Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/143

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batto
La mia scarna fanciulla a cantar meco
     Venite, o Muse. Tutto quel, che voi
     Teccate, o Dee, si rabbellisce ed orna.
     O vezzosa Bombice, ognun t’appella
     Soriana, secca, abbrostolita, ed io
     Sol ti chiamo ulivastra. È bruna ancora
     La violetta, e il giacinto vergato,
     E han pur nelle ghirlande il primo vanto.
     Al citiso la capra, ed alla capra
     Va dietro il lupo, ed all’aratro il grue.
     Io per te vengo pazzo. Ah! s’io tesori
     Al par di Creso avessi, entrambi noi
     Sculti in oro staremmo innanzi a Venere,
     Tu co’ flauti, o con rosa, o pomo in mano,
     Io coi calzari in piè ben atteggiato.
     Vaga Bombice, hai lisci i piè quai dadi,
     Molle la voce, e del tuo far non parlo.
milone
Chi detto avrìa, che sì leggiadri carmi
     Sapesse il lavorante? In che bei modi
     Temprò le giuste note! Ah! perchè barba
     In van gli cresci al mento? Or tu pur anco
     Del divin Lizïersa un canto ascolta.
O fruttifera Cerere, a noi larga
     Oltr’uso dona la ricolta e piena.
     Stringete le brancate, o legatori,
     Perchè chi passa a dir non abbia: o gente
     Che un fico non valete! O che mercede
     Gettata al vento! I gambi della bica
     Volti sieno a rovajo od a ponente:
     Così la spiga ingrassa. E voi fuggite
     Il meridiano sonno, o battitori
     Del gran su l’aje, perchè allora è il tempo
     Che la pula si stacca dalle spighe.