Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/39

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Sette volte accerchiâr Delo col volo,
     E quantunque fiate in ciel non tacque
     Il dolce metro del canoro stuolo,
Di tante fila d’oro a Febo piacque
     Armar la cetra sua; non era ancora
     Messo l’ottavo suon che il Nume nacque.
Intuonar l’inno di Lucina allora
     Le ninfe dell’Inopo, a cui per l’etra
     D’ogn’intorno rispose Eco sonora.
Qui per voler di Giove ira si arretra
     Dal petto di Giunon: qui Delo in auro
     Mutar le antiche fondamenta impetra,
Tinse la chioma sua l’olivo in auro,
     Spumò d’auro l’Inopo, e quel terreno,
     Che il fanciullo toccò, rifulse in auro;
Donde il togliendo e riponendo in seno
     Dicesti: o Terra immensa, che di molti
     Altari il grembo e di cittadi hai pieno,
Isole circostanti e pingui colti,
     Infeconda qual sono, avrommi vanto,
     Che Apollo nominar Delio si ascolti.
Non fia diletta a Nume altra cotanto,
     Non Cillene a Mercurio, a Giove Creta,
     E non Cencri a Nettuno, a Febo io quanto, 27
E come l’altre in mar mi starò cheta:
     Mentre favelli il figlio di Latona
     Alle materne poppe si disseta.
Da indi in quà nè Marte nè Bellona
     S’attentano appressar tue sante rive,
     E la mano di Pluto a te perdona, 28
E viene ad intrecciar danze votive,
     E l’are a te di novellizie adorna,
     Tornando il Sol nelle giornate estive,
Qual colà dove annotta e dove aggiorna,
     Quale alla piaggia di meriggio aprica,
     E quale alla gelata Arto soggiorna: