Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/264

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ma provò un senso di sollievo perchè le parve che il ragazzo si alzasse per andar a portar l’addio di lei al povero Jorgeddu. Allora si tirò il fazzoletto sugli occhi per ripararsi dal sole; vide ancora una volta la casa, il portone, la sorella, il muro del cortile di Jorgj; addio; tutto ora finito, tutto era stato un sogno. Ricordò che aveva dimenticato il ditale sulla veranda e fu presa da una vaga inquietudine: ah, lassù, nel paese nuovo, bisognava comprare un altro ditale, cominciare un’opera nuova.... Come era il cortile lassù? Si poteva cucire senza esser osservati dai vicini? Ella voleva stare nascosta, vivere sola col suo pensiero segreto.

All’improvviso tutta la valle rimbombò come por una battaglia: i cavalli trasalirono e Zuampredu strinse la mano a Columba per paura che ella scivolasse dal suo sedile. Grida selvaggio accompagnavano gli spari che i parenti degli sposi eseguivano in segno di gioia; e le valli e l’altipiano, nel sereno meriggio, rispondevano gravemente con la voce dell’eco.

Columba guardava di sotto al suo fazzoletto il cui orlo descriveva come una cornice intorno al quadro ch’ella ancora vedeva. Lassù è la chiesa, sul cielo chiaro e quasi triste; ecco l’albero della casa rossa del dottore; ecco le casupole nere; ecco la casa paterna, e ancora il muro del cortile di Jorgj.... La gente s’agita ancora lassù, nel sole: una figurina bianca e una figurina nera appaiono un momento davanti il muro, come due ombre una luminosa, l’altra scura; Columba credo di riconoscer Pretu e la straniera e nasconde il viso contro la spalla di Zuampredu mentre egli continua a stringerlo la mano e ogni tanto si volge per domandare al nonno, indicandogli col lembo delle redini un muro o una distesa di macchie: