Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. II, 1952 – BEIC 1804122.djvu/181

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una «storia della letteratura» di cesare cantú i75

per lui il principale e la forma rimane un accessorio. Il medesimo fa con la moralitá, che diviene un criterio letterario, un elemento essenziale de’ suoi giudizii in fatto di letteratura.

La letteratura considerata come un accessorio, o come la «veste del pensiero», per usare uno di quei modi di dire che hanno fatto fortuna, non ha piú importanza propria. Ed il Cantú, innanzi al quale letterato è quasi sinonimo di pedante, e che disprezza il culto della forma scompagnata dalle cose, e flagella di continuo gli scrittori vuoti, pretensiosi cercatori di frasi, in luogo di dire: — Questo non è letteratura — , e farsi a rialzare il concetto, la prende, egli medesimo in questo significato volgare, astrae i concetti dalle forme, di quelli principalmente s’occupa, tocca di queste quasi per incidente e con l’aria stizzosa di chi dicesse ai nostri mal capitati critici : — Ah pedanti! che in queste vuote forme ponete tanta importanza — . Dev’egli parlarci del Machiavelli? L’ importante per lui è i suoi concetti, le sue opinioni, la sua vita, il suo carattere; la parte letteraria rimane un accessorio naufragato in tanto mare. Dee parlare del Telesio, del Bruno, del Campanella, del Sarpi, del Galilei? La parte letteraria vi è appena toccata. L’essenziale per lui è sempre il contenuto, il pensato in sé stesso, in quanto è vero o falso, importante o frivolo, morale o immorale, utile o dannoso; e da questi elementi trae i criteri e i suoi giudizi, considerando la parte letteraria come qualcosa di appiccicato, che si possa togliere o aggiugnere; merito o demerito affatto secondario.

Al tempo de’ puristi, quando c’ era una scuola che giudicava gli autori dalle parole e dalle frasi, sorse una reazione salutare, una contro-scuola, che a quelli che gridavano: — Parole — , rispondeva gridando: — Pensieri — . Il Cantú è rimasto ancora li, come erano le cose trent’anni fa, astrae il fondo dalla forma, ciò ch’egli chiama « potenza idealista », e non si accorge che appunto in questo idealizzare o, per usar la parola propria, in questo astrarre ha preso radice quel divorzio delle lettere e delle scienze che deploriamo al par di lui, e che ci dá spesso scienziati barbari, che guardando al fondo trascu-