potessi seguire ancora il mio genio, veduta la qualità dei giu-
dizi di questo secolo, non mi darebbe più il cuore di logorarmi
in far cose che mi contentassero. La mia salute è sempre tale
da farmi impossibile ogni godimento: ogni menomo piacere mi
ammazzerebbe: se non voglio morire, bisogna ch’io non viva.
Ma lasciando queste maledizioni, e venendo a cose che impor-
tano più, io farei torto grande a te ed a me medesimo, se ti ripe-
tessi che ti amo sempre come amico unico, che ti adoro come
uomo degno di qual si sia stato il miglior secolo della gente
umana. Ma non credo di far torto nessuno a pregarti di conser-
varmi l’amor tuo. Quest’anno passato tu mi hai potuto cono-
scere meglio che per l’addietro; hai potuto vedere che io non
sono nulla: questo io ti aveva già predicato più volte; questo
è quello che io predico a tutti quelli che desiderano di aver notizia
dell’esser mio. Ma tu non devi perciò scemarmi la tua benevo-
lenza, la quale è fondata sulle qualità del mio cuore, e su quel-
l’amore antico e tenero che io ti giurai nel primo fiore de’ mici
poveri anni, e che ti ho serbato poi sempre e ti serberò fino
alla morte. E sappi (o ricordati) che fuori della mia famiglia tu
sei il solo uomo il cui amore mi sia mai paruto tale da servir-
mene come di un’ara di rifugio, una colonna dove la stanca mia
vita s’appoggia
Io tornerò presto a Firenze, ma non so ancora il giorno. Salu-
tami Montani, Vieusseux, Colletta, Capponi. Addio addio.
1250. |
Di Pietro Brighenti. |
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Mio caro Giacomo.
E pure il gran tempo che non vi ho scritto; ma sapete che fui stra-
namente travagliato da mille affanni; i quali finalmente hanno rice-
vuto un poco di calma. Di ciò ne foste già istruito da Marianna, a cui
vi degnaste scrivere una sì cortese lettera,1 della quale ben a ragione
Ella si tiene onorata. Ma aggiustate le partite coll’Arcivescovo, biso-