Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/529

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canto

XXX. l9

me io Io vidi, lume e la su presso al punto luminosissimo che face visibile lo Creatore a quella creatura che solo in lui vedere a la sua pace che rende visibile il Creatore a quella creatura, che non trova la sua beatitudine che nel vedere quel lume, che si distende in circolar figura che si conforma iii figura di circolo in tanto che la sua circonferentia sarebbe troppo larga cintura al Sole tanto larga che sarebbe troppo largo cinto al sole cli’ è uno de’ maggiori corpi celesti. tutta sua parvenza fossi di raggio riflexo al sommo del mobil primo che prende quinci vivere e polentia quant’ egli appire si forma di un raggio solo ed unito, che riflettesi alla parte superiore del primo mobile, il quale appunto da questo raggio prende vita e potenza di operare nei cieli sottoposti; e cotne divo in acqua di suo imo si specchia quasi per vedersi adorno quanto ee nel verde e nei fioretti opimo e come colle in acqua che scorre all’ ima sua falda si speccliia, quasi per vedersi adorno, quando in primavera è ricco di verdura e di fiori. Fingi dunque un colle acclive, ameno, vestito d’erbe e di fiori, a piedi del quale scorra un limpidissimo ruscello, che ripeta nelle chiare sue onde la figura del colle stesso, ed avrai una leggiera idea di quelli spiriti, che trovavatisi nella con vessità di una rosa, specchiantisi in quella purissima luce del punto di mezzo. E vidi si supcrstando cd io Dante vidi sopra del primo mobile quanto di noi la su facto a ritorno quante anime tornarono al cielo in cui sono beate specchiarsi intorno intorno a lume specchiarsi intorno al centro in più di mille soglie in un infinito numero di sedi, essendo infiniti di numero i gradi di beatitudine: e se I infimo grado in se raccoglie si grande lume, quanta ce la larghezza di questa rosa ne le extreme foglie! e se i’ ultima sede è illuminata da sì gran splendore,