Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, I.djvu/768

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piuttosto fanciulleschi che giovanili, sono indegni anche di me, per pochissimo ch’io sia degno. In questi pochi versi V. S. dovrà perdonare molti e gravi errori alla stampa di Roma, che detur- pano la lingua, e talvolta guastano i sentimenti. Dovrà perdo- nare anche a me una confidenza, ed è questa: che la terza can- zone fu immediatamente proibita e confiscata per comando dello stesso Viceré in tutto il Regno Lombardo-Veneto: la qual cosa insieme colla canzone ho tenuto sempre nascosta a tutti i miei parenti, che hanno opinioni ed inclinazioni molto diverse dalle mie. E perciò solo ardisco di manifestare a V.S. questa circo- stanza, affinch’Ella si compiaccia di usare in riguardo a questi versi la sua prudenza. Desidero vivamente di poter esser buono a qualche cosa di suo servizio, e a farmi perdonare la libertà che prendo nell’offerirle un dono così meschino come questo.

Suo Dmo Obblmo Servitore
Giacomo Leopardi
512. A Pietro Giordani.
Roma, i° febbraio 1823.

Mio divino amico, Non puoi pensare di quanta consolazione mi sia stato il rivedere i tuoi caratteri dopo tanto intervallo; benché mi sconforti infinitamente l’intendere che i mali de’ tuoi nervi durano ancora, contro quello che io sperava e che quasi mi prometteva. Sempre ch’io penso a te (il che avviene ogni giorno) e massimamente leggendo le tue lettere, mi prende un desiderio incredibile di rivederti e riabbracciarti e conversar teco lungamente, e mostrarti il mio cuore e contemplare il tuo, e se non consolarti dei rigori della fortuna sottentrare ad alcuna parte delle molestie e della tristezza che ti aggravano. Credi che que- sto è il maggior desiderio ch’io m’abbia e ch’io sono determi- nato di conseguire a ogni modo, subito ch’io divenga padrone di qualche cosa. Ho veduto più volte monsign. Mai, che la prima volta che mi vide mi domandò di te, dicendo che da gran tempo