Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/141

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di teocrito 131

Io lor fei plauso, e in dono porsi a Dafni
     Un baston da sè nato, e nel paterno
     Campo cresciuto, cui nè forse un mastro
     Avría che apporre; all’altro egregio nicchio
     D’una conchiglia sulle Icarie rupi
     Da me appostata, ond’i’mangiai la carne
     Tra cinque già spartita in cinque pezzi.
     Ei sonò forte il nicchio. O agresti Muse,
     Il ciel vi salvi; a me mostrate il canto,
     Ch’io sciolsi colà in mezzo a que’ pastori.
     A te non verrà già la vescichetta
     In punta della lingua. E la cicala
     Amica alla cicala, e la formica
     Alla formica, e gli sparvier son cari
     Agli sparvieri, a me la Musa e il canto,
     Ond’io piena la casa ognor vorrei.
     Nè il sonno, o l’improvvisa primavera
     È altrui sì grata, nè alle pecchie i fiori,
     Come le Muse a me gradite sono.
     Se alcun da loro ottien lieto uno sguardo,
     Nuocere a lui non san di Circe i sughi.


GLI OPERAJ, OVVERO I MIETITORI.

Idillio X

Milone e Batto

O lavorante a buoi, che hai tu, meschino?
     Tu non sai più tirare un filar dritto,
     Nè mieti col vicin, ma resti addietro
     Qual dalla greggia agnella, a cui da spina
     Sia punto un piede. E qual sarai vêr sera,
     O a mezzo il dì se di mattino ancora
     Un solco non affondi?..
batto
                                             O Milon; duro