Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/120

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110 idilli

batto
Ve’, ve’, le vacche ancor, povero Egone,
     Mentre agogni una misera vittoria,
     S’incamminano a Stige: e la zampogna
     Fabbricata da te la rode il tarlo.
coridone
Questo no, viva il ciel, che andando a Pis
     Diellami in dono; e so sonare anch’io.
     So i canti modular di Glauca e Pirro;
     Lodo Croton. Bella città è Zacinto,
     E Lacinio che guarda in vêr l’aurora,
     Dov’Egon lottator solo mangiossi
     Ottanta torte, e tirò giù dal monte
     Per l’unghia un toro, e diello ad Amarili
     Gran plauso fean le donne; ed ei ridea.
batto
Amarilli gentil; te spenta ancora
     Non mai obblierò. Moristi, o cara,
     Tanto a me cara, quanto le caprette.
     Uh, uh, che dura sorte è a me incontrata!
coridone
Convien far core, amico Batto. Forse
     Doman le cose meglio andran. Chi vive
     Ha la speranza, fuor di speme, è il morto.
     E Giove stesso or è sereno, or piove.
batto
Io mi fo core. Orsù caccia i vitelli
     Abbasso, chè là rodono una frasca
     D’ulivo i meschinelli. Olà, bianchetto.
coridone
Cimeta, presto al poggio. Non m’intendi?
     Vengo a darti il malanno, affe’ di Pane,
     Se non ti muovi. Oh! ve’, dà volta indietro.
     Deh se avessi un randel per fracassarti!