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274 | del rinnovamento civile d’italia |
che erano meno avversi al dominio dei chierici. «I pontefici — dice il Guicciardini — comunemente sono mal serviti nelle cose della guerra»1: «le loro armi tagliano male»2, «secondo il vulgatissimo proverbio, sono infamia della milizia»3. Ed è ragione, ché campo e santuario male si affanno; e se il Duplessis e il Della Rovere furono bravi soldati a dispetto della tiara e della porpora, non si può giá dire che queste se ne giovassero. Ora, dato che il regno, come scrive Torquato Tasso, «sia una moltitudine d’uomini che può difendersi e che basta interamente a se stessa non solo nella pace ma nella guerra, onde chi non è tale non è degno di essere chiamato re»4; dato che governo e difesa sieno cose inseparabili e che chi è inetto all’una non possa esercitare l’altro; egli è manifesto che il papa inerme e impotente non può esser principe. Il Machiavelli diceva appunto dei pontefici: che «hanno Stati e non li difendono, hanno sudditi e non li governano»5, e tuttavia si ostinano a regnare. E non è un obbrobrio che la cittá guerriera per eccellenza, la patria di Camillo, di Scipione e di Cesare, sia ridotta a non poter difendere, non che l’ Italia, se stessa? Né il vitupèro si ferma a Roma, non potendosi annoverare tra i benefizi e gli splendori della fede cattolica che la sede di tanti eroi e la legislatrice del mondo antico sia divenuta per opera di questa ozioso nido (e spesso corrotto) di monache e di frati. Narrasi della cittá di Osirinco (famosa nelle storie egizie per la sua divozione) che, convertita all’evangelio fosse «dentro e di fuori tutta piena e circondata di monaci, intantoché molti piú erano li monasteri e le celle de’ frati nella predetta cittade e d’intorno che l’altre case degli uomini secolari; e non solamente dentro e di fuori, ma eziandio le mura e le torri della cittá erano piene di monaci e di romiti»6.