Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, II.djvu/452

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abbia meco comune il nome; il che non sarebbe accaduto per la prima volta. L’altra vostra gentilissima dei 17 di aprile mi pervenne in tempo, che l’amico Cuniberti mio compagno del viaggio fatto a Firenze nel- l’anno scorso, stava gravemente ammalato di encefalitide, e di vaiuolo. Il quale dopo pochi giorni morì; e il dolore che sentii della perdita di un compagno de’ primi studj, col quale avea molta dimestichezza, e maggior consuonanza di pensieri, e di sentimenti, che con altra per- sona dello stesso colore, e di queste parti, fu così acerbo, che per qual- che tempo non ebbi il capo a cosa alcuna del mondo, non che poter usare la menoma applicazione di spirito: e quindi, siccome da idea nasce idea, a quel bujo s’aggiunse un altro bujo, e ne divenni a tanta tri- stezza, che se non avessi gagliardamente contrastato al mio umore, l’avrei finita una volta per sempre. Non occorre che vi dica di più: Voi mi capite, e compassionate sicuramente; e mi crederete, se vi affermo che in quei frangenti, quanto avrei desiderato, e abbisognato di parlarvi a bocca, tanto era incapace di scrivervi. Passai in questo stato il mese di maggio: nel seguente infermai anch’io di encefalitide (frequentissima quest’anno, non manco del vajuolo, nelle nostre parti), e tali erano le mie condizioni, che il vedermi la morte vicina non mi diede timore, ma speranza. Dopo molte e spesse cavate di sangue, il male rallentò, non so se per mio malanno, o per mia buona ventura. È ben vero, che quella certa novità e freschezza di vita che il corpo gode nella convalescenza delle gravi malattie, ridonda ancora in bene- fizio dell’animo, alleviandone gli antichi dolori, ed aprendolo a nuove speranze; e in fatti d’allora in poi ho preso a migliorare, e a provare l’efficacia del rimedio che il tempo, e la consuetudine arrecano alle calamità. Come fui alquanto rinfrancato, per consiglio de’ medici mi condussi a Milano, e ci trovai l’ottimo pr. Dettori, andatovi nel giu- gno, dopo che il presidente del nostro Studio gli ebbe dato il congedo dalla cattedra di morale. Di quivi, per non tener posta ferma, feci alcune gite a Pavia, e a Como, e percorsi il lago maggiore e il distretto tici- nese della Svizzera, e mi ridussi qui in patria in sullo scorcio di ago- sto. Voi vedete, signor conte, le ragioni del mio silenzio con esso Voi. M’affido, che me le facciate buone, così per la cortesia e bontà del vostro animo, come per la considerazione dello stato mio, imperocché se la mia tardanza scemasse la benevolenza vostra inverso di me, ne sarei inconsolabile, pensando di aver perduta per propria colpa una conoscenza e un’amicizia, che mi è per tutti i versi sommamente cara. Se altri fosse testimonio di questo mio linguaggio direbbe, che fo troppo