Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/144

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     I mietitor comincino il lavoro
     Quando sorge l’allodola, e dien fine
     Quando torna a dormire, e sul più calde
     Interrompano l’opra. O com’è bella,
     Figliuoli miei, la vita del ranocchio!
     Cura non ha di chi gli mesca il bere,
     Perch’ei pronto l’ha sempre a tutto pasto.
     Meglio faresti, o spenditore avaro,
     A lessar la lenticchia; e guarda bene,
     Quando triti il comin di non tagliarti.
Queste son cose che dovrian cantarsi
     Da chi lavora al Sol. Ma il tuo affamato
     Amore, o Batto, è da contare a màmmata
     Quando si sveglia la mattina in letto.


IL CICLOPE

Idillio XI

Non avvi incontro Amor rimedio alcuno,
     Nicia, nè unguento, a mio parer, nè polve,
     Fuorchè le Muse. E questo mite e dolce
     Fra gli uomin nasce; ma non è sì lieve
     Il rinvenirlo. E ciò ben noto estimo
     A te, che insieme e medicante sei,
     Ed alle nove Muse assai diletto.
     Così traeva un dì fra noi la vita
     Comodamente quel Ciclope antico
     Polifemo, che amava Galatea,
     Quando nasceagli il primo pelo intorno
     Alla bocca e alle tempie. E l’amor suo
     Non eran rose o poma o riccioletti,
     Ma una smania feroce, ond’ei ponea
     Tutto il resto in non cal. Le agnelle spesso
     Fero spontanee dalla verde erbetta
     Ritorno al chiuso. Ei Galatea cantando,