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APOLLO
Οh! quanto il lauro e il penetral si scote!
Via di qua, via di qua ciascun maligno,
Febo la porta col bel piè percote.
Già la palma Deliaca benigno1
Significò subitamente indizio,
E dolce risentir fa l’aria il cigno.
Apriti, soglia del beato ospizio,
Le vestigia del Dio propinque sono,
Voi date al canto, o giovinetti, inizio.
Non fa d’ogni mortale agli occhi dono
Apollo di svelar sua propria faccia,
Vederlo invan desia che non è buono.
Di chiara stampa segnerà sua traccia
In fama salirà chi Febo mira,
Chi non lo mira converrà che giaccia.
Veder si lassi il Dio che l’arco tira,
Nè sarò vile; all’appressar del Nume
Mova la gioventude e piedi e lira,
Se il tetto antico sul paterno fiume
Affidar vole e ai maritali nodi
Venire e ai dì delle canute piume.
Splenda famoso per canori modi
Chi la tenera man pone alla cetra,
Taccia chi ascolta le Apollinee lodi.
Dal mar pur esso ogni fragor si arretra
Mentre che sono in celebrar poeti
Di Febo Licoreo lira e faretra.
Lascia di lagrimar sua prole Teti2
Se Peana Peana intorno suona,
Ed interrompe i suoi antichi fleti