riva per terra. Traghettatomi alla sponda opposta andò ad aiutare i nostri due ospiti per uscire del canotto; ma nè l’uno nè l’altro erano al caso di camminare, onde il povero Venerdì non sapeva che cappello mettersi.