ghi, manderò il legno per prendervi da città. Non usate, di grazia, con
noi quelle che nel mondo si chiamano cerimonie, perchè noi non le
abbiamo adoprate verso di Voi. Se un mese o più di campagna potrà
giovare alla vostra salute, credete che senza il nostro più piccolo inco-
modo, ci avrete fatto un gran piacere. Le debolezze sogliono allegarsi:
colleghiamo tre o quattro deboli saluti, la vostra, di Gino, la mia, per
comporre una mediocrità di vita tollerabile.
Addio, caro Sig.1 Conte. Credete ai miei sensi di antica stima, e
di calda benché recente amicizia.
Serv.6 ed a.co vero
Colletta
1306. |
A Pietro Brighenti. |
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Mio caro Brighenti. Dio sa quanto volentieri verrei a rive-
derti a Bologna. Ma sto male, e il viaggiare, anche brevissimo,
mi è impossibile. Godo assai che la tua salute sia buona, ma mi
duole che i tuoi affari non vadano secondo il tuo e il mio desi-
derio. Pur voglio sperare che una volta le tue tante fatiche, e
la tua tanta virtù, avranno una ricompensa, se non proporzio-
nata, almeno sufficiente alla moderazione de’ tuoi disegni. Tu
sei pienamente padrone di continuare la ristampa delle Canzoni
nel modo che ti parrà e piacerà. Coll’editor Maceratese non ho
ancora concluso nulla, perchè non posso applicarmi. Non so
se gli darò delle correzioni, e cose inedite; ma per ora no certa-
mente. Salutami tanto tanto la tua cara famiglia. Non mi ricordo
chi, mi diede speranza che presto ti avrei veduto in Firenze?
Sarà egli così. Io t’amo, come sempre, carissimamente, e ti
abbraccio. Addio addio.
il tuo Leopardi