Pagina:Boccaccio, Giovanni – Elegia di Madonna Fiammetta, 1939 – BEIC 1766425.djvu/159

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capitolo viii 153


fu permutata, né piú, posto che egli sempre lagrimi sí come ella allora che mutò forma faceva, alcuna delle sue pene sente; e cosí come la cagione da dolersi le venne, cosí quella le giunse che le tolse la doglia. Biblis similmente, secondo che alcuno dice, col capestro le terminò senza indugio, avvegna che altri tenga che ella, per beneficio delle ninfe pietose de’ suoi danni, in fonte, ancora il suo nome servante, si convertisse; e questo avvenne, come conobbe a sé da Cauno negato del tutto il suo piacere. Che dunque dirò, mostrando la mia pena molto maggiore che quella di queste donne, se non che la brevitá della loro è dalla mia molto lunga avanzata?

Considerate adunque costoro, mi venne la pietá dello sfortunato Piramo5 e della sua Tisbe, a’ quali io porto non poca compassione, immaginandoli giovinetti, e con affanno lungamente avere amato, ed essendo per congiugnere i loro disii, perdere se medesimi. Oh, quanto è da credere che con amara doglia fosse il giovinetto trafitto nella tacita notte, sopra la chiara fontana appiè del gelso trovando li vestimenti della sua Tisbe laniati da salvatica fiera e sanguinosi, per li quali segnali egli meritamente lei divorata comprese! Certo l’uccidere se medesimo il dimostra. Poi, in me rivolgendo i pensieri della misera Tisbe guardante davanti da sé il suo amante pieno di sangue, e ancora con poca vita palpitante, quelli e le sue lagrime sento, e sí le conosco cocenti, che appena altre piú che quelle, fuori che le mie, mi si lascia credere che cuocano, però che questi due, sí come li giá detti, nel cominciare de’ loro dolori quelli terminarono. Oh, felici anime le loro, se cosí nell’altro mondo s’ama come in questo! niuna pena di quello si potrá adeguare al diletto della loro eterna compagnia.

Vienmi poi innanzi, con molta piú forza che alcuno altro, il dolore dell’abbandonata Dido6, però che piú al mio simigliarne il conosco quasi che altro alcuno. Io immagino lei edificante Cartagine, e con somma pompa dare leggi nel tempio di Giunone a’ suoi popoli, e quivi benignamente ricevere