Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/131

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di teocrito 121

     Nè potea alcuno errar, poichè un capraro
     Ei somigliava a maraviglia. Il tergo
     Copriagli di un velloso ed irto becco
     Rossa pelle olezzante fresco caglio.
     Un mantel vecchio avea serrato al petto
     Con pieghevol cintura, e d’oleastro
     Un ricurvo baston nella man ritta.
     Ei col riso sul labbro il guardo gira
     Socchiuso a me placidamente, e dice:
     Simichida, in qual parte or sul meriggio
     Hai volto il piè, quando il ramarro dorme
     Entro alle siepi, e neppur vanno attorno
     Le sepolcrali allodole? Sei forse
     Chiamato in fretta a un pasto? o calchi il torchio
     D’un qualche cittadin? Poichè ogni sasso,
     Mentre tu vai, nei piè ti batte, e cigola
     Sotto le suola. Io gli soggiunsi allora:
     O Licida diletto, ognun t’appella
     Infra i pastori e i mietitor sovrano
     Sonator di sampogna, e assai ne godo,
     Benchè a mio creder d’agguagliarti io spero.
     Questo cammin va alle Talisie; poi
     Che una brigata d’uomini prepàra
     Di sue ricche primizie un bel convito
     Alla velata Cerere, ch’empièo
     A lor con larga man di messi l’aja.
     Ma poich’abbiam comune il calle e il giorno,
     Su via cantiamo, e l’uno e l’altro aita
     Ci darem forse. Io delle Muse acceso
     Mi sento il labbro, e d’ottimo cantore
     Tutti nome mi dan. Ma affè del mondo
     Nol credo di leggier. M’avvegg’io stesso,
     Che ancor non vinco il valoroso Samio
     Sicelida, o Fileta, e son qual rana
     A petto a’ grilli. Io così dissi ad arte.
     E il caprar sorridendo a me rispose: