perbire con quel che mi dite del desiderio che provate della mia
compagnia. Dico insuperbire, perchè oramai fo molto più conto
dell’affetto che della stima degli uomini; e però avrei maggior
concetto di me stesso se mi credessi capace di farmi amare, che
di farmi stimare. Del resto, mio caro Vieusseux, non avrete dif-
ficoltà di credere che io sento, almeno altrettanto vivamente,
la mancanza della compagnia vostra, della quale poche altre mi
potrebbero compensare in qualunque luogo, ma qui certamente
nessuna. - Confesso che Reynhold ebbe ragione di meravi-
gliarsi della mia partenza così improvvisa; e siccome egli potrebbe
chiamarsene un poco offeso, voi mi fareste un vero piacere, la
prima volta che lo vedrete, di fargli i miei complimenti, e di
scusarmi se non fui a visitarlo prima di partire; del che potrete
addurgli liberamente la vera ragione, cioè che con quei freddi,
io non aveva coraggio di andar molto attorno, e massimamente
di passar l’Arno. - Qui si parla molto del decreto del Gran-
duca sopra queste monache di S. Silvestro:1 ma voi sarete
informato di quella storia assai meglio di me. - Salutatemi
Giordani, e ringraziatelo della sua lettera, alla quale risponderò
subito che avrò eseguite le sue commissioni; ma non ho ancora
veduto il Carmignani, nè Mad. Vacca. - Addio, caro Amico:
vogliatemi bene. Mille saluti a Montani. Addio addio.
Mio caro Amico
Sino da quando tornai dalle Marche, e intesi che tu eri partito alla
volta di Firenze, io me ne dolsi, perchè veramente desiderava abbrac-
ciarti e star teco. Io poi me ne andai all’Eremo, e oziando in quella
bellissima e solitaria collinetta, composi alcuni versi che prendono nome
e qualità dalla mia dimora, e dove or lamentando le mie male venture
or benedicendo la vita campestre, ora descrivendo una specie di visione
piango la morte della giovinetta Stracchi: e ti lodo etc.1