pare della miseria mia con queste odiose querele. Volendo ten-
tare di vincere la mia nera fortuna, ho rotto la legge ch’io m’era
imposta da gran tempo, che nessuno, fuori di me, dovesse venire
a parte della infelicità mia. Perdonate; e se non potete altro,
e in qualunque caso, conservatemi la vostra benevolenza; per-
chè se la natura mi condanna al dispregio ch’io merito, e la for-
tuna all’odio di molti che non merito, mi resti per ultima con-
solazione l’amore di pochissimi.
Il vostro Giacomo Leopardi |
393. |
Di Giulio Perticare. |
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Cmo amico
la vostra lettera m’ha passato il cuore; nè posso scrivere quanto
è il mio rammarico nel vedere tanta virtù in istato sì lagrimoso. Ma è
bisogno il far animo: il contrastare alla rea fortuna: il mostrarsi degno
del nome di sapiente. Voi potete coll'opere del vfo ingegno meritarvi
que’ premi eccelsi, che non pendono dall’arbitrio de’ potenti, nè dalla
invidia, nè dalla malizia degl’impostori; siete nella condizione raris-
sima del potervi far beato per voi stesso. Che cercate adunque? Macte
nova virtute: sic itur ad astra. Ponete mano ad alcun lavoro che v’inse-
gni a tutta Italia: la quale ha già concetta una grande speranza di voi:
anzi voi solo conosce nella povera e nuda Marca. Lasciate tutta la tri-
stezza e tutta la malinconia che vi opprime. La sapienza è una cosa
lieta, ed altissima, che non s’inchina sui vani timori, e sulle più vane
speranze del volgo. Credetemi. Vidi e conobbi anch’io le inique corti;1
più felice è quegli che più n’è lontano.
Voi vorreste andare a Roma: e dove? al Vaticano. Queste parole
sono magnifiche. Nè v’ha certo alcun uomo, da cui sien vinti quelli
del Vaticano, e di Roma. Ma sapete pur voi che i nomi stanno, ed i
suggetti si mutano? Ed io vi dico in verità di cuore, che Roma ha pochi
ciotti: e che la rea semenza vi toglie il campo alla buona: sì che per
dieci fichi vi fruttano mille sorbi. Molto meno poi vi piacerebbe quella
nicchia, la quale chiedete nel Vaticano. Primamente io vi nego, che