Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, II.djvu/112

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» V I mano all’edizione di Marchetti. Veggo che qui Marchetti è sti- mato: le sue cose dovrebbero trovar favore in Toscana. Salu- tami tanto tanto la Marina e le figlie. Don Luigi che fa? è teco ancora, o partito per Rimini. Saluta distintamente ancor lui. Voglimi bene e credimi sempre Il tuo amicissimo Leopardi mi. A Monaldo Leopardi. Firenze 24 Luglio 1827 Carissimo Sig. Padre Ebbi l’amorosa sua dei 2 del corrente, dalla quale intesi con mia infinita consolazione il miglioramento della Mamma. Sto sempre in ansietà di sentire che sia sparito, anche quel gonfiore della gamba, che Paolina mi accennò nell’ultima sua. Compatisco ben di cuore alla molestia terribile che Ella deve soffrire per ri- battere le imputazioni di Mazzanti: desidererei sapere se Ella sia giunta alla fine del suo noiosissimo lavoro, e l’esito che questo avrà. Il mio incomodo degli occhi non è maggiore di quelli che ho provati altre volte, ed ora è un poco scemato; ma la guarigione (provvisoria e non radicale) non la spero se non coll’inverno, il quale pregiudicandomi in tutto il resto, negli occhi mi ha giovato sempre. Scrissi giorni sono a Paolina lungamente. Qui nello scri- vere provo una gran miseria: perchè nella civilizzatissima Firenze, le poste, contro il costume di tutte le città grandi del mondo, non stanno aperte se non quattr’ore della giornata, dal mezzo- giorno alle quattro; vale a dir le ore più ardenti. In quelle ore mi è impossibile di uscire: consegnar le lettere a gente della Locanda, sarebbe inutile, perchè sicurissimamente il danaro resterebbe in saccoccia loro: non ho altro rimedio che racco- mandarmi a qualche amico che capiti da me a caso, acciocché andando alla posta, porti anche le mie lettere: ma se nessuno capita, o se non prevedo che debba capitare, non posso scrivere.